Remus

2.1K 88 40
                                    


And this is when the feeling sinks in, 

E questo è quando i sentimenti ti penetrano dentro
I don't wanna miss you like this, 

non voglio che mi manchi in questo modo

(...)I don't wanna need you this way,
non voglio aver bisogno di te in questo modo

come back... be here.
torna indietro, sii qui. 

Si passò una mano fra i capelli, prese un respiro profondo e portò la testa sott'acqua per non pensare: il silenzio lo assorbiva completamente. Tenne gli occhi chiusi e non pensò a nulla, stava così bene in quella bolla immaginaria che lo circondava, era completamente solo e si sentiva tremendamente bene, perché l'unica persona che avrebbe voluto avere al suo fianco non era con lui e il dolore lacerante per il quale si struggeva diventava ogni giorno più forte, esigeva di essere sentito. Mentre lui avrebbe solo desiderato scappare, anche se ormai aveva imparato che dai problemi non si poteva fuggire, ma dovevano essere affrontati, in qualunque modo, non importava come: se un dolore voleva ridurre l'anima in brandelli l'avrebbe fatto. Ed era così che si sentiva: a pezzi. Gliel'avevano detto così tante volte, i suoi amici, di dirle la verità, che ormai aveva perso il conto; ma quella paura tremenda di perderla s'impossessava di lui e non riusciva a pensare lucidamente, solo l'idea di non averla più nella sua vita lo faceva impazzire.
E ora che non l'aveva davvero più nella sua vita, stava lentamente cadendo sempre più a fondo in un pozzo senza fine.
E forse era esagerato.
E forse, invece, era davvero così.
Ma non avrebbe agito da egoista pensando solo alla sua felicità: era perfettamente consapevole che l'avrebbe rovinata se le avesse detto la verità e l'avrebbe rovinata se lei avesse accettato le sue condizioni, perché non lo meritava.
Qualcuno bussò bruscamente alla porta interrompendo la sua pace. "Lunastorta, voi starci tutto il giorno lì dentro?" protestò Sirius senza mezzi termini. "Esci, dannazione!"
Remus riemerse, boccheggiò qualche secondo. "Ho finito" rispose stancamente, uscendo e togliendo il tappo alla piccola vasca che avevano in bagno. Si asciugò velocemente e si mise i vestiti.
Il suo rapporto con Sirius era cambiato, da quando Mary gli aveva detto che lui ed Amelia uscivano insieme; era diventato più freddo, scontroso. Nonostante ciò, nessuno sembrava essersene accorto: voleva bene al suo amico, era come se fossero fratelli; ma vederlo con lei era una tortura e dirlo a uno dei due sarebbe stato anche peggio, perché avrebbe rovinato il rapporto che aveva con due delle persone a cui voleva più bene al mondo, anche se, ormai, quello con Amelia era definitivamente troncato: lui aveva preso le parti di Mary, non perché pensasse che avesse ragione –anzi-, semplicemente frequentare ancora Amelia dopo quello che aveva saputo sarebbe stato troppo doloroso, non sapeva se avrebbe resistito.
Così fingeva che tutto andasse bene come aveva sempre fatto nella sua vita; la paura di mostrare come si sentiva veramente era qualcosa che non riusciva ad affrontare. La maledizione che aveva subito da piccolo gli aveva insegnato che essere forti era l'unico modo per restare a galla, fortunatamente non era mai stato completamente solo: i Malandrini erano sempre stati al suo fianco, a sostenerlo, erano addirittura arrivati a diventare Animagus per fargli compagnia in quelle orribili notti e lui più andava avanti più pensava di non averli mai ringraziati abbastanza, il bene che voleva a quei ragazzi gli riempiva il cuore di calore, di amore. C'era Lily, che sapeva tutto e non aveva mai detto niente a nessuno: era la sua migliore amica, l'aveva sempre consolato nei suoi momenti di sconforto e non si era allontanata quando le aveva confidato il suo segreto, anzi, se possibile, si era avvicinata ancora di più a lui.
E poi aveva Amelia. Amelia Williams. Così cieco nei confronti dei sentimenti che aveva sempre provato per lei e ora che gli era tutto chiaro era troppo tardi.
Uscì dal bagno con i capelli ancora bagnati, James prese il suo posto velocemente e si chiuse la porta alle spalle seguito dagli insulti ben ricamati di Sirius.
