Capitolo 4

2 0 0
                                    

Arrivata davanti casa ho salutato Erik e lui ha ricambiato con un cenno.
Sono entrata in giardino e ho percorso il viale alberato che lo divideva in due parti.
Mi sono fermata davanti al portone perché ho sentito delle voci dietro di me. Mi sono voltata per cercare di capire chi stesse urlando. Ho visto passare un auto nella via che porta al centro commerciale. All'interno di quest'auto c'erano i ragazzi che avevo fatto cadere all'ingresso della scuola.
Sono entrata in casa. Ho sentito dei rumori provenire dalla cucina. Mi sono avvicinata alla stanza.
"Ciao mamma" ho detto mentre spegnevo il gira dischi di papà.
"Buonasera signorina" ha risposto euforica.
"Mamma volevo chiederti una cosa..." mi sono interrotta per pensare a come chiederle di uscire.
"Dimmi tesoro" mi ha guardato con aria dolce.
"Vorrei fare un salto al centro commerciale" volevo assolutamente vedere i ragazzi che avevo -investito-.
Mia madre mi guarda stupita, quando abitavo in Italia non uscivo molto. "Certo amore, ma vai con qualcuno?".
Ho fatto segno di no con la testa. Lei ha pensato un attimo in silenzio.
"E va bene, ma stai attenta e torna prima che faccia buio" mi ordina con aria molto seria.
Ho pensato molto a cosa dovessi fare prima di uscire. Sono andata in camera da letto e sono entrata nella cabina armadio per mettere un paio di leggins e una felpa dell'adidas che mi arrivava a metà coscia. Subito dopo mi sono rifatta il trucco, erano già le 16.30.
"Mamma" ho urlato scendendo di corsa le scale "se qualcuno venisse con me potrei mangiare in un fast food? Peeerfavore!!" ho chiesto.
"Certo amore mio" mia madre ha risposto con un sorriso spazioso stampato sul viso e ha rovistato nella sua borsa in cerca di qualcosa.
Ha estratto il suo portafoglio, ho fatto segno di no con la testa, avevo i miei risparmi ma lei ha insistito fino a quando ho preso una banconota da 50€ dalle sue minute mani.
-mio dio che donna determinata, ogni tanto mi fa persino paura- pensavo mentre la guardavo, stava cercando di nascondere un sorriso ma non ci riusciva -voglio molto bene a mia madre. È molto severa e pretende tanto da me ma è adorabile, cerca sempre di fare ciò che è meglio per rendere felici gli altri. Fa la casalinga da sempre, cucina, pulisce e stira oppure va a fare shopping. Forse ogni tanto esagera. Mio padre si fa sempre in quattro per cercare di accontentarla e lei non se ne rende conto ma sa come ricambiarlo. Non andrebbero avanti se non fossero insieme. Mia madre ha bisogno di lui. Mio padre ha bisogno di lei. Sono fatti l'uno per l'altra e si amano molto.- continuavo a pensare e la fissavo insistentemente.
Ha interrotto il clima silenzioso che si era creato "tesoro cominci a spaventarmi, va tutto bene?".
Inizialmente non ho risposto e ho continuato a fissarla. Mi ha passato una mano davanti al viso. Ho distolto lo sguardo.
"Ma ti sei drogata?!" mi ha chiesto preoccupata.
"Ma no mamma. Sai che non lo farei mai. Ero solo immersa nei miei pensieri" ero un po' sconcertata dalla sua domanda.
Ho interrotto le mie riflessioni sui miei genitori e ho ricominciato a pensare al centro commerciale. Non avevo idea di chi sarebbe venuto con me ma mi sarei inventata qualcosa; ci ho pensato tanto fino a quando ho deciso che avrei chiamato Erik (anche perché non avevo alternative, era l'unico ragazzo che conoscevo -abbastanza- bene e mi sembrava un tipo apposto).
Non avevo il suo numero di telefono.
* * *
Sono uscita dal cancello di casa e mi sono avvicinata lentamente a casa sua mentre mi domandavo se chiedergli di uscire fosse la cosa giusta.
-beh gli amici escono a volte-.
Ho battuto forte il pugno alla porta. Una donna dalle formose forme ha aperto "tu sei?" ha chiesto con un tono un po' acido.
"Sono Abigaille, la vostra nuova vicina, vado a scuola con Erik. Volevo solo sapere se lui era in casa, pensavo di andare al centro commerciale e mi chiedevo se volesse venire con me."
"Io sono la madre di Erik, mi chiamo Stephen, ma mi puoi chiamare Steph" ha risposto con un sorriso che occupava la maggior parte del viso. Non ho potuto fare a meno di notare le sue fossette, erano uguali a quelle del figlio.
Mi ha invitato ad entrare e mi ha servito una tazza di caffè. Dopodiché si è avvicinata a delle scale e ha urlato qualcosa che non ho sentito, comunque penso parlasse con Erik.
Lui è sceso e vedendomi ha sorriso "che ci fai qui?".
Gli ho chiesto di uscire con me e dopo che ha accettato ci siamo incamminati.
Abbiamo parlato molto di varie cose e ho scoperto che abbiamo molte cose in comune.
"Io e te diventeremo ottimi amici ragazzi della porta accanto" l'ho interrotto mentre mi tartassava parlando di matematica. Mi ricordo che ho pensato -è davvero un genio questo ragazzo-.
* * *
La strada per arrivare al -MIHUBE- era molto lunga (a piedi ci abbiamo messo 40 minuti) ma facendola con lui mi sembrava che ci avessimo messo solo dieci minuti.
Arrivati davanti alle grandi porte scorrevoli siamo entrati e data la calca di persone ci siamo sfiorati le mani. L'ho guardato e mi ha chiesto scusa, gli ho sorriso e lui ha ricambiato.
"Le tue fossette sono davvero irresistibili" gli ho confessato guardandolo. Lui è diventato tutto rosso e ha sorriso ancora. Gli ho messo un dito dentro la fossetta della guancia destra e lui si è allontanato.
Mi sono scusata.
"No scusami tu è solo che: 1)non sono abituato ad avere tutte queste attenzioni e 2)sono una persona che tiene molto al suo spazio vitale" abbiamo riso e abbiamo continuato a camminare nei lunghi corridoi.
Il -MIHUBE- era davvero enorme: c'erano delle scale mobili che portavano ai piani superiori che erano tre, ogni piano aveva una media di dieci negozi.
So che per un ragazzo può essere stressante ma mi sono fatta portare da Erik in ogni negozio.
"Qui ti conoscono tutti" ho esclamato dopo che ho notato che tutti lo salutavano e lo trattavano bene.
"Sai io ho un oscuro segreto, magari un giorno te lo rivelerò" abbiamo riso. L'ho guardato per qualche secondo. Ha distolto lo sguardo, ha sorriso, non voleva farmelo notare ma era impossibile non vederlo.
Solo qualche secondo dopo ho capito il motivo del suo sorrisetto. Sono passata affianco ad una vetrina e vedendo il mio riflesso mi sono accorta di essere paonazza. Fino a quel momento non me ne ero accorta ma ero molto agitata.
"Dovrei andare in bagno" sono corsa via. Ha capito che ero imbarazzata e agitata e quindi ha sorriso ancora.
* * *
Sono uscita dal bagno cinque minuti dopo, tempo di essermi calmata e rinfrescata.
Ho acceso la schermata del cellulare, erano le 20.17 quando siamo passati davanti ad un piccolo ristorante giapponese.
"Ti piace il sushi?" mi ha domandato.
Stavo guardando i piatti delle persone nel ristorante, sbavavo con gli occhi.
1)avevo fame
2)adoro il sushi
Ho annuito. Mi ha preso la mano e siamo entrati.
"Scusi c'è un tavolo per due?" mentre lui parlava con la cameriera io mi guardavo intorno.
Guardando nella sala ho notato i ragazzi della stazza medio-grande seduti ad un tavolo. Erano i ragazzi che avevo fatto cadere quel pomeriggio (li ho soprannominati -i ragazzi del volo-)
"Ci sediamo?" Erik ha interrotto i miei pensieri.
Continuavo a fissare -i ragazzi del volo- e Erik si era reso conto della mia improvvisa distrazione.
"Va tutto bene?" mi ha chiesto guardandomi con i suoi occhi molto dolci.
"Si si scusa è dio che oggi sono caduta dalle scale della scuola e ho fatto cadere quei ragazzi" gli ho raccontato indicandogli il tavolo in cui erano sistemati.
Il suo sguardo si è incupito improvvisamente.
"Scusa, non dovevo parlare di loro, forse?" mi stavo preoccupando.
"Non importa tu non puoi sapere" mi ha guardato negli occhi meno di un secondo e ha abbassato la testa.
I ragazzi si erano alzati e si stavano dirigendo verso il nostro tavolo. Non avevano ancora visto Erik quindi avevo deciso che avrei dovuto aiutarlo in qualche modo.
Ho sistemato la scollature della felpa, sono passata loro affianco e mi sono diretta alla cassa chiedendo il conto.
Loro mi hanno seguito subito "ei ciao bellissima" sembravano dei grossi scimmioni.
Tra loro avevo riconosciuto il ragazzo che leggeva il libro strano (avevo scoperto che si chiamava Philip).
"Io ti ho già visto" ha parlato uno di loro "sei quella che oggi a scuola ci ha fatto cadere, sei -volo d'angelo-".
Un ragazzo muscoloso l'ha interrotto "già perché tu hai fatto un volo e sei un angelo. Io sono Bradley ma mi puoi chiamare Brad piccola".
Io continuavo a fissare Philip e lui non mi segnava di uno sguardo, ero offesa.
"Io mi chiamo Abigaille e ora dovrei andare" ho chiuso la conversazione e Philip era già uscito dal ristorante.
Brad mi aveva già afferrato un braccio "ma dove vai? Resta con noi, andiamo a mangiare un gelato".
Mi stava stringendo forte io polso "lasciamo, mi fai male".
Erik nel frattempo si era alzato e si dirigeva verso di noi. Ho cercato di fargli capire di non intervenire con lo sguardo ma lui sembrava determinato.
Mi ha aiutato a liberarmi e mi ha preso la mano.
Solo in quel momento Philip mi ha guardata. Era davvero molto bello: aveva i capelli neri e lucidi e gli occhi azzurrissimi.
I nostri sguardi si sono incrociati. Subito dopo ha spostato la sua attenzione su Erik.
Un sorriso quasi malefico gli caratterizzava il volto.
Si è avvicinato a lui, poi ha spostato gli occhi su me "ti piace vero?!" aveva una voce calda. Era perfetto ma la sua arroganza rovinava tutto. Era un bullo!
"Lascialo stare" ho obbiettato.
Nel frattempo ci avevano già trascinati fuori dal centro commerciale.
"Scusami è tutta colpa mia" Erik stava per piangere.
In realtà la colpa non era sua. Era tutta colpa mia.
Io gli avevo chiesto di uscire; io avevo attirato l'attenzione degli stupidi scimmioni che mi tenevano come -ostaggio- perché probabilmente Erik provava qualcosa per me.
-ma no. Ci conosciamo da un giorno. È davvero impossibile.-
Ho cercato di spiegarlo a Brad e Philip ma mentre parlavo discutevamo su cosa avrebbero fatto.

True and false Where stories live. Discover now