La tempesta

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L'avevano ammanettato al muro non sapeva nemmeno lui quante ore prima: le gambe iniziavano a formicolare e i polsi a dolere dove le manette, troppo strette, gli segnavano la pelle diafana. Era lì immobile col volto livido, l'occhio gonfio e il labbro tumefatto tirato in un sorriso arrogante a ripensare agli eventi passati.
Era stato brillantemente fregato.
Il sorriso andò lentamente a scemare mentre delle voci si avvicinavano a quel tugurio, quel buco di culo di Satana, in cui era stato rinchiuso.
Non aveva paura di morire, avrebbe accettato qualsiasi cosa a quel punto. La donna che era stata trovata con lui era stata picchiata brutalmente e selvaggiamente dal marito fino a quando non aveva perso conoscenza, rinchiusa in uno scantinato e lasciata morire di stenti. Se gli avessero dato modo di uscire da lí avrebbe fatto scempio con il cadavere di quell'uomo che le aveva presentato la donna come domestica per poi ingannare entrambi e potersi prendere in moglie una fanciulla più giovane.
Aveva iniziato a sudare e gli insetti avevano iniziato a posarsi sulle sue carni martoriate. La porta della cella venne aperta e la luce di una lampada a olio gli ferì gli occhi abituati alla penombra.
《Ancora cosciente eh?》
Non rispose e i suoi aguzzini gli si avvicinarono lasciando che una mazza si schiantasse contro la sua rotula. Urlò di dolore accasciando la testa sul petto e un ringhio profondo gli salì dalla gola. Un pugno all'altezza della bocca dello stomaco gli fece quasi sputare sangue e quel poco di anima che gli era rimasta incollata al corpo. Lo malmenarono fino a quando non perse i sensi. Riprese conoscenza nel bel mezzo del deserto legato a un palo conficcato nel terreno, come un cavallo davanti ai saloon per evitare che si allontanino. Le giunture dolevano, il ginocchio destro era sicuramente andato a puttane e probabilmente una costola incrinata gli aveva forato un polmone. Non sarebbe durato a lungo. Debolmente provò a tirare la corda che lo teneva ancorato lì peggiorando solamente la situazione delle carni dei polsi e delle costole che probabilmente gli avevano forato un polmone. Non lo ritenevano nemmeno degno di una morte veloce quei bastardi. La polvere aveva ricoperto le ferite aperte creando una pasta di sangue e terra, le labbra erano già spaccate e screpolate e le porzioni di pelle non coperte dal logoro tessuto ustionate. Alzò gli occhi verso il cielo cercando di riparasi come poteva dal sole, gli avvoltoi avevano giá iniziato volare da quelle parti: ecco che fine avrebbe fatto. Il sole e il caldo torrido avevano iniziarono a farlo delirare: cominciò a ridacchiare soffrendo come un maledetto per colpa delle costole incrinate, cercò addirittura di bersi la terra e recuperò un attimo di lucidità quando le labbra sanguinolente incontrarono il terreno aspro e i denti si riempirono di polvere. Le allucinazioni iniziarono a prendere il sopravvento e immaginò di star mordendo la carne nuda di una sua amante, lasciò baci poco umidi al terreno e strofinò la guancia contro di esso gemendo. Tentò nuovamente di liberarsi per afferrare i seni ambrati dell'allucinazione. Il dolore gli fece riacquistare un poco di luciditá e l'amante gli sparì da davanti agli occhi. Si rialzò con i morsi della fame che iniziavano a farsi sentire e prese a morsicarsi l'avambraccio fino a quando un pezzo di carne non gli rimase tra i denti, il dolore lo accecò,  urlò dal dolore e un conato di vomito lo colse e fece per rigettare il tutto, ma iniziò a piangere per quel poco che potè farlo viste le condizioni di disidratazione in cui verteva. Perse conoscenza mentre un'ombra veniva proiettata su di lui. Quandò riaprì gli occhi era all'interno di una tenda, strani intrugli gli erano stati spalmati sul corpo e più e più bende intrinse di strani unguenti lo avvolgevano. Un particolare odore pungente aleggava tutt'intorno. La mano con le dita fratturate e il ginocchio rotto erano immobilizzati da pezzi di quello che a un'occhiata veloce con l'occhio buono sembrava legno. Un rantolo gli fuoriuscì dalle labbra spaccate e subito un panno umido vi venne poggiato sopra con estrema delicatezza lasciando che alcune gocce d'acqua gli scivolassero giù dalla gola. Se quella era un'altra illusione questa volta la sua testa si era data particolarmente da fare. I giorni si susseguirono lenti scanditi dai suoi bruschi risvegli, acqua fatta scivolare in gola insieme a brodaglia calda e allucinazioni e incubi dovuti alla febbre alta che lo aveva colto. Quando non era troppo febbriciante notava le figure che armeggiavano intorno a lui cambiandogli le bende o massaggiandogli le carni con unguenti dall'odore pungente. La febbre andò scemando col passare del tempo così come il dolore al torace e ben presto prese coscienza dell'essersi strappato a morsi la pelle del braccio oltre al fatto che quella che stava vivendo non era un'allucinazione. Più il tempo passava a più imparava a conoscere gli indigeni che l'avevano salvato imparando da loro più che da chiunque altro. Iniziò a stare seduto e a trascinarsi di qua e di lá nella tenda per passare il tempo, fortunatamente le costole incrinate non si erano fratturate e non gli avevano forato organi interni. Rimase stupito dai metodi del capo tribù e del suo "santone", ma ben presto vi si abituò così come si abituò ai loro abiti, che oramai indossava abitualmente, al loro cibo e al buffo nome che gli avevano dato. Iniziò a comprendere la loro lingua riuscendo addirittura a comporre qualche frase semplice. I capelli, rasati quando era stato portato lì, erano ricresciuti e gli ricadevano sulle spalle mentre un accenno di barba biondiccia aveva iniziato a farsi sempre piú visibile sul suo volto. Iniziò un lungo periodo di ripresa, camminava poggiandosi a un bastone e pian piano riprendeva confidenza con le sue gambe che spesso lo avevano lasciato col culo per terra nell'ultimo periodo suscitando le risate generali. Gli insegnarono a conciare le pelli e a scuoiare gli animali, per la caccia vi era ancora tempo soprattutto perchè doveva imparare a usare l'arco con l'altra mano visto che quella dominante era stata messa fuori uso. Ricominciare a cavalcare fu un'impresa, così come camminare senza l'ausilio del bastone, ma l'essere costantemente aiutato lo faceva sentire un peso per quella tribù di salvatori. Col tempo ottenne dei risultati su ogni fronte: la sua sposa attendeva un figlio, il capo tribù gli aveva dato il permesso per iniziare a cacciare e finalmente riusciva a salire sul cavallo senza che qualcuno lo spingesse da dietro. Era riuscito a integrarsi nella loro gerarchia e aveva ottenuto i segni distintivi dei guerrieri, rossi e neri, sulla pelle chiara che ormai soleva ricoprire totalmente con della fanghiglia nelle zone esposte per non ustionarsi.
Il tempo passò in fretta, le settimane divennero mesi e i mesi anni e quasi iniziò a dimenticare per quale motivo gli indiani lo avessero raccattato dal deserto di terra a un passo dalla follia, tuttavi il desiderio di vendetta era insito in lui annidiato nel suo animo e, nonostante il capo tribù lo avesse raccomandato di non farsi guidare dalla vendetta sapeva che l'avrebbe avuta un giorno o l'altro.
Salì in groppa al suo cavallo, non senza difficoltá e fissò il cielo: le cicatrici e la frattura gli facevano un male cane, probabilmente si stava avvicinando una tremenda tempesta su quel posto dimenticato da tutti. Dall'alto di un'altura, dopo aver ottenuto il permesso dal suo capo, fissava quella che era stata casa sua in passato senza provare nulla, aveva un posto in cui stare ormai. Controllò che le frecce fossero a posto, che i coltelli fossero affilati e scese al galoppo verso la masseria più isolata pronto a far scempio del cadavere di quel maledetto bastardo.

La tempesta era in arrivo.

Spazio me

Dopo eoni torno a scrivere qualcosina, questo è un esperimento e so che risulterá frettoloso, molto probabilmente scomposto e privo di "magia", ma volevo vedere se ero ancora in grado di scrivere qualcosa e mi è uscito questo. Spero possiate apprezzarlo ^^

Buone vacanze in ritardo...visto che tra poco finiscono... D:

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