capitolo uno // hope

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Quando ero piccola mettevo le mie braccia nella maglietta e dicevo alle persone che avevo perso le mie braccia, riavviavo il videogioco ogni volta che sapevo che stavo per perdere, dormivo con un sacco di pupazzi di peluche così nessuno di loro si offendeva, avevo quella penna a quattro colori e cercavo di spingere i bottoni in una volta, aspettavo dietro una porta per spaventare qualcuno, poi me ne andavo perché ci avevano messo troppo tempo per uscire o dovevo fare pipì. Fingevo di dormire, così potevo essere trasportata a letto, pensavo che la luna seguisse la mia macchina, guardavo due goccia d'acqua scivolare sulla finestra e facevo finta che fosse una gara, ingerivo dei semi di frutta ed avevo paura a morte che un albero sarebbe cresciuto nella mia pancia, mi sbucciavo le ginocchia che guarivano meglio di un cuore distrutto. 

Ricordo quando ero bambina e non potevo aspettare altro di crescere e diventare grande.

A che diavolo stavo pensando?  

Adesso di anni ne ho ventitré e no, non sono diventata un'astronauta come sognavo da bambina. Lavoro presso una rivista statunitense mensile - "Quby" - ed io ho uno spazio tutto mio dedicato a piante e fiori. La passione di mia madre. Ricordo ancora il profumo di basilico e rosmarino che proveniva dal suo orto proprio sotto dalla finestra della mia cameretta. Lo curava con talmente cura, che stento a crederci che sia andato distrutto. 

E lei con lui.

Mia madre lottava contro un male, contro la leucemia. Ma non ce l'ha fatta. E nonostante siano passati cinque anni, il suo ricordo è fresco e nitido nella mia mente come se fosse successo ieri.

Per questo motivo ho deciso di unire la mia passione per la scrittura con quella di mia madre, per tenerla sempre vicino a me. La donna che mi ha dato la vita per saperla apprezzare, il cuore per saper amare, gli occhi per saper osservare, la bocca per poter dire grazie.

***

- Hope, Hope, Hooope!! - la mia direttrice, nonché migliore amica e confidente, mi diede il buongiorno strillando dall'altro capo del mio ufficio. Se la sua voce prendesse forma di un pugno, avrebbe distrutto l'intero edificio.

-Meredith, calmati, tieni, prendi. E' un decotto alla camomilla, non ti farà altro che bene, stai tranquilla.-

Lei scaraventò il bicchiere di vetro in aria, rompendolo in mille pezzi e versando il contenuto sul pavimento.

-Al diavolo il tuo decotto del cazzo, tu non immagini minimamente chi mi ha chiamato. Steven Maddox!-

Dalla mia espressione scettica, intuii che non avessi la minima idea di chi fosse questo tizio.

-Tu, tu non puoi capire. Questo darà la svolta alla mia vita. Uno degli uomini più ricchi di New York, figlio del proprietario di questo intero ufficio più quello accanto. Alto, biondo e occhi più azzurri del cielo a mezzogiorno. Trent'anni e fisico da ventenne. Posso chiedere di meglio?-

-Beata te, Meredith. Pagherei per un appuntamento a lume di candela.- dico con tono disperato.

-Oh tesoro, iscriviti a Omegle. Io lì ho trovato il mio lui, chissà se a te capita di meglio... anche se il mio Steven è unico al mondo.- sorride con tutta la faccia, si volta verso la porta e a grandi falcate se ne va compiaciuta.

-Stronza- balbetto.

Anche se so benissimo che non lo penso davvero. Meredith è il mio capo, la mia confidente, la mia consigliera, la mia unica e migliore amica. Mi ha offerto questa opportunità lavorativa qualche mese dopo la morte di mia madre. Mi ha aiutato a gestire sia la depressione di mio padre che la mia. Con la differenza che mio padre non è riuscito ancora a mettere piede fuori casa, mentre io ho tentato di rifarmi una vita una ventina di volte, fallendo miseramente in tutte.

Tre grammi di te; wechatМесто, где живут истории. Откройте их для себя