Capitolo 7

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Jason C. Richmond

La radura era caratteristica della penisola di Olympia, con la foresta temperata e i fiori di campo che sorridevano a quella giornata soleggiata, c'era anche un cerbiatto sul bordo della radura e si abbeverava su un corso d'acqua. Tutto in quella visione sembrava celestiale, pacifico e incredibilmente reale. Tutto accadde all'improvviso. Una folata di vento caldo e soffocante mi travolse, soffiando contro la schiena. Quando mi girai, dietro di me trovai l'inferno: lingue di fuoco avanzavano e si arrotolavano intorno agli alberi come grossi serpenti, per poi liberarli dalla loro morsa solo dopo averli ridotti a colonne di carbone scricchiolanti. Quelle stesse fiamme, mosse da una forza invisibile, stavano per avvolgere anche me e io non avevo niente che potesse in qualche modo schermarmi o semplicemente proteggermi dalle fiamme. In un attimo mi ricordai che dall'altra parte della radura doveva esserci per forza dell'acqua, quindi mi ridestai da l'immobilità dovuta al panico e iniziai a correre verso l'altro capo del prato. Ci misi qualche secondo a rendermi conto che nonostante corressi con tutta la forza che avevo in corpo, la fila di alberi fosse ancora così distante, una distanza che sembrava aumentare gradualmente. Corsi disperatamente per raggiungere quel traguardo che non arrivava mai, quando inciampai e caddi a terra, in quello stesso istante tutti diventò nero e una voce femminile urlò il mio nome, con una forza tale da distruggere i timpani. Dopo un tempo indefinito ripresi conoscenza in una stanza asettica e spoglia, con una grossa luce puntata in faccia, ma ancora prima di accorgermi cosa mi circondava un urlo di dolore si propagò da ogni cellula del mio corpo. Incredibilmente mi sentii librare in aria, girai su me stesso di 180 gradi e vidi il peggior spettacolo della mia vita: sotto di me c'era il mio corpo, in sala operatoria, con un plotone di dottore e infermieri, impegnati a fare operazioni che non riuscivo a comprendere. Ma la cosa che più mi sconvolse fu la mia figura: ero steso su quel l'anonimo lettino, la parte sinistra del mio corpo non presentava lesioni, se non qualche graffio ma la destra, a partire dalla gamba fino alla punta della testa era un disegno macabro formato da estesissime ustioni rosse che si alternavano a croste gialle. I capelli erano per metà scomparsi e la palpebra semi chiusa rivelava un occhio opaco e l'iride azzurra era diventata di un grigio smorto. Le parole del medico risuonarono nella sala e ebbero l'effetto di una mazza da baseball che si schiantava contro la mia testa: "Ora del decesso: 9:48 pm." Tutto tornò nero e quando mi risvegliai vidi un cielo grigio e nuvoloso. Davanti a me una marea di persone vestite di nero in un giardino ampio e spoglio guardavano nella mia direzione. Accanto a me c'era un prete vestito di viola che pronunciava parole che nessuno sembrava seguire con attenzione. Solo allora capì: ero ad un funerale, il mio funerale. In quel quadro mi sorpresero diverse cose: la prima fu il fatto che nessuno stava piangendo, neanche mia sorella (cosa alquanto strana), la seconda è che tutti volti familiari erano terribilmente simili a quando mi sembrava esseremi addormentato, non una ruga o un capello bianco in più, a dimostrare che tutto succedeva in un futuro molto prossimo. Alla fine della cerimonia, quando quattro uomini della mia vecchia scorta si avvicinarono alla mia bara e presero delle cinghie per adagiarmi sul fondo della fossa. A turno varie persone si avvicinarono alla tomba prendendo una manciata di terra dal mucchio che si era formato scavando sotto la lapide e lanciandola sulla bara chiusa. Alcuni esprimevano parole di cordoglio e altri facevano il segno della croce, ma la cosa che più mi colpì fu una ragazza la cui carnagione era pallida come il cielo e i capelli castano rossicci svolazzavano ad un vento di cui non mi ero accorto, prese anche lei la sua manciata e la scagliò con eleganza dove sarebbe dovuta essere la mia faccia. Sulle labbra aveva un sorriso di soddisfazione. Un ghigno malefico e tutt'altro che distaccato.

Una voce familiare mi risvegliò. Ero tutto sudato, con le lenzuola arrotolate al mio fianco. Seduta accanto a me c'era mia sorella che mi accarezzava la testa ripetendo che andava tutto bene. Andava tutto bene. Non ho perso il controllo della situazione. Non era reale. Quando finalmente riuscì a riprendermi dall'incubo chiesi: "Ma non dovevi essere dall'altra parte dell'oceano?" "Sono appena tornata, oggi arriva papà. Quando sono entrata in casa ho sentito delle urla di dolore e sono corsa in camera tua. Ma non cercare di cambiare discorso, vuoi raccontarmi cosa hai sognato?" spiegò "Io l'ho sempre detto che ti preoccupi troppo. Tranquilla, non è niente. Già non me lo ricordo più" invece era ancora li, nitido e realistico come un film che si ripete all'infinito. Abbozzai un sorriso "Che ore sono?" chiesi, ma ancora prima che Valery potesse prendere fiato Caroline rispose "Sono le 5:23, signore" "Grazie Caroline" dissi sottolineando il nome per inviare una frecciatina a mia sorella, che fece finta di essere offesa "Penso che andrò a correre, è troppo tardi perché riesca ad addormentarmi" annunciai alzandomi dal letto disfatto "Ci vediamo dopo, prova a riposare, sarà stato un lungo viaggio" salutai mia sorella con il tono più rassicurante possibile. Dopo essermi cambiato scesi in spiaggia con gli auricolari nelle orecchie, puntai al lato opposto rispetto a Waikiki e iniziai a correre. Inizialmente era tutto molto scuro, rischiarato solo dai primi raggi di sole, il quale annunciava che sarebbe sorto anche quella mattina infatti poco dopo il disco rosso sgusciò fuori dall'orizzonte trasformando il mare da una distesa di mercurio ad una lastra piatta che rispecchiava il cielo rosato. Mi fermai un po' ad osservare la scena e a riprendere fiato e dopo un po' decisi di tornare verso a casa. Durante il viaggio di ritorno assistetti ad un pigro risvegliò della città: da chi si fermava a preparare la colazione nel giardino dietro casa a chi semplicemente si stiracchiava in veranda con la vestaglia e in mano il giornale fresco di stampa. Rientrando nella villa incontrai un paio di inservienti che mi salutarono ed appena salì le scale entrai nella camera di mia sorella. Lei era seduta sul letto, con la schiena appoggiata alla testiera con una vistosa vestaglia viola decorata con fiori variopinti e ascoltava la musica. "Ma come cavolo hai fatto a ridurre la camera in questo casino se non ci sei stata mai?" Chiesi riferendomi alle valige aperte mezze disfatte, la scrivania con ammucchiati progetti e documenti in ordine sparso, per non parlare delle bottiglie di Coca-Cola vuote appoggiate sul comodino "Non sono io che sono disordinata, sei tu che sei ossessivo compulsivo" urlò di rimando facendo una linguaccia "Vacci convinta cara" scherzai, lei si alzò disse: "Ti faccio vedere io come sono disordinata" e detto questo prese un cuscino di piume dai colori pastello e me lo lanciò addosso. Subito nella stanza si sparse una marea di soffici piume bianche. Per rispondere al fuoco corsi fino al letto, presi un cuscino e lo scagliai con altrettanta forza colpendola in piena faccia. Lei mimò una faccia scioccata e intensificò gli attacchi. Il risultato fu si che dopo mezz'ora noi eravamo stanchi e ridevamo come pazzi, mentre la camera era come la Groenlandia dopo una nevicata. Dopo un po' andai a farmi una lunga doccia e cambiarmi per poi andare a fare colazione, dove trovai Valery che stava per addentare un toast caldo con una marea di Nutella spalmata sopra "Nutella e pane? Stiamo scherzando per caso?" La rimproverai in tono scherzoso sedendomi davanti alla vetrata, di rimando lei rispose "Calvin Klein e Stan Smith? Stiamo forse scherzando?" fece una pausa per addentare un generoso pezzo di toast, poi continuò:" E io comunque mangio tutta la Nutella che voglio e quando voglio" Disse cantilenandomi assaporando la sua colazione con un espressione di puro godimento. Qualcuno aveva messo a basso volume Ain't No Mountain High Enough, che creava una bellissima atmosfera. Solo allora notai anche John intento a versarsi il tè spaventosamente vicino a Valery. Solo dopo aver finito metà della mia tazza di cereali chiesi indicandoli con il cucchiaino "Ma voi due state insieme?" Loro li per li sembravano imbarazzati della domanda e poi cercarono di articolare una risposta usando solo parole come "Emh" o simili. Io scoppiai a ridere pensando a quanto li shippavo. "Quando arriva Frank?" Chiese ad un certo punto John, probabilmente per distogliere l'attenzione da quel discorso che lui reputava imbarazzante. Prima che Valery potesse rispondere dissi "Innanzitutto si chiama Francis e per te è il Signor Richmond. Il massimo della confidenza che puoi prendere è Richmond" appena finì la frase arrivò Allison in salotto e disse "Davvero arriva Frank? Quando?" "Oggi per pranzo amore" e con questo mi alzai, la baciai spostandogli una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio. Ci fermò solo il finto colpo di tosse di Valery e Allison si allontanò e si diresse verso di lei e si scambiarono due baci sulle guance per salutarsi e parlarono del più e del meno come vecchie amiche (sono entrambe attrici fantastiche) infine si presentò a John che le baciò la mano sorridendo e guardandola negli occhi, nonostante la mia evidente punta di gelosia. Dopo essersi allontanata da John venne a sedersi sulle mie ginocchia e disse "Sapete che siete una fantastica coppia?" Valery, che già era arrabbiata per la sua presenza e stava bevendo il tè guardando da un altra parte per poco non si strozzò, mentre John fece un sorriso rassegnato. Dopo un po' ci trasferimmo in spiaggia parlando della vacanza di mia sorella in Thailandia aspettando l'arrivo di mio padre. Finalmente poco prima di mezzogiorno il capo del personale si affaccio per avvertirci che da lì a pochi minuti sarebbe arrivato. Attraversammo la casa e ci posizionammo sul gradino più alto della scala mentre gli inservienti formarono due linee lungo la strada. Arrivarono tre macchine silenziose che si sistemarono al centro del piazzale paralleli alla scala: la prima e l'ultima macchina erano Evoque neri della Land Rover che contenevano la scorta di mio padre mentre al centro c'era la Rolls Royce nera e oro con i vetri oscurati. Un maggiordomo corse ad aprire la portiera posteriore da cui uscì un uomo sulla sessantina, con un vestito bianco di ottima fattura, una cravatta oro e un Panama con la fascia dello stesso colore. "Ciao, papà" dissi "Ragazzi! Che piacere" saluto mia sorella e me, poi rivolgendosi alla mia fidanzata al mio fianco disse "Allison, cara, incantevole come sempre" "Grazie Frank" rispose compiaciuta. Poi si avvicinò a John e mettendogli una mano sulla spalla "E tu giovanotto?" chiese con aria interrogativa "Sono John Walsh, signore" disse porgendogli la mano "Francis Arthur Tiberius Richmond, ma chiamami pure Frank. È un piacere" disse stringendola "Papà, John è un amico che ho conosciuto qui alle Hawaii" aggiunse Valery un po' imbarazzata. "Dunque cara, facci strada nella tua creazione. Devo dire che da fuori non sembra niente male..." ordinò mio padre con voce tuonante. Quel comando stupi tutti, dal momento che tutti pensavamo che la casa fosse stata progettata da qualche famoso architetto e sicuramente non mia sorella. "Smettila pa', io ho solo aiutato il team di Foster che ha fatto il progetto" rispose Valery un po' in imbarazzo per la situazione "Tutta modestia, ma forse è giunto il momento che tu inizi a prenderti il merito delle tue azioni, mia cara" disse togliendosi il cappello perché qualcuno lo prendesse e addentrandosi nella casa. Salimmo le scale che portavano alle camere da letto ma continuammo superando le porte delle nostre camere. Percorrendo tutto il corridoio arriviamo ad una porta a due battenti parallela al mare. Una volta aperta entriamo in una bellissima biblioteca, con colori chiari e illuminazione soffusa, al centro della stanza che sembra essere molto vasta c'è una scala a chiocciola di vetro che sale al piano superiore, dove ci accoglie un altra porta a due barrenti. Superata quella ci trovammo in un grande studio vista mare, con una grande scrivania semicircolare vicino alla vetrata, ma posizionata in modo tale che solo l'ospite avesse la luce in faccia, mentre chi sarebbe stato seduto fosse controluce e perciò con il viso in ombra. nella stanza c'era anche un cubo di vetro con all'interno una sala riunioni con un tavolo di vetro e un grosso schermo. sparsi per la sala cerano anche delle poltroncine disposte in piccoli cerchi. Sulla sinistra cera infine la porta della camera da letto, simile alle nostre ma più grande, con il letto matrimoniale a baldacchino con le tende bianche e leggere che svolazzavano con il vento, il grande divano, la libreria con il televisore, e le porte per il bagno è per il guardaroba. "Niente male. Complimenti. Per essere la tua prima casa non è niente male!" Disse alla fine del piccolo tour mio padre, tutti eravamo piacevolmente sorpresi, persino Allison si congratulò sinceramente con mia sorella e John sembrava anche un po' a disagio dopo aver scoperto le capacità di Valery. Dopo qualche minuto di congraturazioni e critiche costruttive Fracis decise di riprendere il controllo inrompendo con un: "Allora ragazzi, che dite di andare a pranzo? Conosco un posticino niente male qui vicino." Allison prontamente rispose "Certo, bell'idea. Devo andare a cambiarmi a casa, Jason puoi accompagnarmi?" "Certo amore" risposi con dolcezza. Ci girammo e percorremmo in silenzio la strada a retroso. L'accompagnai fino alla" "Certo, bella idea. io e Jason vi raggiungiamo" disse Allison e senza aspettare alcuna risposta si allontanò lungo la strada che avevamo percorso prima. "Allora, io devo passare a casa a cambiarmi. Mi accompagni?" chiese passandosi la mano tra i capelli "Certo amore, aspettami fuori che prendo la macchina. Una volta usciti la scelta ricadde su la Mercedes SLK 250 rossa di mio padre, e dopo aver fatto salire Allison in fordo alle scale ci dirigemmo verso la sua casa nel centro di Ohau. Dovetti aspettare qualche minuto fuori dalla casa principesca dai colori pastello che apparteneva alla famiglia di Allison. Stavo giocando a Candy Crush quando il rumore di tacchi sul vialetto che attraversava il giardino mi ridestò: la mia ragazza era bellissima, mentre si muoveva i capelli in quel vestito bianco che contrastava con la pelle abbronzata. Era truccata con molta cura ma non eccessivamente, quanto basta per non riuscire più a distogliere lo sguardo. "Pensavo che dopo tutto questo tempo avessi smesso di farmi quest'effetto" dissi appena si mise sul sedile "Quale effetto?" Chiese sensualmente "Bè, che dici del fatto che non riesco a distogliere lo sguardo da te?" Per tutta risposta mi diede un bacio sulla guancia "Zitto e guida, che siamo già in ritardo". Raggiungemmo il ristorante: un County Club vicino al mare con un grazioso ristorante stellato. Gli altri si erano già posizionati su un grande tavolo rotondo al centro della sala, anche Frank si era cambiato, togliendo la cravatta e sostituendola con una colorata ghirlanda di fiori tropicali "Finalmente ragazzi! Pensavo che ormai non sareste arrivati più!" Esordì mio padre "Be pa' sai come è fatta Allison. Avete gia ordinato?" Chiesi "No, però hanno portato i menù". Papà era al centro del tavolo tra me e Valery, a cui stava appiccicato John che all'arrivo della cameriera disse "Io penso che opterò per il buon vecchio hamburger" allora io aggiunsi "Bella idea. Penso che ne prenderò uno anche io. Mi porti anche una Coca e un insalata mista, grazie" poi fu la volta delle ragazze che si persero in un infinità di correzioni agli ingredienti facendo praticamente esplodere la povera cameriera. Infine mio padre prese un maialino. Io e mio padre iniziamo una conversazione su alcuni modelli di accessori smart creati in collaborazione con una casa di moda molto famosa coinvolgendo molto Allison riguardo le scelte estetiche, intanto Valery e John sembravano discutere animatamente sulle patatine: John voleva ordinare una porzione di french fries, mentre mia sorella glielo impediva sosotenedo che le avrebbe mangiare anche lei è sarebbe ingrassata, conversazione inutile dal fatto che la mattina lei avesse mangiato 3 toast alla Nutella. Infine intervenì mio padre dicendo che avrebbe potuto ordinare tranquillamente le patatine e che anzi le avrebbe mangiate volentieri anche lui. Il pranzo proseguì molto bene, senza quei silenzi assordanti di quando le persone si sentivano a disagio dalla presenza di estranei, infatti bisognava riconoscere che John era una persona molto amabile e che era incredibilmente facile parlare con lui. Verso la fine, durante la discussione sul dolce la suoneria privata del telefono di mia sorella ci interruppe bruscamente. Infatti le telefonate che ricevevamo venivano accuratamente filtrate e solo a pochi numeri selezionati era permesso di chiamare direttamente. Dopo aver letto il nome sul suo volto comparve un'espressione stupita che però durò solo qualche secondo perche subito si allontanò per rispondere. Rimase al telefono parlando animatamente per diversi minuti e quando torno era vagamente impallidita e tuonò con: "Allora, avete per caso ospitato qualcuno mentre ero in Thailandia?" Mi stupì molto quella domanda "A si è vero... Oddio come si chiamava? Amore?" Chiesi il supporto di Allison che prontamente rispose "O si, Alice. Una personcina adorabile. Perché?" C'era un pizzico di sarcasmo nella sua voce "È una storia lunga. Sta di fatto che nessuno di voi dovra avvicinarsi a lei, o rivolgerle la parola se non dopo essere stati interpellati. Dovete lasciala perdere" era visibilmente agitata, addirittura si passava compulsivamente la mano tra i capelli con mano tremante. L'avevo vista così solo pochissime volte. Subito John si piego su di lei per consolarla abbracciandola e prendendogli la faccia tra le mani dicendo cose confortanti e passandogli il pollice sotto un occhio per asciugare una lacrima solitaria. Papà che era rimasto nel frattempo a guardare in silenzio sembrava per fare una domanda quando gli dissi piano "Forse non è il caso ora, se scopro qualcosa ti avverto". Dopo che Valery si riprese il pranzo tutto procedette come se nulla fosse successo, ma la preoccupazione si leggeva dell'azzurro dei suoi occhi. Infine mio padre chiese della scuola che sarebbe iniziata il giorno dopo. Avremmo frequentato tutti la Franklin, una scuola pubblica. PUBBLICA. Quando il mese scorso l'avevo scoperto ero volato dalle Bahamas, interrompendo la mia vacanza, per andare a New York e tampinare la segretaria personale perché mi facesse vedere mio padre. Lui disse che ci aveva iscritto lì per avere più esperienze "Umane" con gente "comune" e comunque quella era nel ranking americano comunque una buona scuola. John era all'ultimo anno mentre noi eravamo al 3º, dopo aver declinato la possibilità di passare direttamente all'università. Io e Valery avevamo scelto corsi diversi e secondo gli orari non ci saremmo incontrati in classe salvo occasioni speciali, mentre seguivo tutti i corsi con Allison. Tutto sommato poteva essere una buona opportunità, una nuova città, una bella città; una nuova scuola, normale come tutte le altre; senza conoscere nessuno, con la possibilità di essere te stesso o qualcuno di completamente diverso: poteva andare peggio. Quel pomeriggio Valery andò a fare shopping con qualche amico conosciuto di recente e John, mentre Allison sarebbe andata anche lei a fare shopping, ma ad Oahu ( ciò significava essere più vicino a casa sua e meno possibilità di incontrare mia sorella, mentre mio padre ed io saremmo rimasti al club per riallacciare i rapporti padre-figlio e farsi stracciare a golf. "Allora? che ne pensi?" chiese dopo essere scesi dalla golf car alla buca 1 "Di cosa?" chiesi leggermente sorpreso "Be dell'isola... Pensavo di rimanere qui con voi. Certo, dovrò fare qualche trasfera ogni tanto... però" lo interruppi sorpreso "Ma è fantastico! E il consiglio è d'accordo?" Un largo sorriso gli si stampò sulle labbra "Certo! E poi ormai si può fare tutto da casa, poi in quel fantastico ufficio che mi ha fatto Valery sarà incredibilmente facile" poi mi feci serio e dissi "A Valery farà piacere sapere che ci sei. Penso che si sia sentita orfana ultimamente". Mentre parlavamo continuavamo a giocare e devo dire che dall'ultima volta era notevolmente migliorato, e mentre parlavamo di cose varie il sole era calato fino a tingere di rosa il verde dell'erba del campo e decidemmo di andare a casa e dopo che fossero arrivate le ragazze magari mangiare anche fuori. La serata passò piacevolmente: avevamo fatto apparecchiare un tavolo vicino al mare e mangiammo illuminati dalle candele e dalle lanterne che avevamo fatto portare. infine io John e Valery riuscimmo anche a fare un bagno al chiaro di luna. Allison era rimasta fuori e noi per farle uno scherzo siamo corsi sull'acqua bassa schizzandola e costringendola ad entrare. ci divertimmo molto e dopo la doccia ci mettemmo sul divano a guardare uno dei miei film preferiti: "Inception" mentre mio padre si ritirò nelle sue stanze annunciando che ci saremmo visti a colazione. Il film fu veramente bello, come sempre, e fu anche un modo perfetto per passare l'ultimo giorno di libertà prima di scuola. Alle 1 am dopo aver accompagnato Allison a casa mi sdraiai finalmente sul letto e mi addormentai ascoltando il lontano infrangersi delle onde, ancora vestito e sopra le coperte.

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