Capitolo 22 - La promessa

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La promessa

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Uscimmo dalla gelateria senza dire una parola. Il modo in cui Aleksandr guardava il vuoto era shockante, per non parlare della voce che, in quei giorni, aveva: roca e molto profonda, come quella di un serial killer. Cercai di fare attenzione alla macchina respiratoria ai miei piedi mentre camminavo, piccola ma molto fragile. Da più di due giorni, dopo l'ennesima visita del dottore, era costretto a respirare artificialmente – gli alveoli polmonari dei suoi polmoni erano in parte danneggiati, il che gli impediva di respirare regolarmente.

Il suo midollo osseo era ormai fuori uso, aveva perso la capacità di muovere le braccia e il collo, e il dottore lo aveva anche previsto. Ci aveva avvertito che, prima o poi, sarebbe peggiorato.

"Qualsiasi errore può essere fatale."

E l'errore fu quello di ritrovarci. Se avessimo continuato ad ignorarci, probabilmente non sarebbe mai finito su quella sedia a rotelle, con una macchina respiratoria alle sue spalle collegata da un tubo. Gli mancava solo la flebo, ma sapevo che era questione di tempo. Gli restavano ancora trenta giorni, e la fine di luglio era giunta – era il trentuno, e mia madre avrebbe portato il gelato per festeggiare il fidanzamento di Lucia e Michael. Finalmente le aveva chiesto la mano.

Quella donna era molto felice per lui, ma tendeva a nascondere la tristezza e il dolore per Alec che, poco a poco, si avvicinava al confine della vita. Mia nonna definiva la morte "come oltrepassare il confine di uno Stato e andare chissà dove, in un luogo praticamente sconosciuto, cominciando una nuova vita – con l'unica differenza che questa è eterna."

"Andrò dove la brezza marina mi porterà."

Tutti noi, compresa io, cercavamo di non pensare all'orribile destino di Aleksandr, e solo mia madre faceva fatica ad accettare la realtà. Anch'io, dopo un po'.

Trascorrere le giornate con lui si rivelò più dura del previsto. Oltre a trasportare un invalido pesante, tra macchine e altre cose, non riuscivo a smettere di ripetermi nella testa che, se era finito su quella sedia in fin di vita, era solo colpa mia. Non trovavo la forza di sorridere e guardare il mondo al contrario rispetto a come lo vedevo prima – dovevo solo smetterla di dedicarmi soltanto a me stessa, più che altro.

Dovevo diventare uno spirito libero, cosa che Aleksandr effettivamente era. Anche in quelle condizioni, sapeva come tirarmi su il morale, ma non a liberarmi dai sensi di colpa che continuamente mi tormentavano.

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