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Anna vede il sole già basso di fronte a lei. Devono essere passate due ore da quando ha cominciato a parlare: si sente la bocca secca e la voce arrochita. Si sarebbe aspettata che il racconto risvegliasse il dolore, così com'era successo negli altri giorni. Invece niente. L'unica cosa che sente è una tristezza fievole che le entra in testa e la rende esausta: vorrebbe ancora sapere come è morta sua figlia. Ci sono troppi interrogativi, troppi punti irrisolti. Però è invecchiata, non ha più la forza né le possibilità per indagare, e anche se lo facesse è sicura che non riuscirebbe a cavare niente. Riflette ancora per un attimo sul destino. Si è interrogata spesso, in quegli anni, sull'esistenza di un qualcosa che prestabilisca la direzione che prenderanno le vite umane. Non è mai stata capace di darsi una risposta, ma le piace credere che il destino esista. Perché pensa che ci dev'essere un motivo per cui alcune vite sono migliori delle altre, una risposta al perché a volte i percorsi siano così diversi. E ci ha riflettuto a lungo, ha vagliato mille possibilità, ma l'unica risposta credibile che è stata in grado di darsi è questa: ci deve essere un circolo. In un futuro che ora non può prevedere, lei non soffrirà e chi se l'è spassata per tutta l'esistenza proverà dolore. Magari, dopo questa vita, si reincarnerà in una persona più felice, oppure andrà in paradiso o in qualche posto del genere. È per questo che le piace pensare che il destino esista: ci sarà una ricompensa in un'altra vita. Solo l'idea che tutto quel dolore che le è caduto addosso, strappandole via ogni vitalità, rimanga fine a se stesso, la esaspera.

Michele non ha mai parlato. Tutto il tempo ad ascoltare con la testa inclinata e gli occhi grigi e calmi. Ogni tanto qualche verso d'assenso, qualche cenno che la incoraggiava ad andare avanti. Però non l'ha mai interrotta. Adesso Anna si vergogna, ha paura che lui possa giudicarla per quel racconto. Non sa nemmeno per cosa, di preciso: forse perché è stata patetica, o al contrario perché non ha mostrato nemmeno un'emozione. Però il volto di lui è rilassato, tranquillo. Lo guarda meglio per assicurarsi che non ci sia un'espressione di disgusto verso di lei, ma non le pare. Solo un'incrinatura sulla fronte e l'ombra scura nei suoi occhi. Prova prima sollievo, poi sente quel calore nel petto che si corrobora.

«Continuiamo domani. Sono un lo' stanca e ho bisogno di un po' di tempo per raccontarti bene il finale» sussurra Anna. Le mani le tremano mentre parla.

«Va bene». Passa qualche secondo e Michele riprende: «Mi dispiace tanto».

Anna pensa di scorgere un pizzico d'incertezza in quella voce vibrante e sorride: forse vuol dire che anche lui non è indifferente, quando si parlano.

L'infermiere li chiama per la cena, ma lei ha un blocco allo stomaco e va subito in camera da letto. Si spoglia e s'infila il pigiama, facendo attenzione per la prima volta dopo anni all'elasticità delle sue membra. Ha sessantatré anni, ma si mantiene ancora abbastanza bene. I muscoli delle cosce sono ben sodi, solo poca pelle afflosciata pende dalle braccia. È ancora abbastanza magra e, se non fosse per quel maledetto dolore alle articolazioni, potrebbe dire di essere ancora in perfetta forma. Quando si accorge per quale motivo sta giudicando le proprie forme, però, si vergogna dei suoi pensieri. Cosa diavolo mi sto mettendo in testa, si dice. Poi si ripete: sessantatré anni, sessantatré anni, sessantatré anni. Vorrebbe convincersi che è troppo tardi per ritornare ad amare, ma c'è sempre quel fuoco in petto che scoppietta, e quando pensa alla vecchiaia la fiamma sfrigola più forte. S'infila a letto con qualche movimento macchinosi, ancora riflettendo.

La notte dorme poco. Non pensa a Marta né a don Antonio né a sua madre. Non pensa nemmeno al dolore che l'ha stretta tra i suoi artigli per anni.

In mente ha Michele e il destino. Se l'è detto poco prima, ancora seduta sul balcone a dondolo con quell'uomo: in futuro qualcosa la ripagherà. Però prima pensava a un'altra vita, che fosse terrena o in qualche mondo superiore non importava. Ma non può davvero essere sicura che ci sarà un'altra vita, e anzi adesso si accorge che se l'è sempre ripetuto per rassicurarsi. Per dirsi: guarda, la possibilità di riscatto c'è, devi solo aspettare.

Ma di tempo non ce n'è più e la prospettiva del nulla si fa sempre più incombente. La rivincita deve prendersela adesso, su questo mondo, e poco importa se pochi anni di gioia non bilanceranno mai dodici di dolore. Ci pensa su per diverso tempo, con il ticchettio dell'orologio che scandisce il passare del tempo. Le vene infiammate da scariche di energia, il battito del cuore sempre più incalzante.

E ripensa a Michele. Chissà, potrebbe essere lui, la rivincita che deve prendersi. E magari anche lui ha qualcosa da recriminare al destino. Anzi, ne è sicura, anche se, così presa dal suo racconto, non ha ancora avuto il tempo di chiedergli cosa.

Nel buio, affiorano due occhi grigi e tristi, belli nella loro tristezza.

Si addormenta tardi e si sveglia abbastanza presto, ma non sente il peso della stanchezza. Il dolore alle ossa invece sì, ma quando dorme poco è normale che diventi più intenso. C'è qualcosa, però, che realizza dopo qualche secondo di lucidità. All'inizio ne dubita e prima di festeggiare prova a ripescare nei suoi sogni: non vuole illudersi. Però passa qualche minuto e la possibilità che sia successo davvero si fa più salda. Si accorge con un sorriso che ha la pelle d'oca sulle braccia.

Questa notte non ha sognato il ragazzo col berretto.

Il ragazzo col berrettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora