Capitolo 3

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"Ahhhh, la mia ragazza preferita!" John mi accoglie calorosamente, stringendomi e dandomi un sonoro bacio sulle labbra.
"Felice di vederti! Con cosa ci avveleni stasera?" Chiedo, posando il giubbotto. È intento a mescolare qualcosa, che emana un odore favoloso. 
"Ragù! Ricetta di nonna Cold, piccola. Sei troppo magra, ha ragione la mia Hope. Ma stasera zio John ti rimetterà in sesto" sghignazza, abbassando il fuoco sotto la pentola di coccio.
Prende una bottiglia di vino e la apre, versandolo in tre calici.
"Ehi, scusa ma ero sotto la doccia" fa il suo ingresso la mia amica. Baci e abbracci, poi corre dal marito.
"Ti vuol bene davvero, se ti prepara il sugo. Forse più che a me, dato che non vuol farmi vedere la ricetta" si immusonisce lei. Noi due scoppiamo a ridere, bevendo un sorso.
"Raccontami, com'è andata la vacanza?" Domanda, senza poter sapere del disagio che mi crea.
"Tutto bene. Peccato che abbia preso un virus, interrompendola prima della fine. Sono stata così male che sono dovuta rientrare" spiego, con un  sorriso falso.
"Ma dai, che sventura! A proposito di vacanze, ti possiamo chiedere un favore?"
"Certo" rispondo, senza esitare.
"Il prossimo fine settimana vorrei portarla fuori. È il nostro anniversario, ma non voglio che mi muoiano le piante. E soprattutto Ice, che da solo non mi fa star tranquillo" sbianco, sentendolo nominare. Ma non posso dire di no a John, per molti motivi.
"Tranquillo, penserò io alle piante e a quello scapestrato di Ice. Non lo farò morire di fame" riesco a scherzare, devo camuffare il mio stato d'animo. Mi fa un sorriso dolce e torna a mescolare il sugo. Intercetto lo sguardo di Hope, ma la rassicuro con il mio.
"Ci siamo ragazze, andate a preparare la tavola, mentre io salto la pasta" comanda. Noi corriamo in sala da pranzo.
"Mi spiace Fire, ti giuro che non c'entro nulla. Non è una tattica" so che dice il vero, la conosco meglio di me stessa.
"Va bene, non aver paura, non sono arrabbiata. Sapevo del viaggio, immaginavo che me lo chiedesse. So quanto poco ami avere estranei per casa e quanto voglia bene a lui" non riesco neppure a pronunciare il suo nome.
"Grazie, ti devo un favore" mi stritola.
"No, non mi devi niente. Se non fosse stato per John, beh lo sai" scuote vigorosamente il capo.
Apparecchiamo la tavola in fretta, molto affamate. In tempismo perfetto John ci raggiunge. Impiatta e siede, tenendo viva la conversazione. Le due ore successive sono piacevoli, leggere. Mi diverto sempre con loro, riesco ad accantonare i miei problemi per tutto il tempo.
"Spostiamoci sul divano" dice, alzandosi. Lo seguiamo in silenzio, prendendo posto.
"Fire, tu sai cos'ha Ice?" Mi chiede.
"Io? No, non lo so. Perché? Domando, con un po' di tremarella.
"Mi ha chiamato, l'ho sentito strano. Mi sembrava arrabbiato e giù di corda" racconta.
"Non so che cosa dire, ci siamo incrociati al bar e salutati. Nulla di piu" mento.
"Va beh, lo scoprirò a breve, sta tornando" informa. Raggelo e mi alzo di scatto.
"Mi sono dimenticata di un lavoro che dovevo finire. Scusate ma devo scappare. Grazie per la cena e le risate. Ti chiamo domani" li saluto, prendendo borsa e giacchetto. Un ultimo bacio e vado, più veloce della luce.
Arrivo al cancello col cuore in gola. Non lo voglio vedere, non voglio un altro confronto in cui vince, procurandomi ancora dolore.
Apro le inferriate ed esco, richiudendomele alle spalle. Faccio due passi, i fari della sua auto mi accecano. Rallenta, aspettando che il cancello si apra. Abbassa il vetro e mi guarda. Rifuggo i suoi occhi, mi incammino allontanandomi. Sento la portiera sbattere, i suoi passi sulla ghiaia. Mi volto, senza aspettare che mi fermi.
"Che vuoi?" Lo apostrofo.
"Darti questo" sibila, gelido. Mi porge il suo anello.
"Vendilo, brucialo, non mi interessa" ringhia, voltandomi le spalle.
"Aspetta!" Lo richiamo.
Si volta, e attende.
"Non è giusto, gli anelli sono tuoi, non voglio ricavarci sopra" spiego.
"Veramente sono tuoi." Dice brevemente.
"Non credo proprio. Li hai comprati, spettano a te. Non mi interessano i soldi, voglio solo chiuderla in fretta" proseguo.
"Io non li voglio. Non voglio nulla che mi ricordi te, che abbia a che fare con te o che mi rammenti la stupidaggine che ho fatto" pronuncia senza emozione. Accuso il colpo, devo essere io a spuntarla.
"Giusto. Li darò ai poveri. Ti saluto" mi volto e scompaio dalla sua vista. Sento solo il rombo del motore, che si fa via via più distante. Sorrido, felice di aver avuto l'ultima parola. Sono soddisfatta di me, non mi sono lasciata piegare, ho vinto io. Aumento il passo, arrivando veloce alla fermata dell'autobus. Il mezzo arriva dopo poco, salgo e siedo affianco al finestrino. Guardo senza emozione la città che scorre. Poi, qualcosa attira il mio sguardo. Una macchina rossa e costosa, che sta fermandosi. Lo sportello si apre ed ecco Scott scendere. Fa il giro e tiene l'altro sportello aperto, a lei. Bionda, bellissima e curata, tanto da sembrare una modella.
Il cuore mi sprofonda nel petto, riaprendo quella voragine. Mi alzo di scatto, premo ripetutamente il pulsante di prenotazione e cerco un modo, uno qualsiasi, per non scoppiare in singhiozzi davanti a tutti. Riacquisto il controllo ed alla fermata successiva quasi mi butto dai gradini. Corro a perdifiato, guadagnandomi urla di rimprovero, dalle persone che urto. Ma non le sento o, forse, non me ne curo. Arrivo sotto casa, salgo i piani ed entro nel mio appartamento. Afferro un cuscino, dal divano, premo il viso dentro ed urlo.
Resto senza voce, non mi importa. Scatto nel bagno, afferro il flacone e butto giù due pastiglie, lasciandomi scivolare fino al pavimento. Metto la testa tra le ginocchia e aspetto.
Attendo che il veleno anestetizzi corpo, anima e cuore.
Attendo...

Continua.
  

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