1. What goes around, comes around

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"Passo a prenderti alle dieci. Vedi di non fare tardi, Vy."

*

Lo stomaco mi si sta contorcendo dall'eccitazione, tutto ciò a cui riesco a pensare, mentre parcheggio davanti al viale di casa mia, è se sarò ben accolta. Se saranno sorpresi di vedermi con una valigia così grande, con le cartellette sottobraccio e i pennelli e le matite che fanno rumore nella borsa. Se capiranno tutto nel momento in cui attraverserò il corridoio con noncuranza, come facevo ai tempi delle superiori.

Come se niente fosse cambiato, ecco.

Mi mordo le labbra e butto un'occhiata alla porta. Devono averla verniciata di recente, perché l'ultima volta che sono venuta qui non era così bianca.

Dopo qualche attimo slaccio la cintura, poi recupero la borsa e le valigie dai sedili posteriori e mi precipito al campanello. Mi fa uno strano effetto essere qui, mi fa quasi tremare. Eppure dovrebbe essere tutto così naturale.

Busso.

Nessuno risponde e nessun rumore proviene dal corridoio.

Sospiro.

"Che siano usciti?"

Prendo il telefono e guardo l'orario. Sono solo le tre del pomeriggio. A quest'ora, soprattutto di domenica, dovrebbero essere tutti in casa.

Aggrotto le sopracciglia, bussando di nuovo. Pochi istanti dopo, passi veloci iniziano ad avvicinarsi alla porta. Sento l'eco dei tacchetti di mia madre, che si ostina come sempre a portare le scarpe in casa, e la camminata pesante di mio padre che si ferma sulle scale.

Quando l'uscio si apre, il cuore mi si riempie di gioia.

«Ciao, mamma» le dico, sorridendole.

Lei resta immobile, come fosse congelata sul posto. Tiene gli occhi spalancati e le labbra schiuse in un'espressione di stupore, i corti capelli castani sfuggono al controllo della lacca dal profumo di fiori.

«Francis, chi è alla porta?»

Mia madre non risponde, intenta a osservare prima me e poi la valigia, le cartellette, la borsa che ha sempre chiamato "il kit dell'artista". È incapace di pronunciare parola e mi diverte vederla in questo stato: è una delle poche volte in cui Francis Ford-Black non ha niente da dire.

Mio padre riprende a camminare, borbottando qualche parola sconnessa che non riesco a capire. Quando arriva davanti alla porta, con la mano sulla testa, la sua espressione mi riempie il cuore di gioia.

Nessuno dei due si aspettava che tornassi.
Non con tutta questa roba.
Non con un Master.

«Ti hanno cacciata?» mi chiede, sistemandosi gli occhiali dalle lenti spesse sul naso.

Scoppio a ridere e lascio cadere a terra le cartellette e la borsa, poi mi lancio verso di loro a braccia aperte e li avvolgo. Tre mesi senza vederli nemmeno una volta sono stati una tortura e ho provato una nostalgia tale da farmi spesso venire da piangere. Ma era necessario: volevo fare loro una sorpresa e, con mia grande soddisfazione, ci sono riuscita.

«No, papà! Sono ufficialmente laureata!» gli rispondo, lasciandogli un bacio rumoroso sulla guancia. Mi giro poi verso mia madre e le do un buffetto, asciugandole una lacrima. «Siete felici, eh?»

Non possono fare a meno di ridere e annuire, l'orgoglio stampato sui loro volti e le rughe d'espressione che sembrano quasi incidersi attorno ai loro occhi. Aaron e Francis Black, che più di tutti avrebbero voluto avermi a casa con loro, non sono mai stati così compiaciuti.

Entriamo poco dopo e la prima cosa che faccio è inspirare a fondo l'odore di legno e vaniglia nel corridoio. Un odore che mi riporta ai tempi delle superiori, quando ancora vivevo dipendendo da loro e i miei progetti erano idee impensabili. Un ricordo, quasi, che prepotentemente mi torna alla mente con una facilità disarmante, come se avessi dormito per sei anni.

La tempesta nei tuoi occhiWhere stories live. Discover now