CAPITOLO 1

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«Sei stato grande, Mic!»

Un ragazzo gli batte il pugno dopo essersi tolto la maglia della divisa e lui risponde con un sorriso da parte a parte.

«Come al solito, hai dato prova di essere un perfetto egocentrico» si prende gioco di lui un altro compagno di squadra – uno dei pochi che può competere con la sua altezza – mettendogli il braccio sinistro attorno al collo e tirandolo appena.

«Ehi, non sono stato egocentrico!» si giustifica Mic ridendo lievemente e scansandosi dalla morsa. L'altro ragazzo gli dà un pugno sul petto per poi riprendere a cambiarsi.

Il fragore nella palestra è stato sostituito dalle voci che chiacchierano tra loro, e sono udibili in maniera indistinta anche dagli spogliatoi.
Mic afferra un asciugamano, con il sorriso di chi sa il fatto suo stampato in volto, e se lo allaccia sulle spalle.

«Ragazzi, perché non andiamo a festeggiare tutti insieme in qualche fast food?» propone uno dei giocatori e provoca un assenso generale ed euforico, scatenando un canto stonato come se fossero allo stadio.

«Io non posso venire.»

La voce di quel ragazzo è impossibile da sentire per tutti quanti, intenti nei loro cori, tuttavia, Mic gli è seduto a fianco e riesce a percepirlo alla perfezione.
«Andiamo, Klem!» Gli dà una spinta sul braccio. «Abbiamo cominciato alla grande il torneo con tre vittorie di fila, dovrebbe essere nostro dovere festeggiare.»

Klem si sposta un riccio che pende davanti agli occhi azzurri e fa spallucce. «I miei hanno promesso che saremmo andati a mangiare al mio ristorante preferito, se avessimo vinto... perciò...»
«Che noia!»
«Sono stati premurosi, invece» ribatte Klem.
«No» Mic scuote il capo per poi guardarlo ironico, «che noia tu.»

La risata che gli esce spontanea dalle labbra sottili si mescola con il secondo canto, così disarmonico che farebbe scappare l'intera platea.
Klem gli tira l'asciugamano addosso, facendo il finto offeso, e Mic scappa il più veloce possibile per raggiungere l'agognata doccia che si è meritato dopo tutta quella fatica.

I muscoli tesi cominciano a rilassarsi poco a poco sotto al getto d'acqua, non così bollente come vorrebbe, e i capelli castani si incollano sulla fronte e ai lati delle orecchie. Rimane con la testa sotto al soffione per qualche secondo, in apnea, per poi scrosciare via l'acqua dai capelli, riprendendo a respirare.
Anche se è in pieno bollore, apre di più la doccia verso la parte calda. L'esaltazione alla fine di ogni partita lo fa sempre sentire in quel modo.
Il sorriso eccitato ancora non è scomparso dalle sue labbra, incurvate all'insù, mentre piccole goccioline d'acqua attraversano i lievi solchi che si sono creati ai lati, per poi scivolare lungo il mento e, infine, essere risucchiate dal canale di scolo.

Dopo parecchi minuti, torna nello spogliatoio, il posto di fianco al suo non è più occupato da Klem, e si guarda intorno senza vedere neanche il suo borsone.
«È andato via» gli dice uno dei ragazzi, intuendo il suo pensiero. «Aveva un appuntamento con...»
«Sì, me l'ha accennato.»
Afferra i jeans senza perdere la sua espressione gioiosa e se li infila velocemente, rimanendo uno degli ultimi del gruppo a doversi ancora cambiare.
«Allora, andiamo?»
«Aspettate!»
Infila alla rinfusa i vestiti e le scarpe da basket nel borsone ed esce fuori dagli spogliatoi con il resto della squadra.


* * *


Si rigira un ciuffo tra le dita fino a staccare uno di quei capelli biondi come il grano ed emette un lamento esagerato.

I suoi occhi blu – quel blu di cui inizia a dipingersi il cielo quando al tramonto il sole sta svanendo all'orizzonte – sono fissi sulla porta che dà agli spogliatoi e aspettano impazienti la comparsa di qualcuno. Le gambe sono a penzoloni e oscillano sugli alti gradoni della platea, e i palmi delle mani lo sorreggono da dietro.

Rumore CompliceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora