Capitolo 4: Isolato

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22 settembre 2082

Cerere, avamposto Kerres

Quartiere A-1

Ore 09:40, ora terrestre

In quell'ascensore maledetto si sentivano soltanto le lacrime di Tom. Non riusciva neanche a ricordare l'ultima volta che avesse pianto così tanto, così intensamente.

E invece sì. Lo ricordava. Ricordava ogni secondo di quello che successe. Non poteva dimenticare la morte di suo padre. Quello era uno dei motivi che l'ha sempre spinto ad andare avanti. Non avrebbe mai potuto sopportare la perdita di qualcun altro. Non la sua famiglia, e il suo senso di impotenza lo stava letteralmente uccidendo, lentamente e senza pietà. Poteva solo restare lì dentro piangersi addosso.

Gli mancavano Charlotte ed Ellie. Gli mancavano come mai prima d'ora e aveva troppa paura di perderli.

Ma mentre la sua mente era impegnata ad annegare nella sua disperazione e nelle sue lacrime, si ricordò della promessa. Non avrebbe mai deluso più nessuno nella sua vita. L'aveva sempre rispettata nella sua vita, impegnandosi sempre al massimo per non deludere le persone a cui teneva e che tenevano a lui. Perché infrangerla proprio ora? Perché infrangerla proprio nel momento in cui avrebbe dovuto rispettarla al massimo?

Si prese finalmente di coraggio, e si alzò in piedi, asciugandosi il volto. Era ora di uscire da quel maledetto ascensore. Si guardò intorno. Di solito ogni ascensore aveva una botola superiore che si poteva aprire in caso di guasti. Si usciva nel condotto e si poteva tranquillamente raggiungere una sporgenza che dava su un corridoio, che conduceva direttamente alle scale. Poco elegante ma estremamente pratico e utile. Dopo queste attente riflessioni su quanto faccia schifo l'ambiente coloniale, Tom si decise ad aprire la botola ed arrampicarsi. Quando si apriva, essa rilasciava una semplicissima scaletta per risalire. Quando però salì rimase bloccato per qualche secondo. La sporgenza era decisamente più in alto di lui. Però c'era un fattore in suo aiuto: la gravità. Essendo Cerere molto piccolo, ha una gravità di gran lunga inferiore a quella della Terra, equivalente a 0,28g. Quindi bastava un semplice saltino per arrivarci. Tom spinse al massimo con le gambe, e si aggrappò con tutte le sue forze, tirandosi su con relativa facilità sempre grazie alla gravità del piccolo pianeta. Si mise a correre verso le scale, sia per scendere ovviamente, ma anche per vedere l'esterno. Infatti per ogni scalinata c'erano delle parti in vetro (ovviamente non quello comune utilizzato nelle vecchie case terrestri, ma molto più resistente) nelle pareti, per avere una visuale panoramica sull'intera colonia. E Tom ne aveva bisogno per vedere quello che stava succedendo. E quando ci arrivò, si fecero strada lo stupore e la paura, una tremenda paura. La vista si estendeva su un vasto panorama in cui le varie cupole e le distese di terra e roccia erano le protagoniste. Solo che stavolta non erano sole. Dallo spazio precipitavano rottami e parti di navi che venivano attirati dalla gravità di Cerere e si schiantavano sulla superficie. Vicino ad una cupola periferica c'era anche quella che sembrava una metà della prua di una fregata militare del DCEC. Ma l'attenzione di Tom era focalizzata sulla cupola centrale della colonia, senza disdegnare qualche sguardo alle cupole secondarie. O almeno quel che ne rimaneva. Una presentava uno squarcio che dava direttamente nel vuoto. Tom non aveva una gran vista, ma la causa sembrava essere un incrociatore DCEC schiantatosi direttamente all'interno, spaccando la cupola nella collisione, svuotandola di tutta l'aria che c'era all'interno. Quella era la zona "industriale" della colonia, anche se ovviamente non mancavano gli appartamenti, in cui si trovavano alcune fabbriche e soprattutto la centrale elettrica. Ma non soltanto l'aria: si poteva intravedere nonostante la lontananza tutto ciò che era stato risucchiato. Case, macchine, mobili, droni, qualunque cosa, persone comprese, erano state sparate nello spazio cosmico. Tom riuscì addirittura a vederne alcune ancora vive con indosso delle tute di emergenza. C'erano anche dei bambini, che cercavano disperatamente di arrivare alla cupola centrale. Chissà cosa stavano pensando, quanto erano terrorizzati. Chissà quanti erano rimasti soli, in cerca di aiuto, di padri, madri, nonni, zii, chiunque. Tom si chiese quanti bambini si stessero sentendo in quel modo, ma soprattutto, si chiese quanti bambini avessero vissuto quelle esperienze, quanti ne erano sopravvissuti per raccontarle, quanti ne sono stati vittime in millenni di storia umana, dalle piccole tribù paleolitiche in lotta tra loro fino al più grande conflitto che l'umanità abbia mai conosciuto 140 anni prima circa. L'uomo è stato capace di fare solo una cosa, una cosa che accomunava ogni essere umano mai esistito. Un istinto oscuro, ma dominante, sempre presente all'interno della sua stessa esistenza: combattere, dando adito alle più grandi barbarie possibili per una civiltà "avanzata" con i milioni di bambini che subivano le sorti più disparate, vittime di un'umanità che ha da sempre giocato a fare la guerra e a fare Dio, macchiandosi di peccati indicibili, e rendendoli vittime di questo gioco infernale. Un gioco di cui Ellie faceva parte. "No... non permetterò che Ellie subisca questo. Non lei. E nemmeno Charlotte." Dopo aver fatto vagare la mente in questi oscuri pensieri, Tom tornò in se, e si apprestò a scendere finalmente in strada. Mentre scendeva quelli che gli sembravano gradini infiniti non riusciva a togliere quei pensieri dalla testa. "Dov'è Charlotte? Dov'è Ellie?" E cercava di fare mente locale su dove potessero essere, su cosa avrebbero dovuto fare quella giornata e dove avrebbero dovuto spostarsi, ma non riusciva a concentrarsi. Stava accadendo tutto quanto troppo in fretta, si sentiva confuso, impaurito, agitato, ansioso, energico e debole contemporaneamente.

Finalmente scese l'ultimo scalino ed arrivò velocemente all'entrata, e lì finalmente fu messo davanti alla realtà: era in guerra. Prima lo sapeva semplicemente, ne aveva il concetto in testa. Ma adesso era di fronte alla realtà dei fatti, gli stessi fatti in cui era lui stesso coinvolto e protagonista. Sentiva i notiziari dello SpaceNet riguardo i rifugiati della guerra civile di Mercurio, sapeva che ci fossero ma non aveva neanche lontanamente idea di quello che avrebbero potuto passare, quello che avrebbero potuto vedere, provare, sentire. Questo vedendo semplicemente per un istante lo scenario davanti a lui: appena di fronte alla scalinata dell'entrata c'erano delle macchine abbandonate, alcune anche con fori di proiettile o del sangue sul parabrezza mentre altre ancora erano direttamente in fiamme, creando un odore di carne bruciata non indifferente. Buona parte degli edifici presentava delle lunghe colonne di fumo che fuoriuscivano dal loro interno, magari dovute a delle esplosioni non visibili da quella posizione. In lontananza si avvertivano degli spari occasionali provenienti da chissà dove, mentre nello spazio infuriava una battaglia tra navi non visibili a quella distanza. Si vedevano soltanto alcune esplosioni nucleari, i missili e i colpi dei cannoni ad accelerazione magnetica che sfrecciavano in ogni direzione. Tom rimase bloccato in quel momento, ad osservare lo spettacolo che gli si presentava davanti. Se non avesse saputo che a qualche migliaio di chilometri di distanza si stesse combattendo una guerra che lui non voleva e non aveva mai voluto, avrebbe addirittura pensato che fossero degli spettacoli pirotecnici per una qualsivoglia festività. Magari lo fosse stato. E mentre era li con la mente sommersa di pensieri, udì un'esplosione e improvvisamente si ritrovò scaraventato a circa 10 metri di distanza. Non aveva avuto il tempo di reagire. A malapena si era reso conto di cosa fosse successo tanto era stato veloce e improvviso Si ritrovò a guardare la cupola ancora una volta. Non aveva la forza di muoversi. Com'era finito in quella posizione, e soprattutto, QUALE posizione? Capì di colpo: era sdraiato a terra. Cercò di muoversi ma sentiva dolore in ogni singolo muscolo, tanto era lo shock, soprattutto la spalla. Riuscì con uno sforzo enorme a girare il collo per controllarla, e notò con stupore che era ferita poco sopra la clavicola e perdeva molto sangue. Non aveva speranze da solo. Si accasciò nuovamente al suolo, guardando lo spazio e immaginando che ogni singola esplosione fosse sinonimo di festa: non voleva che i suoi ultimi ricordi e le ultime cose che avrebbe visto sarebbero state quelle atrocità. E mentre pian piano chiudeva gli occhi sentì delle voci.

<<Civile ferito davanti a noi>>

<<Dannazione, state attenti agli angoli, e tenete d'occhio il primo e il secondo piano di quel fottuto palazzo, cerchiamo di non farci fregare da un cecchino. Qualcuno deve pur aver causato quell'esplosione. E chiamate un medico!>>

D'improvviso un volto si presentò di fronte ai suoi occhi. Aveva un casco in testa e la visiera piena di dati agli angoli. Era un soldato, forse del DCEC.

<< Non preoccuparti, ci siamo noi adesso, pensa solo a non morire.>>

Non se lo sarebbe fattoripetere di nuovo, pensò Tom mentre perse finalmente i sensi.

I figli di CerereМесто, где живут истории. Откройте их для себя