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15.04.1905

Ed eccomi qui, a guardare la gente che saluta i suoi cari -perché probabilmente non li vedrà più- sventolando fazzoletti bianchi in aria, gridando e scuotendo le mani; e molti altri piangendo.
Li osservo fin quando son troppo lontana e loro sembrano delle formichine sperdute in mezzo al mare.
Ho sognato per molti anni di poter visitare le famose Americhe, durante gli anni cercavo di risparmiare, ma con i tempi che corrono difficile tirarne su molti.
Finalmente raggiunti i diciotto anni mia madre e mio padre mi concessero il permesso per il viaggio, ma mancavano ancora molti soldi.
I miei compaesani quando vennero a sapere di questa cosa fecero una colletta, tirai su molti soldi e promisi loro che sarei andata nelle Americhe a far fortuna per poi ridare in dietro il doppio della somma che mi avevano donato.
E ora sono qui, a bordo della famosissima nave Santa Caterina in viaggio verso le Americhe.
Quando ormai il porto da cui sono partita è scomparso dietro l'orizzonte mi ritiro nella mia cabina, anche perché l'aria si è fatta fredda e sto congelando.
La cabina che mi hanno assegnato devo condividerla con altri due uomini, una donna e una bambina che avrà pressoché sui dieci anni.
Sistemo la mia piccola valigia sul fondo del letto e ne tiro fuori uno scialle cucitomi da mia madre l'anno precedente.
Guardo l'orologio da taschino di mio padre –me lo ha regalato per il viaggio- e dopo aver constatato che sono solo le cinque del pomeriggi rimetto l'orologio nella valigia dove l'avevo trovato prima e mi incammino verso prua per ammirare il mare.
Fortunatamente nessuno dei miei 'coinquilini' mi ha fatto delle domande.
A prua ci sono alcuni bambini che si rincorrono come gioco, uomini in gruppo che si fumano una pipa parlando della loro vita e alcune donne, meno degli uomini, che parlottano tra loro.
In questo momento mi sento talmente fuori posto che mi maledico mentalmente della scelta che ho preso, non sarei dovuta partire sola.
Saranno quindici giorni lunghissimi.
Mi guardo in torno per farmi un'idea della gente che c'è su questa nave, quando incrocio lo sguardo di un ragazzo.
Ha i capelli neri come la pece tirati indietro con del gel e un ciuffo gli ricade sul viso e i sui occhi sono neri come i capelli.
Appena mi nota abbozza un sorriso e dei strani buchi si formano ai lati della sua bocca.
Lentamente si avvicina a me.

"Buon pomeriggio signorina."

"Buon pomeriggio a lei."

"Non trova che oggi è una giornata stupenda?"
Sinceramente non avevo notato che il vento si era fermato e che sopra di noi c'è uno splendido sole.

"Si, molto bella."

"Non mi sono presentato, che incosciente, sono George Deep, figlio del capo dei magazzini Deep a New York."

"Vedo che parla molto bene l'italiano signor Deep."

"Sono stato in Italia per qualche anno signorina..."

"Teresa, Teresa Bianchi."

"...signorina Teresa, che bel nome."

"La ringrazio."

"E' in viaggio sola?"

"Si, la mia famiglia è voluta rimanere."

"Visto che viaggio solo anch'io non le dispiace se ci vediamo qualche volta per fare due chiacchere?"

"Certo che no, ora se non le dispiace dovrei ritirarmi nella mia cabina."

"Certamente."

Quel ragazzo aveva qualcosa di diverso, e qualcosa mi spingeva a volerlo conoscere.

Contrariamente a quello che pensavo i giorni su questa nave sono passati molto in fretta e la compagnia di George ha reso il viaggio molto più piacevole, ho scoperto perfino che i buchi sulla sua faccia sono chiamati 'fossette'.
Il porto si fa sempre più vicino, io e George ci avviciniamo al bordo della nave con le nostre valigie in mano e guardiamo le persone che si muovono di fretta tra la folla per cercare i loro cari.
Appena la massa di gente si affievolisce scendiamo dalla nave.

"Quella è la mia auto, sono venuti a prendermi. E' stato un piacere conoscerla Teresa."

Detto questo mi baciò la mano, recuperò la valigia che aveva posato a terra in precedenza e salì in macchina allontanandosi per sempre da me.
Forse provavo qualcosa per quel ragazzo, ma ormai era troppo tardi per dirglielo.
Se il destino ci ha fatti incontrare, forse allora ci farà ritrovare.

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Questo non accadde mai, dopo qualche anno che vivevo nelle americhe ho conosciuto un uomo e ci siamo sposati.
Ora sono vent'anni che abito a New York e che vivo una vita felice.

Proprio stamane mi è arrivata una lettera.

"Cara Teresa,
sono George, non so se rimembri il nostro incontro sulla nave.
Sono passati molti anni e mi scuso per il ritardo di questa lettera, ma ho trovata il tuo indirizzo per caso qualche giorno fa.
Mi sarebbe molto piaciuto rivederti Teresa, ma mi duole dirti che mi sono appena aruolato per la guerra.
Ti ho amata dal primo istante.
Ciao, arrivederci, addio; questo non si sa.
Io credo nel destino, forse un giorno, anche da vecchi ci rivedremo.

George"



E siamo a 200 visualizzazioni, vi adoroooo.
se ci sono errori scrivetelo che controllo visto che non l'ho riletto.^^

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