Capitolo 40

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Sono distesa su un lettino operatorio.
Sopra di me la faccia pallida di Teresa mi fa sentire a disagio mentre Thomas mi controlla il piede ancora metallico.
"Ora se vuoi puoi alzarti."
Alla voce di Thomas mi sollevo rimanendo seduta sul lettino e aspetto il verdetto del ragazzo.
"Non credo ci sia niente da fare: è semplicemente diventato di metallo e al posto delle vene ora ci sono dei cavi. Se quello che hai sognato è vero e Janson ha attivato il programma H21, non c'è niente da fare: il processo continuerà ad avanzare e non si fermerà finché tu non sarai diventata... ecco..."
"Un'androide." Concludo io al posto del ragazzo.
Il silenzio cala su di noi e per un attimo nessuno emette un fiato.
"Se smettessi di usare il microchip il processo si arresterebbe?" Domando infine, rivolta a nessuno in particolare.
"Arresterebbe no, rallenterebbe sì. L'unico modo sarebbe quello di distruggere il microchip, ma è sopra il tuo cuore ed è formato da un lega di metalli indistruttibili, senza contare il fatto che anche se non ha vita propria, il microprocessore potrebbe tentare di difendersi."
"Difendersi?" Ripeto, sentendo quelle parole assurde.
"Già, sembra impossibile, ma quel micro affarino che hai sopra il cuore è una delle più sviluppate intelligenze artificiali che siano mai state create dall'uomo da quando ne abbiamo memoria. È impossibile da distruggere o disattivare."
A quelle parole il senso di sconforto aumenta a dismisura fino a quando cade su di me facendomi abbassare la testa e piegare leggermente le spalle.

***

Torniamo in fretta verso le nostre camere: infatti per quella veloce visita siamo dovuti andare a uno dei tanti laboratori del centro dove c'era l'attrezzatura per controllarmi il piede.
Ora fatico molto a camminare e a ogni passo mi sembra di sollevare un immane macigno. Tutte le volte che la mia scarpa poggia sul pavimento bianco e lustro del corridoio, sento degli scricchiolii orribili provenienti dal mio piede che ad ogni passo mi manda scariche di dolore.
Arrivati finalmente in camera mi siedo sul letto e distendo la gamba mentre Thomas e Teresa prendono posto, l'uno sulla sedia e l'altra sul letto accanto a me.
"Cosa pensi di fare ora?" Domanda a quel punto Teresa che non ha spiccicato una parola da quando sia usciti dalla stanza per dirigerci al laboratorio.
"Non lo so, credo di dover trovare qualcosa su di me. Ci sarà da qualche parte un database o qualcosa di simile dove io possa trovare qualche informazione."
Aspetto una risposta dai due che dopo essersi guardati a lungo finalmente parlano.
"Il database c'è e so anche dove si trova, c'è solo un piccolo, minuscolo problema." Dice Teresa alquanto sarcastica soprattutto riguardo al "piccolo e minuscolo" problema come lo ha definito lei.
"Lasciami indovinare: il database si trova nell'area più sorvegliata di tutto il complesso è l'unico modo per arrivarci è passare centinaia di guardie super armate per arrivare a un portone blindato che si apre con una password impossibile da scoprire."
La mia voce è più ironica di quanto volessi, ma credo di aver reso bene l'idea di quello che penso.
"Posso darti ragione su tutto, tranne sul fatto della password. L'unica cosa che può aprire la porta che custodisce il database è la mano di tua madre, la Dottoressa Angela."
"Una password touch?" Dico più sorpresa che mai.
"Beh sì. Non sarà per niente semplice arrivare fin là e non ci sono molti modi per sbloccare la porta."
"Invece uno c'è." Rispondo a Teresa fissandola negli occhi.
"E quale sarebbe?"
"Rapire la dottoressa, o in via più semplice tagliare la mano a mia madre."
"Stai scherzando spero." Dice sconvolta la ragazza accompagnata dallo sguardo sorpreso di Thomas.
"Questa ti sembra la faccia di una che scherza?" Domando retorica in risposta.

***

Passo il resto della giornata chiusa nella camera mentre i due ragazzi vanno a svolgere quelle che loro chiamano "attività formative per l'Elite".
A tarda sera vedo tornare i due con facce meste e smunte. Thomas e Teresa non dicono una parola fino a quando non sono entrambi seduti negli stessi posti di questa mattina.
"Perché quelle facce? Successo qualcosa?" Domando in modo fin troppo apprensivo.
"Niente, abbiamo solo ascoltato delle conversazioni e non sono state le più belle che io abbia sentito."
Non chiedo a Thomas di continuare, aspetto che sia lui a farlo.
"Abbiamo sentito dire che gli altri Soggetti sono stati individuati a poche miglia di distanza da Denver e che la C.A.T.T.I.V.O. interverrà subito, sia con le buone che con le cattive. Andranno a prenderli domani."
Un peso cade sulle mie spalle, aggiungendosi a quello di questa mattina: ora i ragazzi sono più in pericolo di quanto non lo fossero prima e tutto per causa mia.
"Non possiamo fare niente per aiutarli?" Domando in ansia più di quanto io voglia dimostrare a quei due ragazzi che ho conosciuto solo ieri anche se so perfettamente di sapere chi sono da quasi sedici, diciassette anni.
È una strana sensazione sapere di conoscere quelle persone da tutta la vita, ma non sapere niente di loro, né il loro colore preferito né il loro più grande segreto.
"Hanno scelto loro di venire qui a cercarti, non possiamo evitare che vengano presi, dobbiamo solo sperare che arrivino qui tutti interi e che non siano stati fatti a pezzi da Randall, il capo delle guardie. Se Minho è ancora come lo ricordo credo che prima dell'arrivo voleranno delle botte."
Teresa, coincisa quasi quanto Alby, non perde tempo a rispondermi e prende a fissarmi intensamente, in modo quasi fastidioso, tanto che sono costretta a distogliere lo sguardo.
"Avete sentito qualcos'altro di interessante oltre al fatto che i miei amici sono in pericolo?" Domando alcuni secondi dopo rivolta ai due ragazzi.
"Sì e credo anche che ti possa interessare parecchio."
"Su Teresa, non farla stare sulle spine e vai al punto."
"E va bene Thomas, ma vedi di non usare più quel tono con me. Insomma Kim, abbiamo visto e sentito delle voci. A quanto pare hanno portato qui tuo fratello e ora probabilmente è assieme a tua madre."

L'esperimento - The Maze RunnerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora