Capitolo 1

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Gli Anni Liceali

(1967-1971)


L'estate è sempre stata la mia stagione preferita, con i suoi bellissimi colori accessi, il sole caldo che accarezza la pelle.

Il caldo è l'unica cosa che ho sempre odiato. Essendo di carnaggione chiara, basta che prenda un po' di sole, perchè mi scotti.

Le giornate in Sicilia scorrono leggere, tra libri e tuffi al mare.

Tutti i pomeriggi prendo la mia fidata bicicletta, che mi hanno regalato i miei genitori per la licenzia media, e scorazzo per tutta Ortigia.

Tutti i santi giorni, però, un gruppo di bulletti, mi viene dietro, nel tentativo di pestarmi. Ci sono già riusciti l'altro giorno, quando sono tornato a casa con diversi lividi.

Mi chiamavano " U figghiu do Baruni" (il figlio del barone), poiché la mia era la famiglia più facoltosa di tutta la città.

Abitiamo in un casale nella zona del Parco Archeologico e possiamo contare su un grosso patrimonio.

Mio padre è professore all'Università di Catania e spera di diventare rettore molto presto.

Inizio a pedalare più velocemente, ma non sono un tipo molto atletico. Sono molto magro, tutto pelle ed ossa, e non riesco a tenere il ritmo.

Cerco di usare il cervello e imbocco via della Giudecca e passo tra le case del quartiere popolare.

C'è una lavandaia che porta i panni appena lavati. Mi accorgo di lei soltanto alla fine ;Cerco di evitarla, ma lei si spaventa e, nel tentativo di scansarsi, perde l'equilibrio e fa cadere il cesto con tutti i panni.

"Cunnutu!" E' l'epiteto con cui mi urla dietro.

Nonostante le urla della donna, torno a pedale cercando di andare più velocemente.

Scendo per alcuni gradini, nella speranza che non perda il controllo della bicicletta. Il mio cuore batte all'impazzata, un po' per la paura e un po' per l'eccitazione.

Sento il sudore colarmi lungo il viso ormai arrossato.

Cerco di tenere gli occhi ben saldi sulla strada, ma sento i bulletti che stanno avanzando.

Continuo a pedalare con tutta la forza che ho in corpo, ma uno di loro sbuca fuori dal nulla e io, senza nemmeno rendermene conto, finisco per terra e la bicicletta va a sbattere contro ad un muro.

"Puppo!" Ringhia il ragazzo che sta di fronte a me.

Mi fa male il braccio, ma non credo di essermelo rotto.

Tutti gli altri sono già accorsi e,adesso, mi circondano. Non ho via di fuga.

Mi alzo e stringo i pugni, anche se non sono per nulla pronto a quello che sta per accadere.

"Pezzo di Ricchione." Mi urla qualcuno.

Vedo Pippo Anastasi, uno dei ragazzi peggiori di tutto il quartiere, avanzare verso di me. "E' vero che ti piace questo?" Mi domanda in dialetto, stringendosi le parti intime.

"Lo vuoi?"

Io non rispondo.

Pippo continua ad avvicinarsi a me, così come gli altri ragazzi. Sono tutti più alti di me e, decisamente, più robusti.

"Vieni, pezzo di puppo. Ti faccio assaggiare la minchia."

Continuo a non dire nulla. So che mi si getteranno addosso e che mi picchieranno senza pietà. E' già successo altre volte.

"Lasciatemi andare." Dico, per la prima volta, cercando di mantenere il controllo della mia voce.

Loro scoppiano a ridere.

"Ah, il puppo sa pure parlare." Urla Pippo.

Proprio quando sta per colpirmi, qualcosa lo blocca.

Chiudo gli occhi per la paura, ma quando non sento arrivare il pugno, li riapro. Mi ritrovo davanti Alfredo.

E' il figlio del panettiere. L'ultimo, ma anche il più forzuto e ,soprattutto,il peggiore di tutti i bulli.

Mi hanno detto che è uno dei ragazzi più pericolosi.

In tutta la città, il nome di Alfredo Bello è conosciutissimo per la sua violenza.

Ammiro i suoi capelli biondi e i suoi occhi azzurri come il mare, una rarità in questa zona, dove tutti hanno colori scuri.

"Che minchia sei scemo, Alfredo?" Gli domanda Pippo, ma con una voce rauca e tremante. Teme Alfredo più di ogni altra cosa.

"Ti ho già detto che di fronte al mio panificio, non devi fare la testa di cazzo." Gli dice lui calmo, ma con tono minaccioso.

Mi accorgo che siamo proprio davanti al negozio di suo padre.

"Al, scusami. Hai ragione. Ma...Questo puppo..." La sua voce si spezza.

"Non me ne fotte una minchia. Se continui a fare casini davanti al negozio, ti spezzo le gambe a colpi di martello. Sono stato chiaro?"

Pippo annuisce ed indietreggia.

"Scusami, 'mbare. Non succederà più."

Fa cenno ai suoi compagni e , in pochi secondi, spariscono.

Io cerco di ricompormi e mi accorgo che sanguino dal braccio.

Alfredo prende la mia bicicletta e la rialza da terra.

"Ti sei fatto male?" Mi domanda.

Mi fermo un attimo a guardare i suoi occhi blu come il mare e mi perdo in essi. E' la prima volta che parlo con Alfredo Bello.

"Sei sordo?" Mi chiede, quando continuo a non rispondergli.

"E'... solo un graffio." Dico, alla fine.

Lui mi prende il braccio e me lo controlla.

"Non è niente. Passaci un po' d'acqua e tornerà come nuovo."

Mi porge la bicicletta e,poi, sparisce dentro al suo locale.

Rimango fermo a fissare il vuoto per qualche istante. Mi sento tremare le gambe, ma non è dovuto alla paura. E' dovuto al contatto fisico di poco prima.

E' la prima volta che accade, ma sento uno strano calore invadermi fin dentro le viscere.

Mi rimetto in sella e inizio a pedalare verso casa.

Pippo e la sua banda sono stati scacciati da Alfredo, ma avranno sete di sangue e io ho fatto il pieno di guiai per oggi.

L'Amore che RestaWhere stories live. Discover now