TRENTA

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Il pranzo era stato ottimo, forse il migliore che Damiano avesse fatto in tutta la sua vita. Il paragone con il cibo distribuito al livello ventinove era semplicemente improponibile. Le sue papille ancora godevano al ricordo dei sapori attentamente dosati, dei profumi, della cottura impeccabile. Aveva largheggiato con il vino, che al suo livello era fornito in micragnose confezioncine da mezzo bicchiere e faceva pure schifo, e si sentiva satollo e un po' allegro.

Alberto aveva iniziato a divagare come suo solito su argomenti che interessavano solo a lui, biascicando con la bocca piena e usando minacciosi gesti con la forchetta come rafforzativo. Damiano aveva presto smesso di ascoltarlo, anzi iniziava a ritenerlo fastidioso come una mosca prima di un temporale, quindi a fine pasto aveva sostenuto di avere un terribile mal di testa e si era congedato.

Nell'aprire la porta della sua stanza venne preso da un prevedibile senso di inquietudine, ma per sua fortuna nel grigiore diffuso spiccava come una gemma colpita da un raggio di sole il visore viola. Lui si precipitò a prenderlo e l'indossò. Scoprì quindi che la simulazione preparata per lui prevedeva una leziosa carta da parati a roselline, un parquet di mogano e il soffitto a trompe l'oeil che simulava il cielo notturno visto dal centro di una foresta.

Si stese sul comodissimo letto a due piazze dalle lenzuola color avorio e prese sonno quasi istantaneamente. Si risvegliò mezz'ora dopo, lucido e riposato, con un modesto fastidio dietro le orecchie, lì dove insistevano le stanghette del visore. Pensò comunque che il fastidio non era nulla rispetto all'angoscia di essere ripiombato nel grigio del livello ventinove.

Si alzò di scatto e si diresse al banco da lavoro. Non aveva affatto voglia di mettersi a fare quello che aveva contrassegnato le sue giornate per anni, ma dopo brevissima meditazione il desiderio di stringere di nuovo un MK23 fra le sue mani prevalse.

Sedette quindi al banco, prese un guscio laterale dall'apposito scomparto, vi sistemò il motorino, il grilletto di attivazione, la matassa di cavi. Collegò le piccole spine ai giusti contatti, installò il riduttore di giri, la frizione, il mandrino. Il lavoro procedeva in modo automatico, quasi non doveva pensare a quello che faceva. Sistemò l'altra metà del guscio che scivolò in posizione con un lieve 'clic', quindi posizionò le viti nei loro alloggi e le serrò con l'apposito cacciavite elettrico che penzolava dal soffitto.

Finito che ebbe, prese una batteria dall'apposito cestello e la infilò nelle guide del calcio dell'avvitatore fino a farla scattare in posizione. Brandeggiò la sua opera, ne saggiò il peso e il bilanciamento, quindi premette il grilletto. L'arnese rispose con un suono acuto mentre la punta girava con regolarità. A orecchio Damiano già sapeva di aver fatto un lavoro perfetto. Non si sentiva traccia di impedimenti nel movimento degli ingranaggi, filava liscio come l'olio.

Felice di non aver perso la mano e soddisfatto di avere di nuovo un avvitatore su cui contare, lo posò sul bancone e andò a vedere cosa offriva l'armadio. Aprì le porte e vide un vasto assortimento di camicie e magliette di tutti i colori, di biancheria e di scarpe più o meno eleganti. Prima di scegliere venne preso da un dubbio. Sollevò il visore e scoprì che tutti gli indumenti erano del solito disperante color sabbia.

'Maledetto imbecille!' pensò.

In quella l'oggetto dei suoi pensieri irruppe nella stanza.

"Riposato bene? Bene. Il grande vecchio mi ha convocato, tu vieni con me. Su, andiamo, che fai lì impalato?"

"Arrivo. "

       

Damiano prese il suo avvitatore e lo assicurò alla cintura, quindi seguì Alberto fino agli ascensori. I due entrarono in una cabina che in breve li riportò nell'androne gigantesco, poi Alberto girò intorno alla scala per raggiungere le porte sull'altro lato. Appoggiò il pollice sulla serratura di quella più vicina al muro e subito le porte si spalancarono lasciandoli entrare. Quell'ascensore partì in alto e in obliquo, poi proseguì diritto per un minuto almeno, poi si fermò.

La sala su cui si aprì assomigliava molto all'entrata. Ovunque predominavano il bianco e un'intensa illuminazione diffusa. Da una porta a vetri sul fondo sbucò un uomo vestito di una tuta verde che studiava con aria assorta il tablet che teneva in mano. Come vide i due sosia, strabuzzò gli occhi e si affrettò a scomparire in un'altra uscita alla sua destra.

Alberto procedette sicuro verso la porta da cui era uscito l'uomo e la spalancò, subito seguito da Damiano. Quest'ultimo dovette farsi schermo con la mano. La sala circolare che gli si presentò davanti era inondata dalla luce del sole che entrava attraverso le ampie finestre posizionate su tutta la circonferenza.

Al centro c'era un letto circondato da ogni sorta di apparecchiature, di schermi, di tubi e di cavi. Sul letto giaceva un uomo anziano ed emaciato. Il suo aspetto, ad essere obiettivi, ricordava più quello di un cadavere che di un essere vivente. I bianchi e radi capelli riposavano sul cuscino. Il viso scavato era privo di qualsiasi espressione o movimento, gli occhi infossati erano chiusi. Dalla bocca priva di denti sbucavano tre diversi tubi che si dirigevano verso altrettante macchine. Il corpo, il cui aspetto scheletrico si intuiva dal collo e dalla sommità delle spalle, era coperto da un lenzuolo bianco.

"Padre..." disse Alberto.

Immediatamente delle persiane scesero a oscurare le finestre e la sala precipitò nella penombra. Un grande schermo sopra il letto venne illuminato dalla luce di un proiettore e vi comparve il mezzobusto di un uomo di mezz'età in giacca e cravatta. La somiglianza con Alberto e Damiano era notevole.

"Alberto..." disse l'uomo "Vedo che c'è anche Damiano Rossi. Bene, molto bene. Ciao, Damiano."

"Bu... buongiorno?"

"Ho pensato di portarlo con me" intervenne Alberto.

"Hai fatto bene, figliolo. Ora lasciaci."

"Ma come, padre? Mi hai convocato..."

"Ti ho convocato perché tu mi portassi qui Damiano. Ora puoi ritirarti."

"Io..."

"Alberto, ritirati spontaneamente, non costringermi a fare come quella volta, ricordi?"

"Okay, okay, ho capito."

Alberto se ne andò verso la porta, guardandosi indietro più volte, forse nella speranza che il padre cambiasse idea, poi finalmente uscì.

"Allora, Damiano" disse l'uomo "Hai finalmente capito chi sei?"

"Allora, Damiano" disse l'uomo "Hai finalmente capito chi sei?"

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Realtà virtuale - Il viaggio di DamianoWhere stories live. Discover now