"Ti odio, stupido cervo egoista! Toccava a me!" fu una delle tante proteste del ragazzo, che poi si abbandonò sul letto, sconsolato, con un tonfo ed un sospiro. Remus si sedette sul suo, i gomiti appoggiati sulle gambe e le mani intrecciate sotto il mento. "E che cazzo, Lupin, potevi fermarlo e far entrare me" brontolò.
L'altro ridacchiò. "Forte e agile come sei, Felpato, pensavo potessi cavartela da solo" ribatté sarcastico.
Sirius finse una risata. "Fai poco lo stronzo fighetto, Lunastorta"
Calò un silenzio pesante di qualche secondo che fu poi interrotto da Remus. "Peter e Frank?" chiese.
"Sono già scesi, sono più puntuali di te, mi mettono addosso un'ansia micidiale" rispose con una smorfia di disgusto e con un tono basso e roco della voce. Altro silenzio. "E Amelia?" fu Sirius a spezzarlo in quel momento.
Remus sobbalzò, colto di sorpresa. "Cosa, scusa?" cercò di sviare la domanda.
"Amelia" ripeté Sirius.
"Amelia...?" alzò un sopracciglio, fingendosi spaesato.
L'amico si sedette di scatto e puntò gli occhi in quelli di lui. "Amelia. Ti ricordi ancora chi è, Amelia, Remus? Amelia Williams. Si può sapere che cavolo stai combinando con lei?" fece scontroso.
"Sai, potrei farti la stessa domanda" scosse la testa l'altro.
"A me?" domandò calcando il tono e inarcando le sopracciglia.
Remus stava per ribattere, ma si fermò, la bocca semi aperta: mascherò l'espressione con un sorriso sghembo, uno di quelli che, Sirius pensò, avrebbe fatto morire sul colpo il cuore della sua migliore amica. "Lascia stare" concluse alla fine lui. Non voleva costringerlo a parlare, sapeva che Sirius avrebbe detto la verità quando desiderava farlo; odiava costringere le persone a far qualcosa, sapeva come ci si sentiva ad essere in una situazione scomoda, quindi preferì lasciar perdere. Si alzò e prese la borsa, avviandosi alla porta.
"Cosa? No, non lascio stare" lo bloccò di colpo l'amico, alzandosi di botto.
Si divincolò dalla sua presa e senza dire nulla uscì, chiudendosi la porta alle spalle, evitando accuratamente lo sguardo di Sirius, che, Remus sentì chiaramente dire: "Ma qual è il tuo problema?".
"Ne avessi solo uno..." rispose fra sé e sé, Remus a bassa voce, iniziando a scendere le scale del Dormitorio ed uscendo dalla Sala Comune.
Aveva preso l'abitudine di aspettare Mary prima di scendere a far colazione, ma non quella mattina: aver parlato di Amelia lo aveva destabilizzato al punto che preferì star da solo, sviare la Sala Grande e rifugiarsi sotto una vecchia quercia in giardino.
Chiuse gli occhi e respirò profondamente, cercando di non pensare a niente, facendosi trasportare dal rumore del vento tra le foglie; ma lei tornava sempre a galla nella sua mente, cercava di scacciarla, ma senza riuscirci.
Comunque era sempre meglio pensarla che averla vicina, rischiando di ferirla ad ogni mossa che compiva o rovinandola con il suo essere una persona anormale, con quella maledizione che lo perseguitava e che lo condannava ad essere quello che era: un mostro.
Amelia lo guardava da lontano, appoggiata ad una colonna del portico che dava sul giardino senza farsi notare; più lo osservava, più le sembrava che lui avesse il peso del mondo sulle spalle: quegli occhi stanchi e chiusi, il viso leggermente scavato e qualche cicatrice, il corpo fragile e magro, il sorriso tanto amato che non vedeva da un pezzo formarsi sulle sue labbra. Si era sempre chiesta se ne fosse innamorata. E ora che lo vedeva lontano da lei persistendo e resistendo alla sofferenza provocata da quella distanza, non smettendo nemmeno per un secondo -seppur lo desiderasse con tutta se stessa- di volergli quel bene che voleva solo a lui, che era fatto su misura per lui, che aveva la sua forma e sua somiglianza, che le faceva tremare le ginocchia, che le faceva volere solo ed unicamente lui si rispose di sì, ne era innamorata. Dopo più cinque anni vissuti ad aspettarlo seppur sapendo che non sarebbe arrivato, era ancora lì, ad attendere, nonostante tutto. Non avrebbe assolutamente mollato la presa o perso la speranza: Remus era tutto ciò che aveva sempre voluto, Remus era tutto il bello della vita, Remus era l'unico che riuscisse a far diventare le cose brutte in interessanti e piacevoli. E lei non avrebbe mai rinunciato a lui, nemmeno per tutto l'oro del mondo, nemmeno per l'amore dell'uomo perfetto. Perché Remus era perfetto per lei. Peccato che io non sia perfetta per lui; pensò.
