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Ethan fece oscillare il suo sguardo tra il mio viso e la mano di Mason che mi accarezzava sotto la maglia.

Sembrava quasi ferito, e non compresi nemmeno il perché.

Forse perché non avevo dato ascolto ai suoi consigli...

Si alzò con calma e posò la tazzina del caffè che stava bevendo nel lavandino, sospirò pesantemente e si voltò, incastrando i suoi occhi con i miei.

Senza rompere il nostro contatto visivo, aprii la porta d'ingresso e sollecitai Mason ad andarsene, cosa che fece con malavoglia.

"Scusami" sussurrai portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Lui abbassò lo sguardo e si massaggiò le tempie.

"Perfavore vai a prendere il latte al distributore vicino al parcheggio" sussurrò quasi a fior di labbra.

"Ethan, cazzo, ti ho chiesto scusa" ribattei, tentando di sembrare dolce.

"Ho detto di andare" alzò esageratamente la voce.

"Non ti rivolgere così a me" mi avvicinai a lui, puntandogli il mio dito sul suo petto "non ne hai motivo".

Lui mi guardò e i suoi occhi sembravano così dannatamente tristi.

"Dovresti imparare a riconoscere chi ci tiene a te e chi è solamente una testa di cazzo" ringhiò fissandomi le labbra.

"Da quando in qua tu tieni a me?" domandai, fissando la sua bocca.

"Da quando i tuoi problemi sono anche i miei" rispose di conseguenza.

Rimasi abbastanza scossa dalle sue parole.

"Ti porto problemi?" indagai.

"Sei un guaio" rispose "ora vattene"

Uscii sbattendo la porta e andai a comprare il suo dannatissimo latte.

Il vento freddo mi fece rabbrividire.

Se fossi stata con mio padre, questa sarebbe stata la tipica serata in cui mi avrebbe portato a casa dei suoi amici e mi avrebbe chiesto di sedurli, per poi rubare i soldi dal portafoglio riposto nella tasca posteriore dei loro jeans.

Solo una cosa non era cambiata dal mio passato a quell'attimo: ero un casino e, per lo più, ero ancora sola.

L'unica cosa che ero brava a fare era incasinare anche gli altri e fargli soffrire le mie pene, come Ethan.

Non volevo far soffrire nessuno eppure lo avevo fatto con lui.

Questi pensieri mi sollevarono completamente dalla realtà, tanto che quando mi ritrovai ai piedi delle scale del mio palazzo, me ne sorpresi.

"Ehi" vidi la figura slanciata di Grayson salire dalla rampa che portava ai garage.

Mi baciò la fronte e salimmo insieme le scale.

"Problemi in paradiso?" mi domandò.

"No, problemi all'inferno con un certo diavolo che ha il tuo stesso sangue" lui ridacchiò per la mia risposta e spalancò la porta di casa.

Entrambi ridacchiavamo ancora quando, vedendo Ethan e Vanessa seduti al tavolo della cucina, il sorriso ci morì in gola.

Le loro mani erano intrecciate e lui sembrava rapito dalle parole della bionda.

"Che cazzo ci fai a casa mia?" Grayson, da buon fratello, si alterò immediatamente.

"Tranquillo fratello" Ethan lasciò una pacca sulla spalla a Gray e mi guardò torvo.

"Vanessa starà qui per un po', finché non decideremo cosa fare. Ha perso il lavoro e penso che la potremmo aiutare, insomma, il posto lo abbiamo..." lasciò la frase in sospeso in attesa di una nostra reazione.

Grayson scontrò volutamente la sua spalla con quella del gemello, per poi salire le scale infuriato, facendo cadere alle sue spalle un paio di soprammobili.

"Come vedi sei la benvenuta" risposi acida.

Lei mi guardò e mi accorsi solo in quell'istante del trucco sfatto e colato sulle guance.

Quasi mi sentii in colpa ma mio padre mi aveva insegnato da sempre a non mostrare le mie emozioni.

"Non dovresti versare lacrime per così poco" sospirai.

Lei si alzò e, dopo aver tentato invano di baciare Ethan, andò al piano superiore, verso le camere.

Fissai Ethan che, in quel momento, sorseggiava il latte che gli avevo appena portato.

La barba, tarda di un paio di giorni, faceva risaltare le mascelle possenti e i suoi occhi profondi, sembravano così severi...

"Piantala di guardarmi... a che pensi?" domandò, pulendosi la bocca sulla manica della maglia.

"Pensavo solo che è un brutto modo per vendicarsi... io ho ignorato i tuoi consigli e tu hai riportato in casa quella tipa" constatai duramente.

"Non pensare che sia per vendetta e, anche se lo fosse, almeno siamo pari: tu frequenti una persona che io non sopporto e viceversa" rispose con una scrollata di spalle, fingendosi disinteressato.

"Sai, almeno ho una consolazione" dissi ad alta voce e lui mi guardò, in attesa che continuassi a parlare "non sono l'unica cogliona"

Il suo sguardo si indurì, la mascella si contrasse e i pugni si strinsero.

Salii le scale con molta tranquillità, come se nulla fosse.

"Ariah" mi chiamò lui da metà scala.

Mi voltai velocemente e lo guardai, inarcando un sopracciglio, in attesa che proferisse parola.

"Buonanotte" mi disse, ma sembrava quasi che volesse aggiungere altro o che avesse sbagliato parole.

"Anche a te, dormi bene con Vanessa" gli strizzai l'occhio.

"Gelosa?" chiese indispettito.

"Di te? Mai" risposi a modo.

"Ne dubito" esclamò.

"Anche io dubito che tu mi voglia bene ma faccio finta di crederci. Sono abilità che si acquistano nel tempo" ribattei strafottente, per poi arrivare in camera mia e buttarmi a capofitto sul mio letto.

L' ultima cosa che sentii fu un bacio sulla mia guancia e un profumo di vaniglia invadermi le narici, poi le palpebre caddero.

-Elisa

Ring - Ethan DolanWo Geschichten leben. Entdecke jetzt