34. Sushi e problemi più rilevanti

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Quando arrivo a casa di Annabelle sono stremata, svuotata di qualsiasi emozione. Il mio unico desiderio è quello di buttarmi sul letto e rimanere lì con il mio corpo apatico, invece vado dritta in camera e afferro il libro di medicina. A fine ottobre ci sarà il primo esame, ed è tempo che mi concentri sulle cose davvero importanti. Non che Drew non lo fosse. Cazzo, se lo era. Ed io gli ho raccontato tutto, mi sono esposta, gli ho rivelato il mio segreto più oscuro. Vorrei piangere a dirotto senza fermarmi più, ma mi faccio forza e mi ripeto che non sarebbe così perfido da rigirarmelo contro e umiliarmi, distruggermi più di quanto non lo sia già.
Non gli ho mentito quando gli ho detto che mi aveva distrutto un po' di più. È vero. Perché Drew mi ha dato una speranza, e poi me l'ha spezzata bruscamente. E questo sì che ha fatto male.
Nelle ultime quarantotto ore è successo di tutto, e stento a crederci. La mia vita è sempre stata lo stesso copia e incolla negli ultimi cinque anni, poi magicamente arriva Drew e succedono più cose in appena un mese che in diciotto anni di vita. Mi chiedo se tutte le emozioni che ho provato siano state davvero salutari per il mio cervello, mi sembra di essere un'altra persona, e non so quanto la cosa mi piaccia. Certo, è da quando sono partita da Sydney che mi ripeto cosa fare per diventare una nuova Liz, ed ora che qualcosa è davvero cambiato non capisco se sia quello che ho programmato sin dall'inizio. Ed è tutta colpa di Drew. La confusione, la nuova Liz, il dolore, ma anche la felicità, l'impazienza, il nervosismo, il batticuore... Quindi non so quanto fargliene una colpa, anche se adesso non siamo più nulla, non che prima fossimo qualcosa.
Comunque, come sempre, sto cercando una scusa a qualsiasi cosa brutta mi succeda. L'ho sempre fatto, mi fa sentire meglio, meno in colpa con me stessa.
Non posso credere di essere stata ad un passo dalla felicità e che mi sia scivolata fra le dita con una tale rapidità. O forse è tutto un gioco perverso della mia mente, e mi sono semplicemente illusa che Drew fosse ciò di cui ho bisogno per sentirmi finalmente in pace.
Non lo so, so solo che non voglio pensare più a nulla per qualche ora, voglio solo infilare la testa nel libro e studiare.
Dopo appena una quindicina di minuti di studio, un rumore di porta che sbatte proviene dal corridoio. Due volte. Poi il suono dello sciacquone del water. Mi rilasso istantaneamente, a quanto pare Annabelle è a casa, al contrario di quello che avevo pensato appena entrata. Ritorno a concentrarmi sulla pagina e ad evidenziare le parole chiave, quando un forte trambusto mi interrompe per la seconda volta.
«Annabelle?» chiamo a voce alta, e quando non sento alcuna risposta provenire dalla sua camera inizio a preoccuparmi. Mi alzo dal letto abbandonando l'evidenziatore e percorro i pochi metri di corridoio che separano la sua stanza dalla mia.
Busso piano sulla porta socchiusa, e non ricevendo di nuovo alcuna risposta la apro.
Non avevo mai visto la stanza di Annabelle, e la prima cosa che mi salta all'occhio sono le pareti, di un azzurro tenue, non sembrano da lei. Poi noto il comodino bianco, il letto matrimoniale con le coperte ammucchiate in fondo, il televisore al plasma. Al muro sono appesi dei dipinti di Van Gogh, e c'è un'enorme toletta accostata alla finestra. La cosa che però mi salta più all'occhio è il grande casino che regna nella camera. Pensavo che lei fosse una persona estremamente precisa, invece per la stanza è sparso di tutto. Flaconi di profumo, spazzole, vestiti ammucchiati sulla sedia della scrivania, libri dell'università sparsi per terra, il computer abbandonato al centro del letto...
Quando ho finito di scannerizzare il suo rifugio segreto, porto gli occhi su di lei, seduta sul letto con la testa fra le mani. Per la prima volta vedo Annabelle non tutta in tiro, e la cosa mi fa capire che la situazione è più grave di ciò che avevo inizialmente pensato. Il vestito blu cobalto è sgualcito e storto sul collo e sulla vita, ha un solo orecchino a forma di cerchio e le scarpe sono di un arancione spento che stona con il vestito. Per dedurre se c'è qualcosa di davvero serio che non va nella vita di Annabelle Royal, basta vedere com'è vestita.
Procedo cauta all'interno della stanza, e le tocco piano una spalla. Lei sembra risvegliarsi da uno stato di trance, e gira di scatto la testa per guardarmi. Ha delle profonde ed evidenti occhiaie, come se non dormisse da giorni, e gli occhi sono lucidi e stanchi, non c'è neanche una punta della determinazione solita di Annabelle, della sua stoica freddezza, e finalmente capisco che c'è poco da scherzare, perché deve essere successo qualcosa di davvero molto grave.
«Che succede?» le chiedo sedendomi accanto a lei sul materasso morbido.
Chiude gli occhi per cinque secondi, poi li riapre. Istintivamente penso a Gale, che potrebbe essere tornato e averle fatto del male, e spero per lui che non sia così.
«C'è una cosa che non ti ho detto.» Non mi piace il modo in cui ha iniziato la frase, proprio per niente. «Una... una cosa che credevo impossibile, ma che invece si è rivelata possibilissima.»
«Di cosa stai parlando?» chiedo, più che altro per darle tempo di racimolare i pensieri.
«È successo tre settimane fa» per la prima volta, la voce di Annabelle è storpiata dalle lacrime, e vederla così a pezzi fa male un po' anche a me. Forse da quando mi ha confessato il suo passato la sento più vicina, non lo so, comunque il suo dolore è anche il mio. «Gale era ancora presente nella mia vita, più di quanto volessi.»
Ed ecco che tutti i miei peggiori presentimenti si sono appena confermati veritieri. Annabelle deglutisce e fissa il parquet chiaro della sua stanza.
«Una sera eravamo al Luna Park, per una volta ci stavamo comportando da coppia normale, e credevo che tutto stesse finalmente iniziando a cambiare direzione e ad andare nel verso giusto. Mi ero illusa che qualcuno che fa della violenza la compagna di una vita, potesse smettere da un momento all'altro. È stato un grave errore» prende un grande respiro e continua, io sono pietrificata. «Mi ha detto di volersi allontanare per un attimo, e che aveva una sorpresa per me. Allora siamo andati sulla sponda del lago, quella dietro l'enorme masso, dove nessuno va mai, infatti era deserta.»
Mi si forma un enorme buco nel petto, e dei crampi allo stomaco fortissimi mi costringono a stringerlo per il dolore. Ti prego tutto ma non quello, ti prego tutto ma non quello, ti prego tutto ma non...
«Mi ha violentata.»
«Dio, Annabelle» mormoro e la abbraccio, lei non piange neanche una lacrima, le trattiene tutte in gola.
«Non credevo potesse succedere, speravo che non sarebbe successo, mi ero convinta che non sarebbe successo, e invece avevo la nausea, sbalzi di umore, ero gonfia, quindi ho fatto il test sabato mattina e.... sono incinta.»
Merdamerdamerda.
«E cosa vuoi fare adesso?» le chiedo cercando di mantenere la voce ferma, in realtà vorrei infilarmi le mani nei capelli e strapparmeli tutti. Nonostante io abbia subito violenze, non sono mai rimasta incinta, perché non era proprio quello che Sam voleva, mi utilizzava solo come un pupazzo a scopo di sfogo o di divertimento, e prendeva le dovute precauzioni per non sbarazzarsi di me troppo presto.
«Non ne ho idea, so solo che non voglio abortire, ma non voglio nemmeno questo bambino. È il simbolo di una violenza, è figlio di Gale, e la cosa mi disgusta. Non il bambino, il gesto che c'è dietro il suo concepimento. Pensa quando sarà grande, cosa gli dirò quando mi chiederà com'è nato? E quando chiederà chi è il padre? È un inferno che non voglio e non voglio fargli subire.»
Il suo fiume di parole mi lascia stordita per un po', e l'unica cosa che faccio è annuire, perché non so che consigli darle, lascio che sia lei a prendere la decisione.
«Quindi... non lo so» sospira, il suo volto improvvisamente stanco, come se ci si fosse depositato un dito di vecchiaia tutto insieme.
«C'è una soluzione» le dico, anche se non so quanto possa piacerle. «Puoi darlo in adozione.»
Annabelle si osserva per un po' la pancia, poi annuisce.
«Farò così, allora.»
Dopo quello che è successo con Annabelle torno in camera mia e mi metto di nuovo a studiare, ma con scarsi risultati, perché nella mia testa si alternano flashback macabri del mio passato alle parole di Annabelle, contornate dal litigio con Drew, quindi decido di uscire per distendere il cervello. È mezzogiorno quando chiamo Jace, dopo essermi assicurata che Annabelle non abbia bisogno di niente e che non voglia uscire con noi. Lui risponde al quarto squillo.
«Ciao Lizzie, tutto bene?» La sua voce dall'altro capo del telefono già mi fa sentire un po' meglio.
«Ehi Jace, sushi?»

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