Avrebbe voluto andargli incontro e chiedergli che stesse succedendo, se gli andava di parlare o solo di ricevere un abbraccio. Avrebbe voluto. L'avrebbe voluto così tanto che stava per avviarsi verso di lui, quando vide Mary raggiungerlo. Si bloccò a metà strada e si diede della stupida. Come aveva potuto pensare anche solo di avvicinarsi a lui, ora che c'era Mary? L'aveva completamente rimpiazzata. E aveva fatto bene. No, di più: era stata una mossa geniale, perché lei non era mai stata all'altezza dell'amica, né in bellezza, né in simpatia e nemmeno in bravura. Mary era sempre stata migliore di lei. E Remus meritava qualcuno di migliore. E quel qualcuno non era lei. Così si girò ed iniziò a camminare velocemente con un vuoto pesante nel petto, sperando di vedere i visi famigliari di Lily e Sirius il prima possibile, mentre Mary la guardava andar via e non diceva nulla a Remus, che si era messo a ripassare Trasfigurazione ed era troppo concentrato o, almeno, così appariva. Appena aveva notato che si stava avviando verso di lui, l'aveva preceduta: non voleva che tornasse a far parte della sua vita, non dopo tutti i sacrifici che aveva fatto per stare con lui.
E Remus avrebbe voluto vedere Amelia, avrebbe preferito che si fosse seduta lei al suo fianco al posto di Mary, avrebbe voluto vedere il suo sorriso e stringerla in un abbraccio. E avrebbe voluto non essere così sbagliato, ma giusto per lei. Perché Amelia era perfetta per lui. Peccato che io non sia perfetto per lei; pensò.
Perché Sirius era sempre stato migliore di lui: con le ragazze, con i rapporti sociali, in amore, in simpatia, in bellezza, in bravura. E Amelia meritava qualcuno di migliore. E quel qualcuno non era lui. Così finse di essere colto da un'improvvisa voglia di studiare per evitare di parlare con Mary: le doveva molto, gli era stata vicino in un momento difficile, l'aveva aiutato e gli aveva dato consigli; ma non si sentiva in vena di parlare, quella mattina, preferiva stare in silenzio e da solo con i suoi pensieri, anche perché la conversazione di poco prima con l'amico l'aveva leggermente scosso. Non capiva perché ci impiegassero tanto a dirgli la verità, insomma, nessuno sapeva di quello che lui provava per Amelia, non l'aveva saputo nemmeno lui fino a qualche settimana prima, cosa ci fosse di così importante da tener segreto, proprio non riusciva a concepirlo. Tanto valeva uscire allo scoperto, cosa li sarebbe costato? Qualche augurio e congratulazione? Volevano davvero tenerlo nascosto? Ma perché? Cosa c'era di così inconfessabile? Avevano sempre avuto un buon rapporto, erano come fratello e sorella, nessuno si sarebbe scandalizzato se fossero diventati qualcosa di più, vista la loro particolare vicinanza. Sbuffò, beccandosi un'occhiata da Mary, la quale finalmente ruppe quel silenzio che era stato prolungato anche troppo.
"Che succede?" gli chiese, difatti, portandosi un ciuffo di capelli dietro un orecchio.
Succede che mi sento solo, Mary, accade che Amelia mi manca anche se non lo vorrei, succede tutto insieme e io non ci sto capendo niente; che succede, mi chiedi? Succede che da quando mi hai detto di Amelia e Sirius faccio fatica a guardare in faccia un ragazzo che considero un fratello, che sto evitando la ragazza per la quale mi sono accorto di provare qualcosa troppo tardi, succede che sono maledetto e che va tutto male e nemmeno tu lo sai, che nemmeno James con le sue battute riesce a tirarmi su di morale, che nemmeno Lily con il suo sorriso riesce a farmi star meglio; succede che sono fermo, bloccato e non so come liberarmi da questa ragnatela e fra poco verrò mangiato dal ragno che l'ha tessuta; avrebbe voluto rispondere. "Nulla" rispose, invece, fingendo un sorriso e si alzò a fatica: non far colazione al mattino lo rendeva ancora più debole di quanto già non fosse e sentiva un brutto sapore in bocca.
"Remus..." iniziò lei, ma il ragazzo la fermò subito.
"No, va tutto bene, davvero" la rassicurò dolcemente e lei sorrise, perché non poteva far altro che credergli, sbagliando, ovviamente. Il suo problema era che pensava di conoscerlo, quando in realtà era tutto il contrario.
"Io vado alla Serra" inventò una scusa per allontanarsi da lei.
"Vengo con te!" esclamò. "Mi serve qualche fiore per finire la ghirlanda che..."
"Preferisco andare da solo" la interruppe.
Mary lo osservò per qualche secondo. "Vedi che non stai bene?" osservò leggermente arrabbiata.
"Sto bene, solo che ho voglia di andare da solo" fece spallucce, fingendosi indifferente.
"Perché mi dici stronzate?" gli domandò senza giri di parole, affrontandolo a testa alta. Remus restò leggermente spiazzato e strabuzzò gli occhi, fingendosi sorpreso.
"Che stronzate? Ti sto dicendo la verità" recitò spudoratamente.
Lei non rispose, passò qualche secondo in silenzio, per poi dire: "Okay. Ci vediamo a lezione" girare i tacchi ed andarsene: ormai sapeva che se Remus non aveva voglia di parlare, non sarebbe riuscita a cavargli fuori nemmeno una sillaba.
Lui la osservò andar via, sentendosi in colpa. Era così arrabbiato con se stesso, trattava male tutte le persone che lo circondavano. Sospirò esausto ed iniziò a camminare a sua volta, calciando un sasso o un pezzo di terra di tanto in tanto; probabilmente James e Sirius lo stavano cercando, ma a lui non importava molto: aveva voglia di stare da solo, quella mattina, e non vedere anima viva. Era arrabbiato con se stesso, era arrabbiato con Amelia ed era arrabbiato con Sirius.
Si passò una mano sul volto, esausto, per poi entrare nella Serra con un respiro profondo e chiudersi la porta alle spalle. Non doveva andare lì per prendere una pianta per una lezione, doveva solamente chiudersi in posto isolato per non pensare, per immergersi nel silenzio. Si sedette a terra, la testa fra le mani e gli occhi stanchi.
Era in quelle condizioni da troppo tempo.
E stava per esplodere.
Senza contare i problemi privati, l'ansia della fine della scuola si faceva sentire sempre di più: era terrorizzato da quello che sarebbe successo al di fuori di quelle mura così sicure. Aveva paura di non trovare mai un lavoro per la sua condizione, di dover combattere contro qualcosa che non sarebbe mai riuscito a sconfiggere, di non trovare anima viva che lo amasse, di rimanere solo. Si vide da vecchio, dimenticato e ormai consumato dall'essere un lupo mannaro. Era terrificato.
Il respiro si fece più veloce, il cuore iniziò a battere più forte e le mani a tremare. Si alzò per cercare di sfuggire a quella condizione, ottenendo l'effetto contrario: la vista cominciò a farsi a scatti, si appoggiò al tavolo al centro della Serra, fece cadere un vaso, una pianta, qualcosa. Cercò di calmarsi, senza riuscirci. Un dolore acuto si faceva largo tra le costole, come una spada trafitta in esse.
Si passò una mano fra i capelli, sudava. Si tolse il mantello ed allentò la cravatta. Ora vedeva. Ora no. Ora respirava. Ora no. Ora c'era. Ora no.
Era tutto confuso e sfocato; aveva paura e non riusciva a far nulla se non provare quella sensazione.
Entrò qualcuno, ma lui non capì chi fosse.
"John?" quella voce, quella voce che tanto gli era mancata; non vedeva. "John" gli andò vicino, gli sfiorò un braccio. Respirava troppo veloce, John. "John!" urlò. "Che succede?" cadde a terra.
"Credo" disse Remus con il fiatone, trovando la voce chissà dove. "Sto... E' una... Crisi di panico" concluse infine, lei si inginocchiò di fronte a lui, gli prese il volto fra le mani.
"John, guardami" era a pochi centimetri da lui e stava per piangere. Aveva paura. "Remus!" gridò e lui obbedì. La guardò. Guardò Amelia e si sentì a casa. "John, guardami, devi continuare a guardarmi" gli ordinò e lui eseguì. "Respira con me" ma lui non riusciva a vedere, lui non sentiva quasi più nulla. "John, respira con me" ripeté Amelia. Non l'aveva mai visto in quelle condizioni –non sapeva nemmeno che soffrisse di crisi panico, a dir la verità- e non sapeva come comportarsi; aveva detto la prima cosa che le era venuta in mente e sembrava funzionare. Vederlo in quelle condizioni l'aveva spaventata terribilmente; era lì, tremante e seduto a terra, che sudava e non respirava. E lei era terrificata: vedeva Remus perso e si sentiva persa anche lei. Si chiese che fosse accaduto per ridurlo così, si chiese perché, si chiese se i suoi amici sapessero che lui soffriva di questi attacchi, si chiese cosa avrebbe potuto fare per farlo star meglio; si rispose che avrebbe dovuto stargli accanto. Inspirò profondamente ed espirò allo stesso modo, una, due, tre volte; chiamò a sé tutte le sue forze per non scoppiare in lacrime di fronte a quella visione. Remus la imitava, chiudendo gli occhi e chiamando a sé tutto il suo coraggio ed autocontrollo e, piano a piano, il respiro si fece regolare e mise in chiaro il volto della ragazza di fronte a lui. L'espressione preoccupata e spaventata sul viso di Amelia si tranquillizzò non appena lo vide star meglio. La osservò per quelli che erano solo secondi ed invece sembrarono ore, annuì appena in segno di gratitudine e, poi, fece la cosa più ovvia che avrebbe mai potuto fare: l'abbracciò, la portò a contatto con il suo corpo, la strinse a sé, perché ne aveva bisogno, perché le mancava, perché era lei. Lei che in quel momento stava affondando il viso nel suo petto, mentre lui affondava il suo nei suoi capelli, lei che aveva avuto paura che un abbraccio fra loro due non ci sarebbe stato più.
Lo strinse come se fosse la sua ancora di salvezza.
La strinse come se fosse l'unica ragione per cui era ancora vivo.
Amelia sollevò la testa ed incontrò i suoi occhi. "Stai bene" e non era una domanda, era un'affermazione, ma lui annuì lo stesso, di nuovo.
"Come mai sapevi in che modo farmi passare un attacco di panico?" le chiese, mentre allentava la presa sul suo piccolo e fragile corpo per lasciarla allontanare, mentre lei non dava nessun segno di volerlo fare.
"Sono andata ad intuito" rispose semplicemente, ancora un po' stordita.
E nessuno dei due disse più nulla; l'arrabbiatura che aveva nei suoi confronti era passata e sarebbe passata comunque dopo aver visto il suo sorriso in qualunque momento della giornata, anche se –lui non lo notava-, quel sorriso era così vuoto da quando lui non c'era più. Tutto quello che tutti e due riuscivano a sentire in quel momento era solo amore. Amore puro, senza barriere, amore e basta.
Avevano bisogno l'uno dell'altra, avevano bisogno di sentirsi amati, avevano bisogno di essere importanti per qualcuno, avevano bisogno di stare insieme.
Ma Remus si tirò indietro, alzandosi, seguito a ruota da lei, resosi conto della situazione: era a distanza troppo ravvicinata con la ragazza di uno dei suoi migliori amici, anche se gli piaceva, questo non gli permetteva di comportarsi in quel modo: doveva rispettare i suoi spazi; e i suoi spazi e doveri erano stare il più possibile lontano da Amelia.
In contemporanea lei lo guardava confusa nel mentre lui si sistemava, sentiva che le stava scivolando via e non l'avrebbe permesso. Gli si avvicinò e lo aiutò a sistemarsi la camicia, sfiorandogli qualche volta il petto con delicatezza accidentalmente, gli fece il nodo alla cravatta, passò le mani sulle sue spalle, raddrizzando le pieghe che si erano formate e poi alzò il viso per sorridergli dolcemente e lui non poté far altro che ricambiare.
