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La cena è uno dei momenti che più odia, lì dentro. In qualche modo, tutti loro hanno qualcosa che non va. Starci insieme, guardarli mangiare, la fa sentire parte di loro. Una vocina in testa le suggerisce che anche lei ha qualche rotella fuori posto.

A volte pensa che quello sia un manicomio sotto le false spoglie di una casa di riposo.

Quindi spera sempre che quel tempo passi in fretta. Mangia veloce, evitando gli sguardi altrui, e appena ne ha l'occasione abbandona il tavolo e torna in camera o nella sala comune.

Questa sera, però, ha qualcosa di nuovo in petto. Le fa quasi piacere trovarsi lì. Il tempo sembra scorrere al rallentatore, ma allo stesso tempo fatica a cogliere con precisione tutto ciò che le accade intorno. Gomitoli di pensieri che pulsano, sensazioni che si ammucchiano sulla bocca dello stomaco, dandole la nausea. C'è un leggero odore di melone che entra nelle sue narici, qualcosa di caldo le martella il cranio.

C'è Davide, al suo fianco, seduto a capotavola. Ha i capelli bianchi e lunghi portati all'indietro, ma una ciocca gli ricade sul naso. Fa un movimento con il collo per spostarla e Anna rabbrividisce. Di solito le crea solo un senso di nervosismo che svanisce man mano: è lo stesso gesto che da dodici anni e due mesi – quasi tre – compie quel ragazzo col berretto del suo sogno. Un movimento secco, rapido; il ciuffo che vola all'indietro e si adagia sul resto dei capelli, per poi cadere di nuovo dopo qualche istante. Tante volte, nel corso degli anni, ha pensato che Davide potesse essere davvero quel ragazzo del suo sogno. Sovrapponeva i due volti e, malgrado non avesse nessuna idea dei lineamenti del ragazzo, li scopriva simili. Un tremore rabbioso e impaurito insieme le prendeva tutti i muscoli. Poi, però, ragionava: il ragazzo – sempre che esistesse, ovviamente: il dubbio ce l'ha ancora – non poteva essere già così vecchio. Allora il tremito spariva e a lei rimaneva solo un nervosismo che la portava a cercare qualcuno su cui sfogarsi.

Adesso, però, che ha riesumato quei ricordi dall'abisso apatico in cui erano precipitati, non c'è solo quello.

Ritorna il dolore di quei giorni, l'amore cieco che la portava a sperare nell'impossibile. E poi paura: sa che quei fantasmi torneranno a tormentarla, adesso che li ha risvegliati. Quasi si pente di averne parlato con Michele. Un'ansia pesante le pesa sul petto: spera che quella cena non finisca mai. Non vuole affrontare la notte.

Franca è dall'altra parte del tavolo, il più distante possibile da lei. Però Anna si sente quegli occhi piccoli e neri che le frugano nell'anima. Chissà cosa c'è in quella testa, si chiede. Riconosce solo il rancore inspiegabile, ma non sa cosa sia a scatenarlo. Il peso sul petto si fa più opprimente, all'improvviso fa fatica a respirare.

Si ripete che non avrebbe dovuto parlare di quell'accadimento a Michele. Fino ad allora, nei mesi passati, a guardarsi indietro gli era sembrato di rivivere i ricordi di un'estranea. Il dolore si era assopito e lei lo guardava con gli occhi di chi compatisce, ma non capisce sul serio. Era all'esterno, lontana: era come raccontare la vita di un'altra persona. Adesso, però, con il dolore di nuovo in circolazione, si sente coinvolta. Una morsa ancora lenta, ma che si chiude man mano, le stringe il petto dalla sera prima. No, non avrebbe dovuto parlarne.

Però quando ne parla a Michele si sente più leggera. Sul momento, almeno. Quelle esperienze sono rimaste dentro di lei per anni e non ha mai avuto qualcuno con cui dividere, una persona fidata con cui potersi semplicemente sfogare. Con lui ci riesce, adesso. E pazienza se la cosa risveglierà mostri sepolti da tempo: quelli possono sempre riprendere vigore. Lo fanno ogni tanto, nei suoi sogni, per esempio. Ciò che le interessa, ora, non è addormentarli: vuole toglier loro il respiro.

Michele è di fronte a lei. Non vuole guardarlo. Chissà, potrebbe farsi strane idee. I peli dietro il collo si rizzano ed è un segnale che ha imparato a conoscere bene, nel corso degli anni: stai attenta, significa. Però, con un fremito delle labbra, ammette che quella che si sta facendo strane idee è lei, non lui. Spera, pentendosi già mentre il pensiero le attraversa la mente, che le stesse idee stiano accarezzando la mente di Michele. No, non vorrebbe guardarlo. Lotta per qualche istante contro la forza che la costringe ad alzare il capo.

Poi lo guarda. I capelli ingrigiti alla radice, il naso secco, le labbra serrate e bianchicce. E quegli occhi: vorrebbe tanto sapere perché si muovono di continuo, il motivo di quel vagare nell'aria senza sosta. Persi, con quell'ombra che a volte si allarga nel fondo. Si sente più leggera e sente, all'altezza dei polsi, il sangue che torna a circolare e crea un formicolio fastidioso. Deve aver stretto i pugni senza accorgersene, a giudicare da quel solletico e dai palmi chiari che stanno riprendendo colore.

Rimette le posate in ordine, piega il tovagliolo intonso in quattro parti uguali. Sposta un po' il piatto, lo fa girare, pulisce con il fazzoletto una macchia di pomodoro e lo ripiega di nuovo. Poi torna a manovrare col piatto, piega la testa di lato, arriccia gli occhi. Dopo qualche secondo si mette con i gomiti sul tavolo, un poco chinato in avanti, con le mani unite e rivolte verso l'alto. La guarda e le sorride, ancora inclinando il viso. La luce riverbera sulle sue guance rasate. Un calore tenue si accende nel petto di Anna. Continua a guardarlo negli occhi, ricambiando i sorrisi che lui le rivolge. C'è ancora quel segnale che le provoca brividi ripetuti sulla nuca, ma il calore che la avvolge le fa dimenticare qualsiasi gelo. Si risveglia da quell'incanto solo quando un cameriere inizia a sparecchiare. Per la prima volta, è dispiaciuta di alzarsi da quel tavolo.

Quando anche Michele lascia il tavolo, lanciandole un ultimo sorriso, il peso nel petto si fa di nuovo opprimente. Gli occhi si riempiono di lacrime, e il fatto che non sia capace di spiegarsi il perché aumenta solo lo sconforto. Se ne torna in stanza con le labbra strette, i muscoli del viso tutti tesi. L'artrite graffia con vigore i legamenti e l'ansia in petto sempre più strozzante. E poi arriva di nuovo la paura: ce le ha di nuovo davanti, quelle immagini che hanno straziato dodici anni e due mesi della sua vita. C'è sua figlia, con lo sguardo perso nel vuoto, la bocca sempre chiusa, la fronte corrugata. Ogni tanto un filo di bava scivolava dalla sua bocca, e lei pensava di sapere il perché: era troppo presa dai suoi pensieri per accorgersi del mondo che c'era fuori. Ripensa ai suoi capelli neri e unti, all'amore senza limiti che non le ha mai potuto dimostrare. All'odio che ribolliva nello sguardo che Marta le aveva lanciato quel sabato sera, dopo che se ne erano andate le amiche.

Un nuovo tremito le prende prima le labbra, poi le gambe, che cedono. Si rialza, ancora con i dolori alle ginocchia che la consumano. Poi entra in camera, senza sapere cosa le offriranno i suoi sogni. Di una cosa è sicura: sarà una notte tormentata.

Il ragazzo col berrettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora