The fugitive

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"Dobbiamo tornare a New York. Adesso!" Il mio tono non ammette repliche, ma Zack sembra non capirlo. "Wilson, datti una calmata" si passa nervosamente le mani tra i capelli, pare un pazzo dagli occhi infuocati, ma io devo avere un aspetto ancora più inquietante e lo capisco da come mi guarda Alex. "Calmarmi? Calmarmi? Vuoi scherzare spero!" "No, non sto affatto scherzando! E stai anche spaventando tuo figlio!" Stiamo entrambi urlando e Alex sta per scoppiare a piangere. Zack ha ragione e solo per amore di mio figlio, cerco di tranquillizzarmi o quantomeno, smetto di gridare. Mi butto sul letto a peso morto e faccio un respiro profondo. "Ellie, cosa sta succedendo?" Zack si siede accanto a me e posa una mano sulla mia. Non cede di fronte al mio mutismo e continua: "Sai chi era la persona al telefono, non è così?" Lo guardo dritto negli occhi, rassegnata, ma ancora non parlo. "Senti, ti do un'ora per riprenderti mentre faccio giocare Alex. Poi voglio che mi dici cosa diavolo sta succedendo o non ti riporterò a New York e sai benissimo che hai bisogno di me, altrimenti tu e tuo figlio sareste in pericolo da soli". Non annuisco nemmeno, ma in qualche modo riesce a capire che ho afferrato il concetto. Prende Alex in braccio e lo porta di là, lasciandomi finalmente sola. Ho un assoluto bisogno di riflettere.

Mezz'ora dopo sono ancora seduta così come sono stata lasciata. Sento le risate del piccolo provenire dal salotto e ammiro come Zack, nonostante la probabile curiosità che lo starà attanagliando e la preoccupazione, riesca a prendersi cura di una creatura così fragile ed innocente. Una parte di me è contenta che Alex sia così piccolo: non si rende minimamente conto del pericolo e in questo modo è più semplice gestire tutta questa assurda situazione.

"Lo porto a fare un bagnetto". Zack compare sulla soglia della camera con in braccio un bambino ricoperto di tempere ovunque, proprio come la maglietta del capo. "Hai bisogno di aiuto?" Chiedo con un filo di voce. "No, dovrei farcela. Una volta ho fatto il bagno ad un cagnolino, non credo sia troppo diverso, no?" Se fossimo in un altro contesto, più gioioso e sicuro, probabilmente sarei scoppiata in una sonora risata e avrei scherzosamente difeso mio figlio per essere stato paragonato ad un animale; ma la vita ha voluto che non fosse questo il nostro destino, così annuisco semplicemente. Scompare, così come è arrivato e poco dopo sento la porta del bagno chiudersi.

L'acqua sgorga rapida dal rubinetto e le lancette scandiscono lapidarie il tempo. Mi trascino in cucina per bere mentre mi guardo attorno. Riesco a vedere bene il pavimento della sala tappezzato di fogli colorati e i pennelli ancora colanti di tempere riposti in un angolo; la copertura del divano è sgualcita e il tappetto non è più nella sua postazione originaria. Alzo di poco lo sguardo e lo porto al livello del tavolo. Forse non avrei dovuto farlo, o forse non avrei dovuto fare quello che faccio subito dopo.

Non so esattamente cosa mi abbia spinta a prendere in prestito la macchina di Zack, non so per quale assurdo motivo io stia scendendo in fretta e furia le scale del condominio dopo essere uscita dall'appartamento come un ladro, abbandonando mio figlio e il mio salvatore; non so se sarò in grado di tornare a New York, non so più nulla ormai.

Arrivata all'ingresso, apro velocemente il portone e trovo subito la macchina che riconosco essere quella con cui sono arrivata qui. Sono talmente presa dai miei pensieri da non accorgermi subito del luogo in cui mi trovo. Ma, prima o poi, devo cercare delle indicazioni per capire come tornare nella Grande Mela. Mi accorgo ben presto che non mi serve alcun cartello per riconoscere questa città: sono già stata qui, o meglio, ho passato in questa cittadina gran parte della mia vita. Montpelier, Vermont.

Ho già percorso la strada verso New York, così so perfettamente cosa mi attende. Sul sedile del passeggero noto il mio telefono, ma decido di non utilizzarlo al momento: sono consapevole che Zack si accorgerà a breve della mia fuga e inizierà a tartassarmi di chiamate. Mentre esco dalla città e mi avvicino sempre di più ai paesini limitrofi, un brivido mi percorre. Mi sento quasi affogare nei miei ricordi quando costeggio il bosco in cui passavo interi pomeriggi durante la mia infanzia. Mi torna alla mente mia madre seduta accanto alla finestra a fissare il vuoto, i suoi sbalzi d'umore, l'improvvisa difficoltà motoria e poi mio padre che, stanco, mangia da solo. I flash vanno peggiorando e non vedo più scene di senso compiuto, ma scorgo solo oggetti: un letto, una valigia ed infine una lettera.

When Love Takes OverDove le storie prendono vita. Scoprilo ora