Capitolo 1

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Jason C. Richmond

“Si prega i gentili passeggeri di allacciare le cinture di sicurezza, stiamo per atterrare all'aeroporto internazionale di Honolulu” avvertì la soave voce dell’hostess di bordo del jet privato, ridestandomi dalla mia amata lettura. Il lungo viaggio di 10 ore da Washington è stato molto tranquillo, dal momento che né mio padre né mia sorella viaggiavano con me. Da poco avevamo ricevuto la notizia che io e la mia famiglia ci saremmo dovuti trasferire a Honolulu per via degli affari di nostro padre. Quando scesi dall'aereo grazie alla piccola scaletta mi persi per un attimo a guardare l’idilliaco paesaggio che si profilava davanti a me: da un lato si può osservare il moderno skyline della città di Honolulu, in contrasto con la lussureggiante vegetazione che circonda dolcemente la città mentre dall’altro il mare si estende senza confini, come a ricordarci che non siamo poi così grandi come ci immaginiamo. Quando uscì dal tozzo terminal dell'aeroporto rimasi sorpreso vedendo parcheggiata la Rolls Royce di mio padre e per un attimo mi sfiorò l’idea che lui potesse essere venuto a prendermi personalmente. Tutto questo bel sogno svanì nel momento esatto in cui la portiera del guidatore si aprì e ne uscì un autista che non avevo mai visto prima. Subito mi tornò in mente il fatto che dal momento che la casa è nuova mio padre aveva assunto nuovo personale. Quando notai che l'autista mi stava squadrando dalla testa ai piedi lo fulminai con lo sguardo. Mi dá veramente fastidio quando la gente mi scruta in cerca di difetti e imperfezioni: sono alto 1.80, capelli castano chiaro e occhi azzurro ghiaccio che sono in contrasto con la mia carnagione abbronzata, avevo ereditato da mio padre i contorni del viso molto duri e severi che non sempre rispecchiavano a fondo il mio carattere. Quel giorno ero vestito molto semplice: una camicia bianca con i primi due bottoni aperti che fasciava con molta delicatezza il fisico ben definito dagli anni di nuoto e dei jeans strappati sul ginocchio. “Quando questa mattina mi sono vestito mi sono accorto che hanno trasferito tutto il mio guardaroba su quest'isola” dissi a mo di scusa con un tono carico di frustrazione “stia tranquillo…” rispose l'autista. Rimasi a dir poco sconcertato da quel suo consiglio, infatti in tutta la mia vita mai nessuno si era degnato di rispondermi in quel modo, tanto meno qualcuno della servitù! Per tutta risposta però nella maniera più falsa possibile gli risposi “Si hai ragione scusami… Sarà il jet lag” quella risposta per un attimo sorprese anche me oltre all’autista che aveva quasi strabuzzato gli occhi. Dopo aver caricato la marea di bagagli ed essermi messo in viaggio il mio sguardo ricadde accidentalmente sull'autista e così decisi di provare a fare conversazione: “Sai dove è la nuova casa? Non ci sono mai stato e sono molto emozionato” dissi sforzando di sembrare amichevole. Dovevo proprio esserci riuscito perché John, così aveva dichiarato di chiamarsi l’autista, mi rispose sfoderando un gran sorriso “Vedrà, suo padre si è veramente superato questa volta”. Dopo Quasi trenta minuti di viaggio la macchina rallentò davanti ad un massiccio cancello fiancheggiato su entrambi i lati da un lungo muro coperto da qualche esotica pianta rampicante. Mi ci volle un po' per accorgermi dei due agenti di sicurezza armati che aspettavano di fianco al cancello. Solo dopo che uno di loro sbirciò nella macchina per verificare i passeggeri, fece un segno, a nessuno in particolare, e il cancello iniziò ad aprirsi rivelando il tesoro che tutta questa sicurezza proteggeva. La casa distava 500 metri dal cancello, infatti per entrare bisognava percorrere una strada costeggiata da alti alberi da qui si poteva guardare tutto il giardino curato nei minimi dettagli, con cespugli alberi e sentieri di ghiaglia. La casa era posta in rialzo rispetto al giardino come per sottolineare la sua grandezza e importanza. Dopo aver parcheggiato la Rolls Royce  vicino a tutte le nostre altre auto in uno spiazzo dietro il giardino mi avviai per le scale di vetro che portavano all’ingresso. A prima vista le pareti di vetro della casa sembravano proseguire ininterrottamente, senza una porta, però appena mi avvicinai al vetro le lastre scivolarono una sull'altra assicurandomi un passaggio. L'interno della casa sembrava uscito da una rivista di arredamento: il colore predominante era il bianco però negli ambienti si riprendeva il turchese che richiamava il mare. Le pareti di vetro circondavano tutto il piano dando un incredibile vista sul limpido mare delle Hawaii, appena mi avvicinai alla finestra che dava sul mare notai che anche questa era apribile e dava su un balcone con un enorme piscina a sfioro con la parte verso il mare a sua volta di vetro. Dal balcone partiva anche una scala come quella di ingresso che portava alla spiaggia privata.
In tutte le case che abbiamo avuto io e mia sorella abitiamo al primo piano, io nell’ala est e lei nell’ala ovest. Dopo aver trovato le scale per il piano di sopra, che come tutte le altre in casa sembravano quelle dell’Apple Store, mi diressi verso le mie stanze. Il primo piano era un corridoio perpendicolare al mare con solo 2 porte bianche e lavorate con disegni geometrici, una di fronte all’altra. Girai a destra ed entrai nella mia camera: un grande open space con le solite pareti a vetro che davano sul mare, ma non erano un proseguimento di quelle al piano di sotto che erano qualche metro più avanti, perciò nel balcone ricavato trovai un altra fantastica piscina e delle sdraio puntate verso il mare. Sulla parete opposta non fatta di vetro campeggiava fiera un enorme libreria di mogano con tutti i miei libri, sia quelli che avevo letto che quelli che volevo leggere. Nella libreria c'era anche un buco che conteneva uno schermo piatto che sarà stato 86” posto davanti a un divano ad angolo. Al centro della stanza c'era il letto matrimoniale con la testiera che dava al lato opposto rispetto al mare. Per finire in fondo alla camera c’era un enorme scrivania di vetro su cui era appoggiato il computer nuovo. “Ma si dai… Qualche mese farò lo sforzo di restarci in questo buco di casa” pensai ad alta voce con un tono ironico ma venni interrotto da una voce femminile molto gentile che sembrava quasi quella delle hostess: “Benvenuto signor Richmond, il mio nome è Caroline e sono l’assistente vocale della casa, posso fare qualsiasi cosa per rendere il soggiorno piacevole. Volevo comunicarle che il pranzo sta per essere servito nel salone da pranzo". Stupito da quell’annuncio mi diressi di gran carriera giù per le scale verso il salone quando sentii una voce familiare dietro di me dire: “Ciao, fratellino.”

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