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Svegliarsi, la mattina presto, era quasi traumatico. Si ritrovava con i capelli ridotti ad un nero groviglio tondeggiante e crespo, gli occhi ancora simili a due fessure arrossate che più cercava di aprire e più si sentiva scemo, davanti allo specchio, a spalancare e poi strizzare le palpebre come un pazzo in preda a visioni che apparivano solo a lui. E poi c'era il suo corpo, reattivo quanto lo potrebbe essere una sedia, che reagiva agli stimoli con una pesantezza quasi dolorosa. Ma quel mignolo che andava a sbattere contro l'angolo della porta, oh, a quello si che reagiva, con una soffocata imprecazione. E questa era la normale routine mattutina a cui doveva sottoporsi per poter uscire di casa, non prima di essersi ovviamente svegliato per bene con una doccia, aver messo la divisa della sua scuola ed aver salutato sua madre, la quale era sempre indaffarata in cucina a quell'ora, per preparare la tazza di caffè che era solito bere prima di prendere lo zaino e incamminarsi verso l'edificio scolastico.

Quella mattina, la strada era più fredda del solito. L'inverno sarebbe arrivato un po' prima, probabilmente. A Kaneki piaceva l'inverno, la neve, il tepore sempre maggiore che fuoriusciva dalla sua dimora non appena apriva il portone. Non era nemmeno a metà strada fra la sua casa e la scuola, che già fantasticava sul suo ritorno al primo edificio. La verità era che non c'era posto in cui Kaneki si sentisse a suo agio, esclusa la sua casa. Forse perché stare in mezzo a così tante persone come in una scuola non faceva per lui, che invece era stato fin da bambino un tipo più solitario e amante della tranquillità, o magari perché non sopportava la prepotenza e l'irrazionalità di certi suoi compagni di classe, che si ostinavano a prenderlo pesantemente in giro per la sua divisa impeccabile, per i capelli dal taglio a scodella, per l'aspetto di topo da biblioteca, a detta loro, per la sua passione sconfinata per la lettura. Il motivo per cui si accanivano costantemente su di lui, poi, proprio non lo trovava. Era forse debole all'apparenza e quindi perfetto come bersaglio per gli sfoghi altrui? Chi lo sapeva. Ma la cosa peggiore era sentirsi appioppare il nomignolo di cocco di papà e dover puntualmente ricordare a tutti loro - e a sè stesso - che no, non poteva essere un cocco di papà, perché lui il suo papà non l'aveva mai conosciuto.

La mamma gli parlava spesso di suo padre. Lo dipingeva sempre come un uomo dal carattere austero e impostato, ma estremamente sensibile e con la buffa attitudine ad essere costantemente con la testa fra le nuvole. Era colpa di tutti i libri che era solito leggere, gli raccontava, e a lui leggere piaceva davvero molto, così tanto da aver insistito per allestire una delle stanze della loro casa proprio come uno studio, riempiendo le pareti di librerie stracolme di volumi di ogni genere e dimensione, dei più disparati autori. In quel modo, non c'era stato bisogno di dipingere i muri della stanza: le copertine colorate dei libri, stipati su ogni superficie piana, erano sufficienti a dare un tocco di luce alle pareti. Ma ciò che rendeva viva l'intera stanza non erano affatto i libri, non era nemmeno l'ampia finestra posta strategicamente sopra la scrivania in legno lucido. Era quell'uomo.

La mamma gli parlava anche di come suo padre fosse bravo e paziente quando, alla sera, lui per dormire aveva necessariamente bisogno di farsi raccontare una storia. Riusciva perfettamente ad immaginare la scena, proprio come se potesse ricordarla fin nei minimi dettagli.

Un bambino di appena due o tre anni al massimo, dai capelli liscissimi e neri come il carbone, se ne stava accoccolato fra le coperte del suo lettino, tirate su fino al naso, che lasciavano scoperti il viso arrossato e gli occhi chiari, lucidi di lacrime. La luce della piccola lampadina posta accanto al lettino era accesa, perché altrimenti sarebbe scoppiato a piangere e la sua mamma lo sapeva perfettamente. Che cosa curiosa, il buio. Crea quiete e pace idilliaca, ma ciò che vi si cela all'interno resta sconosciuto fino al momento in cui appare nuovamente una luce. Crescendo avrebbe imparato che le cose al buio sono esattamente le stesse anche alla luce, che il buio le deforma momentaneamente, ma non ne potrà mai modificare l'essenza, la forma, i colori. Il bambino continuava a guardarsi intorno con sguardo preoccupato, osservando ogni singolo angolo ombroso della sua cameretta, dove la luce soffusa ed ovattata non poteva arrivare. Era in quei momenti che suo padre entrava nella stanza, proprio quando il piccolo cominciava a tremare, raggomitolandosi sotto la coltre morbida di lenzuola. L'uomo gli appariva senza un volto, la sua figura era interamente sfuocata come se facesse parte di un dipinto completamente sbagliato, eppure lui sentiva che quella persona apparteneva al quadro che aveva creato nella sua mente. La colpa di ciò era da attribuire all'età troppo giovane per poterne conservare ricordi e ai racconti di sua madre, che evocavano in lui questo tipo di fantasie piacevoli da trasformare in proprie memorie. Ma non riusciva comunque a dare un volto al suo papà, non riusciva a trovargliene uno adatto nemmeno quando si sedeva sulle ginocchia accanto al letto del bambino che era lui stesso, tirando fuori un libro colorato da sotto la giacca e cominciando a leggerglielo. Immaginava la sua voce. La immaginava profonda e gentile. Immaginava il suo sorriso, quello poteva vederlo. Solo il suo sorriso, preso dalla foto del matrimonio dei suoi genitori. La foto che soleva rigirarsi fra le mani e poi nascondere sotto il cuscino tutte le sere, prima di addormentarsi, nel tempo reale. Nella sua mente, a quel punto, si era già addormentato, cullato dalle parole morbide del suo genitore. Con questo ricordo acquisito chiudeva gli occhi ogni sera, carezzando con la punta delle dita un angolo di quella foto che ritraeva la sua famiglia, tenuta accuratamente sotto il cuscino. Chiudeva gli occhi e si addormentava, Ken Kaneki. Si addormentava e sognava di potersi svegliare come quando era piccolo, con sua madre ai fornelli e suo padre in abito formale, in piedi sulla soglia della sua stanza. Come quando quell'uomo era presente in quella casa, invece di essere solo un nome inciso sulla pietra fredda e lugubre di una lapide.

rain drops 一 hidekane Donde viven las historias. Descúbrelo ahora