Era molto più alto di lei.
L'aveva lasciata fare solo perché gli era mancato il tocco delle sue mani delicate sulla pelle, solo perché gli era mancata lei, solo perché era stato debole e aveva ceduto, ancora.
"Io..." cominciò a parlare Remus dopo quel lungo silenzio, Amelia gli lanciò un'occhiata curiosa. "Grazie" concluse infine, mentre lei stringeva le labbra in un sorriso un po' imbarazzato e faceva spallucce.
"Non ti preoccupare" lo rassicurò. "Non sapevo che tu... Insomma, che tu soffrissi di crisi di panico" confessò puntando lo sguardo verso il basso.
Scosse la testa, Remus, e appoggiò le mani sulle braccia della ragazza, sfiorandola con così tanto amore, che non si sa come Amelia non fosse riuscita a percepirlo. "Nemmeno io"
Lei puntò lo sguardo sul viso del ragazzo, sorpresa; per poi sollevargli il volto fisso verso il basso. "Che è successo?" gli chiese scrutandolo con attenzione, era così vicina a lui che riusciva a vedere ogni piccolo graffio che aveva sul viso. Come se li fosse fatti, probabilmente non l'avrebbe mai scoperto. Lui non rispose ed evitò accuratamente il suo sguardo, non poteva risponderle, non poteva dirle tutto, non poteva spiegare ogni cosa. "John" lo richiamò, cercando un chiarimento dei fatti che non sarebbe mai arrivato; lui si allontanò da Amelia con estrema fatica.
"Devo andare" troncò il discorso Remus, avviandosi verso la porta dopo aver raccolto le sue cose, ma la ragazza gli sbarrò la strada.
"Non farlo di nuovo" sembrava che lo stesse pregando, con la voce tremante e gli occhi che rischiavano di far uscire le lacrime trattenute troppo a lungo.
"Far cosa?" domandò fingendosi indifferente lui.
"Andare" rispose semplicemente Amelia e per il ragazzo fu come un pugno nello stomaco. "Non andartene ancora, John, ti scongiuro, resta con me" lo stava quasi supplicando.
Come faccio a restare con te, Amelia? Come faccio a guardarti negli occhi e nascondere tutto quello che sto provando in questo momento? Me lo dici, come fare, piccola Amelia? Come faccio a vederti e non poterti stringere a me senza che tu pensi a un altro? Come faccio se tu vuoi star con lui mentre io voglio star con te? Come faccio a mentire a te, Amelia? Sei l'unica con cui non sono capace. Devo sempre essere vero con te, maledizione. Devo sempre essere io, con te. E ti odio e ti amo per questo. E non guardarmi così, Amelia. Non guardarmi così che poi ci ripenso e decido di non lasciarti ancora, ma sei tu che lasci me, Amelia. Sei tu che mi lasci. E sono io che rimango vuoto. E sono io che sono stato stupido. E sono io che sono stato un idiota. E sono io che sento la tua mancanza. E sono io che forse ti amo, non tu; si disse.
Così scosse la testa, John. "Non posso" fece spallucce, quando avrebbe dovuto rispondere: "Non ci riesco".
"Cosa vuol dire che non puoi? Certo che puoi!" protestò Amelia con il tono di voce che si avvicinava alla disperazione.
"No, non posso, Amelia" ripeté non guardandola per paura di vedere qualcosa che avrebbe potuto fargli cambiare idea.
Nel frattempo lei si sentiva completamente persa, sola, isolata. Cos'era stato quello che era successo prima? Quel piccolo riavvicinamento? Era stato qualcosa, lei aveva sentito qualcosa. E allora perché lui faceva finta di niente? Perché la lasciava ancora da sola?
Non ce l'avrebbe fatta, non una seconda volta, non senza di lui.
Non lasciarmi, Remus, pensava. Ti prego resta con me.
E lo stava supplicando. E lui sembrava immune.
La superò uscendo e le ultime parole che disse prima di andarsene furono sussurrate e Amelia fece fatica a coglierle, ma suonavano tanto come un: "Mi dispiace".



This is falling in love 

Ships in the night.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora