Le ho viste.

Sapeva, sapeva di sapere eppure non voleva saperlo. Il cervello le aveva riconosciute quando lei non era consapevole di guardarle e l'informazione era arrivata solo adesso. Le sbarre erano quelle righe senza senso, orizzontali perché le aveva guardate mentre era sdraiata, ma se le avesse viste in piedi non avrebbe avuto dubbi. Inspirò, chiuse gli occhi e trattenne il fiato. Ebbe un giramento, aspettò che passasse, prese coraggio e sollevò con tutte le forze la spalla destra, spingendo il busto di lato. Sperava che la testa lo seguisse e questa volta fu facile. Ruotò di nuovo sul fianco cadendo quasi bocconi e sbattendo il naso a terra. Inspirò l'odore direttamente dalla fonte, un sentore di noci che marcivano sotto la pioggia, legno in cancrena. Il piede riprese a farle male ma non cercò di spostare la gamba. Appoggiò entrambe le mani a terra e strisciò in avanti. Una cosa da niente, pochi centimetri, ma dovette fermarsi a riprendere fiato. Restava con gli occhi chiusi, il naso a terra, il palmi graffiati dalle assi ruvide. Un nuovo sforzo, un altro palmo guadagnato, un'altra pausa.

Che cazzo sto facendo?

Si preparava a darsi ancora una spinta quando una carezza le sfiorò la fronte. Si trattenne. Poi lasciò che il collo si allungasse appoggiandosi al metallo freddo. Sentì il panico che le si arrampicava dentro e cercò di frenarlo con un ultimo pensiero.

Forse sto ancora dormendo.

Poi aprì gli occhi.

E le sbarre erano lì.

*

E' sveglia.

Ha fatto presto.

*

La gabbia era enorme, larga come un camion, un buco nero attraversato da un pettine di ferro. Lungo tutta la sua imponenza correva un bordo di stucco, forse un tempo di colore dorato, spento e pieno di smangiature. Il legno del cassone tra il ferro e lo stucco era stato dipinto di rosso e decorato con sbaffi di riccioli e foglie stilizzate. Sotto la base c'era un telaio di metallo arrugginito con quattro grosse ruote. In cima, incorniciata di rosso, troneggiava in enormi caratteri scuri la scritta

лев

Anna la guardava, la guardava, non riusciva a smettere di guardarla. Sembrava un'enorme bocca spalancata con la promessa di divorarti.

Io sono in una bocca uguale.

Era il solo pensiero che le rimbalzava nella mente, perché il vecchio carrozzone da circo che stava fissando non era il suo, si trovava oltre le sbarre, a circa cinque metri da lei. Era quello la macchia nera con i bordi rossi che aveva visto appena sveglia. Appoggiò le mani a terra e cercò di tirarsi seduta. Aveva ancora il fiatone, forse per lo sforzo, forse per il panico che stava per mangiarsela. Era chiusa dentro una gabbia da circo davanti a un'altra gabbia da circo. Non aveva senso. Rifece velocemente l'inventario: era debolissima, la testa pesante, le faceva male un piede ma solo a sinistra, non ci vedeva bene

in mezzo alle gambe, ho dolore in mezzo alle gambe?

e non sentiva nessun dolore in mezzo alle gambe. Cercava i margini per un equivoco ma non ce n'erano. Nessun incidente d'auto, nessun riparo di fortuna, era successo qualcos'altro, ed era successo

quando?

quella mattina stessa, perché il vestito che aveva indosso lo aveva messo per l'incontro delle dieci. Ma l'incontro non c'era stato, no, si sforzava di ricordare ma arrivava solo fino a un certo punto. Si era passata la piastra, era uscita e aveva pensato che l'umidità avrebbe vanificato il suo lavoro, si era messa a camminare in fretta e poi...

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