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Ci volle qualche attimo prima di comprendere chiaramente: il discorso mi fu fatto da tanti diversi dottori e molte persone mi vennero a trovare per presentarsi, singolarmente o a volte in coppia, mostrando un affetto quasi spropositato. Mi hanno detto che sono stato in coma, parecchi mesi, ancora non ricordo quanti, ma è stato dopo un incidente in automobile di sabato sera. Molte volte avrei voluto alzarmi in piedi sul letto, mostrare loro i palmi e sbottare in un < Fermi tutti, chi cazzo siete? > eppure sono stato gentile ascoltando i loro discorsi in silenzio e immobile in quel letto d'ospedale. Una volta ho anche sorriso. Quasi. Ho persino finto di ricordare qualcosa, a un certo punto, esasperato da - quella che diceva di essere - mia zia che continuava a mostrarmi foto di mio nonno. La verità è che il mio cervello sembra essersi completamente spento, privato di ogni vita e non so se anche prima era così o se l'incidente gli ha dato il colpo di grazia. Ci sono stati lunghi attimi di confusione nella mia testa, totalmente nuova a questo mondo. Ho guardato ogni individuo che ha fatto capolino al mio letto in maniera approfondita, ma nessuno di loro ha ispirato in me la sensazione di familiarità e sicurezza, nonostante ciascuno avesse una storia da raccontarmi. Il disagio profondo mi colpiva alla consapevolezza che tutti ricordassero qualcosa di me.. tranne me. Per far capire quanto tutto questo fosse assurdo, uno di quei giorni in ospedale arrivò una giovane: alta, occhi azzurri, lunga chioma bionda, una gnocca di proporzioni cosmiche. Affermò di essere la mia ragazza ed io neanche ricordavo di averla conquistata. Mi abbracciò, disse di amarmi e io cosa avrei dovuto rispondere? "Ciao, ti amo anche io, piacere di conoscerti".

Non tornai a casa subito, avevo bisogno di una lunga riabilitazione per riprendere alcune capacità cognitive e costruire nuovamente la mia stessa forza che sembrava aver abbandonato i muscoli e le ossa. Conobbi i miei genitori o, almeno, continuava a presentarsi gente che aggrappata a un titolo, un nome, un aggettivo, pretendeva che io mi ricordassi di loro. Mi dispiaceva e quasi sentivo un dolore al petto quando dovevo riconoscere che niente mi era familiare. A volte ho pensato persino che quella stretta al petto potesse essere un qualche problema legato al risveglio, ma non avevo il coraggio di chiederlo ad alcuna persona. Così mia madre quel giorno mi si avvicinò con le lacrime agli occhi e dopo l'ennesima persona vista in quelle condizioni avrei voluto chiedere "cosa piangete tutti? Non siete felici che io sia qui?" esasperato forse dal non saper gestire certi avvenimenti.

< Non piangere mamma, sto bene. > la strinsi dandole quell'appellativo che lei aspettava da me, piena di speranza. E' una donna premurosa, questo bisogna riconoscerglielo e sicuramente quello che me l'ha fatto comprendere maggiormente è stato il modo in cui rigirava tra le mani un depliant ospedaliero torturandolo come se dovesse farne mille pezzi. Mio padre rimase impassibile seduto su una sedia, distante dal letto e con dei modi alquanto freddi e militareschi, tanto da farmi domandare quale tipo di rapporto potessi effettivamente avere con lui, in una vita passata. < Presto tornerai a casa e riprenderai la tua vita.. non preoccuparti.. > il suo tono di voce era profondo e quieto, ma sembrava più voler convincere se stesso che me, dato che io in effettiva, fino a quel momento, non mi ero preoccupato di nulla. La mia vita? Quale vita? Quel momento mi fece acquistare la consapevolezza che da lì in avanti nulla sarebbe stato semplice. Eppure ero appena nato, non sarebbe dovuto essere qualcosa di molto facile, imparare ogni cosa - o quasi - da capo? Non avevo tenuto in conto che gli altri sapessero già perfettamente quale esistenza avrei dovuto vivere, cosa avrei dovuto fare, pensare, immaginare. Rimasi in silenzio per quasi l'intera conversazione con i miei genitori, rispondendo solo con qualche monosillabo, ma senza desiderare di conoscere altro da loro. Non mi sentivo a mio agio e per giorni credetti di poter diventare pazzo per una serie di deliri convincenti che tuttora non sono spariti. Se io non appartenessi davvero a questo mondo o a questa situazione? Se mi avessero assemblato il cervello in maniera tale da non ricordare nulla di quanto fosse successo precedentemente per poi crearmi dei ricordi nuovi con le persone che volevano loro? La loro storia, le loro idee, l'immagine che loro avrebbero voluto di me. Alternai periodi di forte convinzione, ad altri di euforia per ogni cosa riscoperta di giorno in giorno ad altri ancora stracolmi d'incredibile tristezza e apatia. Il dottore si limitava sempre a dire che era una cosa normale e che sarebbe sparita con il tempo attraverso le immagini di ricordi.

Coma WhiteWhere stories live. Discover now