02. i sogni son desideri.

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All'inizio non vi era nulla, solo buio. Buio e silenzio, insieme come vecchi amici. Non riuscivo a vedere le mie stesse mani, tutto intorno a me era un manto di muta oscurità. Non riuscivo nemmeno a sentire nulla sotto di me, neanche le mie stesse gambe. Il terrore, veloce come un lampo, letale come un coltello, mi pervase come un gelido abbraccio. Insieme a lui, come la scintillante coda di una cometa, subentrò la ragione. Ero io a non vedere niente, o il resto ad essere muto? Potevo anche essere bendata. Avvicinai timorosamente e piano la mano destra agli occhi, tastando sul mio viso. Niente che mi stesse coprendo la faccia, menomale.

Il suono arrivò poco dopo. Una specie di sibilo ad altissima frequenza, vagamente simile a dei vetri che si spezzano. Una persona normale si sarebbe tappata le orecchie, ma i miei timpani gradivano quel suono. Era come se riassaggiassi dopo tanto tempo il mio cibo preferito di quando ero bambina, gustando di nuovo il sapore ormai imparato a memoria.

Pian piano iniziai a distinguere nel suono una fonetica sempre uguale, come qualcosa che viene ripetuto all'infinito. Eesa-veth. Elii-veth. Elisabeth, il mio nome. Quella voce, quel suono, mi stava chiamando, in attesa di una risposta. Non sapevo come facesse quella voce a conoscere il mio nome, né come io riuscissi a capirla, ma mi costrinsi a rispondere.

«Sono qui!», esclamai, benché qui fosse un punto indefinito in mezzo al Grande Niente. Ma forse la voce aveva tutto sotto controllo, sapeva perfettamente dove mi trovavo. O almeno me lo auguravo.

Chiudi gli occhi, sussurrò glaciale. Cercai di fermare la mia lingua dal replicare, invano. «Ma già non ci vedo un tubo!», le feci notare, con il mio solito modo di fare schietto. La voce, però, non approvava contraddizioni. Chiudi gli occhi, ripeté. Mi parve di avvertire una sfumatura secca in quell'eco d'acciaio, ma neanche questo mi fermò dall'obbiettare una seconda volta.

«E se io non volessi?» assunsi un tono enigmatico, alla Sherlock Holmes. Udii un sospiro frustrato, seguito poi da Non mi pagano abbastanza, cavolo. Elisabeth, chiudi quei tuoi maledettissimi occhi, e porca miseria mi scuso per l'imprecazione.

Risi di gusto, poi mi decisi a fare come aveva detto la voce. Serrai le palpebre e lo spettacolo non cambiò: nero, come sempre. Alzai un sopracciglio, perplessa del fatto che non stesse succedendo nulla. «Insomma, voce, ci vogliamo spicciare?».

Hai fretta? Devi andare da qualche parte? Suppongo di no, perché in questo preciso istante stai ronfando nel tuo letto, con un rivolo di bava che bagna il cuscino. Quindi zitta e aspetta, stupido A...

Non fece in tempo a finire la parola che fu come se le si fosse stata coperta la bocca, in modo da non riuscire a parlare. Gemette e produsse una serie di suoni attituiti, come se qualcuno la stesse soffocando.

A quel punto iniziai ad andare nel panico. Cosa cavolo stava succedendo? Perché non era riuscita a finire la frase? Provai a spalancare gli occhi — non sarebbe stato certo utilissimo, se fuori era buio, ma era la prima cosa che mi venne in mente — ma fu come se le palpebre mi si fossero incollate l'une tra le altre. La voce aveva detto che stavo dormendo, quindi tutto era frutto della mia testa, no? Cercai di convincere me stessa che era solo un incubo, un incubo dal quale potevo risvegliarmi subito. Una parte di me, però, era spaventata dalla consapevolezza che certo, era tutto nella mia testa, ma in qualche modo ci fosse qualcosa di cupamente vero. Riassumendo, non sembrava un sogno, ma ragionando per psicologia inversa nessun sogno sembra mai reale. Eppure c'era, un qualcosa che rendeva tutto più tangibile, ma il non sapere cosa fosse mi spaventava più di quello che era accaduto precedentemente.

Se avessi potuto avrei iniziato a sudare freddo, ma siccome ero intrappolata in quello pseudo sogno le uniche sensazioni che provavo erano le lunghe scariche di adrenalina attraverso la spina dorsale. In tutta la mia vita non avevo mai provato terrore in dimensioni così grandi, nemmeno quando da piccola, quando ero partita per un viaggio in campeggio con il gruppo scout, avevo trovato nella nostra tenda di seconda mano un ragno grande quanto un pugno. Iniziai a ripetere freneticamente «Svegliati, svegliati, svegliati!», ma il mio corpo non rispondeva.

La voce che risuonò successivamente era completamente diversa dalla precedente. Mentre la prima era acuta e informale, quella che stavo sentendo in quel momento era baritonale e autoritaria. Sono certa che se mi avesse chiesto di sedermi come si fa con i cani, avrei ubbidito senza batter ciglio. Calmati, Elisabeth. Se attenui la tua inquietudine, allora quello che ti farò tra poco risulterà meno doloroso.

«Meno doloroso in che senso? Mio Dio, che cavolo sta succedendo?» sbraitai nervosa, senza mascherare l'isteria e l'ansia, emozioni a me fin troppo conosciute. Nessuno rispose, cosa non del tutto inaspettata.

In un lampo sentii una fitta di dolore alla testa, come se qualcuno stesse martellando la mia calotta cranica. Urlai per il troppo spasimo e l'eco risuonò innumerevoli volte nel vuoto di fronte a me. Fu come sentire il Big Ben rimbombare il mezzogiorno, giusto mille volte più forte. Più urlavo, più le fitte si facevano forti. Provai ad aprire gli occhi, ma rimanevano barricati e parevano non rispondere alle volontà del mio cervello; in più lo sforzo dei muscoli facciali aumentava l'emicrania.

In mezzo a tutto quello strazio si formò un'immagine davanti alle mie pupille chiuse. Dapprima era solo una distante chiazza di colori accesi, poi pian piano i contorni si definirono e la figura si avvicinò ulteriormente, rivelando un dipinto. Cercai di capire cosa significasse, ma era come guardare Titanic senza piangere per la morte di Jack. Più il dipinto si avvicinava e si ingrandiva, più riuscivo a scorgere particolari che — stranamente — sembravano animarsi. Vi era rappresentato uno scenario completamente diverso da uno moderno: nuvole e piccoli mostriciattoli simili a gargoyle, radunati intorno alla figura di un uomo.

Aveva lineamenti decisi, e pur essendo magro da ogni suo poro trasparivano forza e potenza. Brandiva una spada e indossava un'armatura blu scuro con particolari di un arancione intenso, come la grandiosità che traspariva dai suoi gesti e dai suoi lineamenti. Era, come dire, magnetico: tutta me stessa cercava di distogliere lo sguardo da lui mentre il mio petto si infiammava all'inverosimile. Era perfetto. Aveva la fronte corrugata, lo sguardo alto, fiero e deciso, e gli occhi color terra ardevano di energia.

La cosa che, tuttavia, con l'avvicinarsi dell'immagine era sempre più nitida non era il suo sguardo impavido, piuttosto le due ali angeliche bianche che si stagliavano lungo la sua schiena.

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⏰ Last updated: Jan 24, 2021 ⏰

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I Sette Arcangeli - GabrieleWhere stories live. Discover now