Capitolo15

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POV Stefano


Risi per tutto il tempo, senza riuscire a controllarmi, ma mi accorsi anche di essere emozionato. Forse era una sciocchezza, pensai, ma mi commuovevo ascoltare le confidenze di Roberto che, come sempre, mi stava parlando. E poi ero molto eccitato dall'idea di andare a conoscere l'uomo che, io l'avevo capito subito, aveva fatto di quel ragazzo la persona più adorabile del mondo.

Il professore era naturalmente nel suo regno, circondato dai libri, e cercava di insegnare il francese a due giovanotti che non avevano molta voglia. Il papà si alzò, rivelandosi parecchio più alto di Roberto e certamente più imponente. Io dovetti quasi alzare il capo per guardare quell'uomo grande e buono che mi sorrideva. Notai che aveva la stessa faccia di Roberto e gli stessi capelli un po' più lunghi, che erano già candidi, anche se incorniciavano un volto ancora giovanile.

"Finalmente ci conosciamo. Sono davvero contento, perché ero diventato curioso: Roberto non fa altro che parlare di te".
Suo figlio avvampò un'altra volta, imbarazzato.

Il padre ridendo continuò: "So che è un figlio rispettoso e prudente, ma spero per lui che parli bene di me!"

E scoppiammo a ridere.

Ci siamo piaciuti subito, con mia grande felicità. Mentre parlavamo mi guardavo intorno, lanciando occhiate molto incuriosite alla biblioteca. E il papà di Roberto notando il mio sguardo, m'invitò a tornare:

"Stefano, vieni ancora a trovarci", mi disse, "ma fallo in un momento in cui ci sia maggiore tranquillità. In questa stanza, tra questi libri, sono conservati alcuni tesori che aspettano solo di essere rinvenuti e sono certo che a te piacerebbe cercarli!".

Poi ce ne andammo nel tunnel e lì i miei occhi brillarono ancora di più: vedere il letto di Roberto, il cuscino su cui posava il capo ogni notte e le coperte che l'avvolgevano quando vi si adagiava, mi commosse.

Roberto mi mostrò i suoi libri: "questi non sono che una piccola parte dei libri che ho già letto, perché quelli francesi sono nella biblioteca grande. Di là ce ne sono alcune migliaia e ho intenzione di leggerli tutti. Anche se papà dice che sono matto!"

Poi mi fece vedere la divisa della squadra di calcio nella quale militava e molto velocemente e con qualche imbarazzo, mi fece sbirciare nella sua parte di stiva del catafalco.

"Queste sono le mie ricchezze. Sei la prima persona, oltre a mia madre, alla quale consento di guardare qua dentro!"

Io avrei voluto piangere per la felicità che tutto quello mi dava: mostrandomi la sua vita, gli oggetti di tutti i giorni, i suoi vestiti, Roberto mi stava rivelando la sua intimità e questo per me era emozionante. Riuscii ugualmente a sogghignare e a parlare con noncuranza: "in effetti ci vuole un po' di coraggio".

Nell'armadio, infatti c'erano buttati, in mezzo a oggetti di ogni genere e giocattoli ormai in disuso, tutti i vestiti di Roberto. M'intenerii davanti a quella disarmante dimostrazione di confidenza e d'affetto, e com'era spesso accaduto in quei giorni, provai il desiderio di abbracciarlo, di baciarlo, di stringerlo, ma mi controllai, limitandomi a dargli una pacca sulla spalla.

"Se dovessi avere bisogno di aiuto per rimetterlo in ordine, conta pure su di me. Credo che tutta una domenica sia sufficiente!"

Roberto scoppiò a ridere: "grazie!" disse restituendomi la pacca, "lo terrò presente! Davvero gentile da parte tua".

Passò un'altra settimana prima che decidessimo di fare una passeggiata insieme.

Era l'ultimo giorno d'ottobre, vigilia di Ognissanti e per quel pomeriggio non avevamo molto da studiare. A Roberto venne l'idea di andare a fare un giro in bicicletta e io ne fui subito entusiasta, perché per la prima volta avrei fatto insieme qualcosa che non era strettamente legato alla scuola. E poi saremmo rimasti da soli per un po' di tempo e questo mi emozionava. Anche Roberto fu contento che la sua idea fosse tanto piaciuta.

