Cap. 29

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Il fumo della canna entrava automaticamente nei miei polmoni; lo aspiravo con assoluta naturalezza, la stessa che avevo quando respiravo. Mi aveva insegnato Sam a fumare, diceva che rilassava il cervello.
La prima volta che fumai, avevo undici anni, mio fratello già quindici e fumava già da tre. Non specificò mai chi glielo avesse insegnato. Non diceva mai nulla sul suo passato e altrettanto facevo io; mi accennò solo al fatto che lui aveva sempre saputo come si facesse, gli era bastato solo metterlo in pratica.
Ai tempi non diedi troppo peso alle sue parole, ero una bambina e non mi rendevo conto realmente che oltre alla nostra piccola vita racchiusa nella bolla di quotidianità fatta da me, lui e Tom, la mia famiglia avesse già avuto una vita precedente durante la quale nessuno sapeva nulla l'uno dell'altro. Ma io ero una bambina, avevo rimosso tutto ciò che di brutto avevo vissuto con facilità ed ero andata avanti. O così mi era sembrato fino a poco tempo dopo.
In quel momento invece, a distanza di quasi dieci anni, ero più consapevole . Consapevole del perchè Tom zoppicasse tanto, consapevole del perchè era rimasto solo al mondo, del perchè si era preso cura di noi; anche in quel momento, mentre osservavo distrattamente Sam fumare seduto difronte a me, ero consapevole di cosa avesse dovuto subire prima di incontrare Tom: lo avevo capito col passare degli anni, crescendo con lui, conoscendo ogni suo minimo movimento o centimetro di corpo; guardando le cicatrici sparse su tutta la pelle, avevo imparato a riconoscere, senza che lui me ne avesse mai parlato, e a distinguere quelle delle bruciature da quelle delle cinghiate. Le cicatrici tonde o larghe, dalla figura irregolare e dalla consistenza frastagliata erano bruciature di sigarette, sparse su braccia e gambe, mentre le frustate gli avevano lasciato linee nette, delineate e lucide sulla schiena. Tuttavia, con il tempo, aveva iniziato a camuffare questa atroce tessitura con l'inchiostro. Aveva una miriade di tatuaggi, specialmente sulle braccia; molti erano senza un significato particolare, alcuni li avevamo in comune, come il lupo che io avevo dietro al mio orecchio, e altri erano esclusivi ed io li amavo con tutto il cuore.
Come il mio nome racchiuso da due rami di alloro, tra le scapole: me ne spiegò il significato, la vittoria, la gloria, l'onore. Io pensai sempre che fosse stato un pazzo, sia per l'idea in sé per sé, sia perchè la sua schiena era stata perfettamente linda prima di essere imbrattata dal mio nome.

Adesso giravamo lentamente, seduti nella stessa giostra dove Julie mi aveva portato l'ultima volta. I miei occhi verdi erano immersi nei suoi castani; non erano di un castano comune, spento e banale. I suoi occhi splendevano. Letteralmente, non scherzo! A amavo il modo affettuoso con cui me li teneva sempre puntati addosso. Come in quel momento: ormai mi guardava da più di mezz'ora ininterrottamente. Ogni tanto incrociavo il suo sguardo, ma dopo poco li riabbassavo, travolta dalla profondità del suo. Era sempre stato bravo a leggermi dentro, una dote che purtroppo non era riuscito a trasmettermi.
Quando lo guardai nuovamente, lui si alzò, si sedette accanto a me facendo cigolare la panca, prese le mie gambe e le tirò sulle sue, portandomi sotto il suo braccio e stringendomi.

《Quando pensi che tornerà Tom? Mi manca.》

《Non saprei Vick. Sai che Tom si allontana quando ha bisogno di riflettere. È vero, va dalla sorella, ma non sta lì mai più di un giorno o due.》

《Si, lo so, però...》

《Vick, quell'uomo sta cercando definitivamente sé stesso. Ha bisogno di mettersi in pace l'animo.》

《Dio solo sa che vita ha avuto.》

《Quando avevo sette anni -tu ancora non c'eri- chiesi a Tom perchè camminasse così male; mi disse che suo padre abbandonò lui, sua madre e le sue sorelle. Tom gli corse dietro, pregandolo di rimanere. Suo padre lo prese di peso, lo riportò in casa e gli fissò un piede alle assi di legno del pavimento con un coltello. Mi ha detto che doveva avere all'incirca 12 anni.》

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