1. Annichilimento.

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Che cosa sono venuta a fare qui?

Strizzo le palpebre e sospiro, avvicinandomi alla parete spoglia che ho di fronte: sfioro con le dita la superficie, poi ci appoggio sopra la fronte. Prendo dei respiri brevi e controllati, nel tentativo di riprendere il controllo su me stessa. Ma loro non vogliono questo. Da quando sono arrivata qui, non hanno fatto altro che togliermelo di dosso, questo autocontrollo. Mi hanno spogliata delle mie insicurezze e hanno trasformato il mio odio in uno scudo di battaglia. Mi hanno trasformata in una combattente, sbarazzandosi di ogni briciolo di sentimento, fino a ridurmi in... questo.

Un nonnulla.

Sono argilla nelle loro mani. Sangue fresco per i loro esperimenti. Ospite e prigioniera.

Ma non m'interessa. Non riesco più a interessarmi a niente, ormai. Qualsiasi cosa mi scivola addosso e mi lascia imperturbata.

Qualcuno bussa alla porta. Due volte, con calma.

Rimango con la fronte appoggiata al muro, in silenzio. So già chi c'è dietro e so anche che entrerà nella mia stanza a prescindere dalla risposta. Infatti la soglia cigola dopo qualche istante e una figura maschile fa unpasso in avanti, deciso ma attento.

«Sei più calma, oggi?» esordisce l'uomo, senza avvicinarsi troppo a me.

Anche se sono una potenziale prigioniera, lui mi teme. Le punizioni che infligge al mio corpo e alla mia mente per spronarmi a reagire gli hanno fatto realizzare quanto in realtà sia forte e resistente agli urti. Il mio potere lo spaventa abbastanza da indurlo a rendermi inerme, per non rischiare di scatenare un tornado con il solo battito delle ciglia.

«Sono calma, Russell» rispondo con compostezza. Mi stacco dalla parete e torno a sedermi di fronte alla scrivania. Gli do volutamente le spalle, cosa che non lo sconvolge più di tanto.

«Tuo padre mi ha riferito di porgerti le sue scuse per quello che è successo ieri.»

Gli occhi vagano meccanicamente sui miei polsi, lacerati da una sottile riga di carne viva.

Hai di nuovo disobbedito.

Stringo i pugni e allontano le mani dallo specchio del visibile.

«Mio padre potrebbe anche venire di persona, per porgermi le sue scuse.»

«Cornelius è impegnato» ribatte Russell con un sospiro paziente «Ma pensa continuamente a te, Abby. È molto felice della tua permanenza qui.»

«Mi avete rapita... Mi avete rinchiusa qui dentro e mi avete obbligata a subire atrocità!» sbotto all'improvviso, colta da un fiotto di rabbia, spumeggiante e gassosa.

Russell fa un passo indietro e sbatte con le spalle addosso alla porta. «Lo sai... Lo sai che è per il bene di tutti. Quello che stiamo facendo ti sta fortificando.»

50, Russell.

«Mi sta fortificando...» ripeto interdetta «E per quale motivo lo stareste facendo?»

«Perché sei importante per Cornelius. Lo sei per tutti noi.»

Sorrido e scuoto la testa, amareggiata. «Smettila di raccontare ipocrisie. Forse attaccavano durante i primi giorni, ma adesso non ci riescono più» mi volto di scatto verso di lui «So che mio padre mi sta testando. So del sangue che mi prelevate quando non sono pienamente vigile. So del suo studio, quello pieno di scartoffie e assurde teorie complottistiche. E so delle medicine che mi fate prendere... Mi rendono mansueta e poco reattiva, è vero, ma non mi chiudono gli occhi.»

Russell mi fissa come avessi appena detto qualcosa di sconvolgente. Prova a ribattere, ma sul momento non ci riesce. «Questo... questo tuo atteggiamento è insubordinato, Abby. Non lo ammettiamo qui dentro, lo sai. Vedi di calmarti, o troveremo noi il modo per farlo al posto tuo.»

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