Io possedevo una mountain bike nuova e molto colorata. L'avevo utilizzata soltanto poche volte, per qualche passeggiata solitaria. A Roberto invece, era pervenuto di terza mano, essendo stati i suoi fratelli i precedenti proprietari, un biciclo d'epoca e colere indefinibile, molto provato dagli sgarbi cui era stato sottoposto, durante una vita già prolungata con mille accorgimenti.

Pedalammo lentamente fino ad allontanarci dalla città, percorrendo strade di campagna che erano note soltanto a Roberto. A lui sarebbe piaciuto portarmi alla villotta, perché quello era il posto che più di tutti avrebbe voluto mostrarmi, ma non potevamo allontanarci troppo. Quando eravamo partiti era già tardi ed entro un'ora il sole sarebbe tramontato.

Tornammo a parlare delle nostre vite, degli incontri che avevamo fatto, delle avventure vissute, dei tanti amici di Roberto, mentre io potei soltanto dirgli di tutti i posti che avevo visitato, delle città in cui avevo vissuto, dell'America, del nonno e di Simone, quando ero stato con lui.

In quei giorni avevamo parlato anche delle letture fatte, scoprendo che spesso avevamo letto gli stessi libri, anche se io l'avevo fatto in inglese e lui in francese, talvolta entrambi in italiano e avevamo scoperto che i nostri percorsi erano molto simili. In tutte quelle scelte eravamo stati condizionati dai propri genitori, ma lo scoprire tante somiglianze ci aveva divertiti e stupiti.

Quel giorno il tempo passò molto velocemente e il tramonto giunse troppo in fretta. Io mi sentii improvvisamente triste, forse perché la passeggiata, quel momento tanto speciale e tutto per noi, stava passando e di lì a poco saremmo tornati a casa. Eravamo stati insieme, avevamo parlato ci eravamo detti tante cose, ma nulla era cambiato. Entro pochi minuti, ciascuno sarebbe tornato alla propria vita, io alla mia solitudine. Cercavo qualcosa in Roberto. In quei giorni l'avevo visto felice, ma, dopo tutti i discorsi che ci eravamo fatti, mi era venuta un'idea. Non sapevo bene se fosse soltanto una fantasia, un desiderio o qualcosa di più reale: mi pareva che in fondo al suo cuore Roberto avesse una porta chiusa, dietro cui nascondeva tenacemente un altro mondo, un segreto che doveva fargli paura. Fantasticavo su quello che poteva esserci oltre quella soglia e al di là della gentilezza, delle premure, dell'affetto che Roberto mi dimostrava in ogni momento.

Avevo notato, però, che molte volte era arrivato sul punto di dire qualcosa, di fare qualche domanda e si era fermato. Altre volte ero stato io a bloccarmi prima di manifestare qualcosa che potesse turbare Roberto ulteriormente, perché avevo notato che lui sembrava a disagio.

Pedalavamo in silenzio da qualche minuto, ciascuno perso dietro ai propri pensieri e pareva che avessimo, per il momento esaurito tutti gli argomenti affrontabili fra noi. E se il tramonto mi aveva già reso triste anche per Roberto quella luce declinante era stata origine di malinconia.




POV Roberto


Pedalavo e pensavo che di lì a poco avrei lasciato Stefano, che non l'avrei visto per tutto il giorno successivo e questo era già sufficiente a rattristarmi, ma la lontananza da Stefano, lo sapevo bene, l'avrei bene ricondotto ai miei pensieri, a quelle idee su di me che mi spaventavano tanto. Quando gli ero accanto, tutti i miei crucci sparivano, i timori e le ansie che mi tormentavano si dissolvevano nel momento in cui vedevo apparire Stefano e mi riassalivano puntuali quando ci lasciavamo, dopo la scuola, oppure la sera dopo che avevamo studiato insieme. In silenzio, sulla via del ritorno, senza saperlo, facevamo lo stesso pensiero: diventare amici, essere così intimi, ci aveva resi felici. Eravamo contenti che il nostro legame si facesse ogni giorno più forte. Eravamo già appagati dalla vicinanza ma, cercavamo entrambi un modo affinché il nostro legame si approfondisse.




POV Stefano


Io che in quel momento lo precedevo, mi voltai a guardarlo e mi chiesi ancora una volta se, dietro gli sguardi che Roberto spesso mi rivolgeva, ci fosse veramente un qualche segreto. Sapevo bene in quale modo io avessi sempre guardato in quegli occhi neri e ora mi pareva che gli sguardi che ci scambiavamo fossero ogni giorno più simili, che Roberto mi guardasse con gli stessi occhi innamorati. Ma questo non dovevo neppure sperarlo: Me lo ripetei per l'ennesima volta. Lo dissi quasi ad alta voce, poi alzai lo sguardo e vidi il sole che calava, le ombre degli alberi che si allungavano prima di confondersi fra noi.

"Roberto...tu vuoi bene a qualcuno?"

Pedalando dietro di me Roberto non poté scorgere l'attesa e la speranza che c'erano nei miei occhi: "Non lo so, forse a Teresa", disse, "pensa che a Carnevale ci siamo quasi fidanzati. Lo so sembra uno scherzo, ma è proprio vero!".





POV Roberto


La replica era stata automatica, come la risposta che tante volte avevo dato agli altri miei amici. Per tutte le volte in cui me lo avevano chiesto, le solite parole dette per convincere anche me stesso. Ma nel ripeterlo capì che questa volta, con Stefano, poteva essere diverso: forse potevo finalmente confidarmi con qualcuno. Perché io sapevo bene dell'esistenza di quella porta e di ciò vi era nascosto, proprio in fondo al mio cuore, ma fino a quel momento ero stato più che certo di non poterla mai aprire, di non poter mai mostrare a nessuno il segreto terribile che celava.

Mi stavo lasciando andare: Mi scossi: parlarne a Stefano? Per dirgli cosa poi? Non riuscivo neppure a immaginare come l'avrebbe presa quello là se gli avessi rivelato il mio segreto. Soltanto una cosa potevo dirmi certo: a Stefano non interessavano le ragazze, almeno non particolarmente, non come ai Cavalieri, per esempio. Questo non ci avevo messo molto a capirlo. Poteva essere la timidezza, oppure una certa immaturità a far sì che Stefano si comportasse a quel modo.

Questo mi suggerì la mia prudentissima coscienza che decisi di ascoltare. Perciò, anche se la voglia di confidarmi era grande, preferii essere cauto: non potevo rischiare di rovinare quella nuova amicizia confessando a un ragazzo della mia età, che per giunta conoscevo poco, d'avere respinto le proposte di quella quasi fidanzata, perché ne avevo provato ribrezzo. Oppure raccontandogli che mi masturbavo, immaginando di toccare i miei compagni di scuola, e da qualche giorno, il mio compagno di banco.

A quest'idea mi sentii avvampare, come se invece di pensare, avessi parlato ad alta voce e poi, assieme al rossore, mi accorsi che il mio corpo aveva risposto nel consueto modo. Ebbi terrore che Stefano potesse , chissà come, notarlo e questo, per il momento, parve allontanare, i miei propositi di confidarmi. Pensai di ripetergli la solita storia, raccontata e rievocata mille volte a uso di tutti quelli che non dovevano sapere. Una storia che si concludeva sempre così: "lei non mi guarda neanche più e io ho non so se le voglio davvero bene".

Ma non ebbi il coraggio di ripeterla anche a Stefano.

Pedalammo in silenzio, uno in attesa che l'altro parlasse.

"Sai Stefano", dissi dopo un po', quasi senza volerlo, "in questo momento non credo di voler bene a nessuno!"

E mi parve, ma non ne fui sicuro, d'aver detto una cosa alquanto inesatta, oltre che molto avventata, come mi suggerì la mia coscienza.

Il cielo è blu oltre le nuvoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora