Capitolo 25

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Capitolo 25

Baciare o mangiare (parte due)

Kendall

Era inverno, avevo quasi 15 anni. Ero rimasto a casa da solo, zia Camilla, era uscita per andare fare la spesa. Guardai di sfuggita l'orologio, erano le 5 e mezza e ancora non avevo fatto merenda.
"Mi raccomando, in forno c'e' la crostata di mele, mangiala. Non fare storie, torno tra poco" mi aveva detto quella.
Erano passate quasi due ore, ma ancora non avevo addentato nulla. Nel mio liceo quel giorno, avevano portato all'ospedale, una ragazza di nome Karen dell'ultimo anno. Era svenuta durante il cambio dell'ora, mezza scuola, l'aveva vista svenire.
"Ci credo che sviene, non mangia da tre giorni"
"Anoressica del cazzo. Tutto questo per farsela annusare da quel Daniel"
Giravano queste voci a scuola. Karen era anoressica. Si, ci ero arrivato. Ma io ci ero arrivato prima. Ci ero arrivato un martedi' di sei mesi prima durante la lezione di matematica. Mi sentivo poco bene, avevo chiesto di andare al bagno. Raggiunsi il bagno di corsa, schizzando per i corridoi. Quando, mi sentii mancare, mi sorressi ad un muro bianco. Mi girava la testa, fortuna, dietro di me, si trovava il bagno delle ragazze. Entrai senza alcuno scrupolo e mi fiondai in bagno,chiudendo la porta con un calcio forte. Mi appoggiai al water e vomitai di tutto. Dopo aver finito mi tirai su tirandomi i capelli all'indietro. Uscii dal bagno per bere, ma un pianto, mi fermo'. Di una ragazza, un pianto disperato. Mi avvicinai cautamente alla porta da dove sembrava provenire il pianto e bussai. La ragazza smise di colpo.
"Tutto bene?" domandai. Non ricevetti nessuna risposta. Bussai forte ripetendo la domanda.
"Serve una mano?" nulla, nessuna risposta. Decisi di mettermi l'anima in pace e di bere un poco. Subito dopo, mi appoggiai per un attimo soltanto al muro. Vomitavo da un po'. Non mangiavo quasi mai..e quello che la gente mi costringeva a mangiare, lo vomitavo. Era nato tutto da mia mamma, dalla sua morte. Dai suoi vizi della dieta e da mio padre che non c'era mai a casa. Da un sorella grande che era diventata modella troppo presto. All'improvviso, la porta si apri'. Mi nascosi un poco, poi la vidi.
Karen Pouiser. Era lei, quella dell'ultimo anno, quella che non faceva mai ginnastica e quella che tutti, quando entrava a scuola, guardavano. La guardavano perche' lei era troppo magra, anche per i miei gusti. Ma era bella, Karen era bellissima. Mi ricordava mia sorella, forse perche' come lei, aveva gli occhi chiari e i capelli scuri. Il seno piccolo ma pronunciato. Le gambe fine, troppo fine, ma dritte.
Quando si accorse di me, divento' bianca in viso.
"Ciao" sussurrai io.
"Che ci fai qui?" domando scortese.
"Mi sentivo poco bene."
"Ma questo e' il bagno delle donne coglione." aveva ragione. Strinsi le mani e guardai a terra.
"Lo so, ma mi sentivo poco bene" sussurrai' imbarazzato. Mi guardo' un attimo e poi, come avevo fatto io in precedenza, si ripuli' la bocca.
"Anche tu stai male?" domandai io.
"Forse" mi diede lei come risposta. Mi arresi. Ci furono secondi di imbarazzo e di silenzio, ma poi mi stupi'. Si sedette a terra e poi dal basso verso l'alto, mi guardo'.
"Perche' hai vomitato?" mi chiese.
"Non lo so, questo periodo non riesco a mandare giu' nulla, che poi lo vomito." sorrise. Un sorriso che mi fece paura. Consapevole, serio, anche se poteva essere l'inverosimile.
"Certo" azzardo'. "Da quanto?"
"Cosa?"
"Da quanto lo sei?"
"Sono cosa?" domandai io. Stavo gia' dando troppo spago a quella conversazione.
"Anoressico." pronucio' queste parole con le labbra incurvate in un sorriso. "Da quanto sei anoressico?"
Mi spiazzo'. Non risposi alla domanda, e fu lei a parlare. Mi fece mettere seduto accanto a lei e mi racconto' la sua storia. Mi disse che lei era anoressica da quasi 3 anni. Aveva iniziato tutto per colpa di un ragazzo, che le disse che non si sarebbe mai messo con lei per via delle sue gambe troppe grandi e del suo seno piccolo. Lei era ricca, i genitori non c'erano mai in casa e non si preoccupavano minimamente della sua alimentazione. Mi disse anche che ero in tempo per non cadere in quel brutto tunnel e che non dovevo assolutamente diventare anoressico. Mi spiego' la differenza tra bulimia e anoressia nervosa. Mi disse che in realta', lei non era anoressica e basta. Soffriva di anoressia nervosa, ossia il rifiuto del cibo da parte della persona e la paura ossessiva di ingrassare, che era ben diverso dall'anoressia normale.
"Sei troppo bello per rovinarti" mi disse sincera. Da li in poi', ci vedevamo ogni giorno. Passavamo la ricreazione insieme e anche la pausa pranzo, anche se nessuno dei due mangiava. Mi accompagnava ogni giorno a casa con il motorino. A scuola, si pensava che lei si fosse fidanzata con me e che se le faceva con i piu' piccoli dato che i piu' grandi non se la filavano. Si pensava che era una troia, una stronza e una viziata anoressica. Le raccontai la mia storia, le dissi di mia mamma, di mia sorella e della morte di mia padre. Passavamo tutto il tempo possibile insieme. Poi, quel giorno, durante il cambio dell'ora, lei sveni'. E io non ero con lei. Ero in aula con il mio professore di matematica. Di solito, piu' o meno tre volte al giorno, avevamo giramenti di testa e ci supportavamo a vicenda, quella volta pero', non c'ero io a prenderla di peso e portarla al bagno per farla riprendere. Era da sola, davanti a tutti. Svenne esattamente due aule prima della mia, girava voce che stava venendo a prendermi per dirmi che sarebbe andata a casa, causa vomito. Si sentirono le urla e il mio professore, usci' dall'aula. Lo seguii e appena la vidi a terra, corsi verso di lei. Le accarezzai il viso sul punto di piangere. Non poteva andare via anche lei no?
Poi accadde tutto troppo velocemente per ricordare e per imprimere in testa. Lei in ospedale, io a casa con quella cazzo di torta in forno. E no, non volevo mangiare, non volevo, non ce la facevo. Il cibo era quella cosa che stava uccidendo Karen, quel nemico che stava vincendo. Non avrei toccato cibo, per nulla al mondo. Quel cazzo di cibo, aveva portato via mia sorella, aveva fatto impazzire mia madre. Per quale motivo io, Kendall, dovevo avere a che fare con la causa maggiore dei miei mali?
Cosi', mi misi seduto, a guardare il vuoto. Mi morsi ripetutamente il labbro. Perche' tutto a me? Karen, non aveva fatto nulla di male. Proprio nulla. Era stata tutta colpa di quello stronzo che le disse quelle cazzate.
Lei era cosi'. Aveva scelto la sua vita no? Ma dico, possibile che i suoi, non si erano accorti di nulla? Tua figlia pesa 40 kili e tu non te ne accorgi? Li avrei uccisi. Torturati, fatti morire con agonia. Loro, non sapevano cosa lo loro piccola aveva passato per il giudizio altrui. Perche' la colpa e' sempre degli altri no? Loro che non capisco, loro che giudicano, loro che ti insultano. Che ti spingono in un vortice di sofferenze, pregiudizi e agonie infinite. Di sensazioni brutte, pesanti. Che fanno cadere a terra, sanguinante. Decisi di alzarmi e di aprire il forno, almeno per prenderne una fetta da buttare nel cesso e far credere a mia zia, di aver mangiato, ma non feci in tempo, perche' appena tagliai la fetta, la porta di casa di apri', mostrando mia zia zuppa e senza nemmeno una busta della spesa, non che a me interessasse certo.
"Kendall, non puoi capire. C'e' una tormenta la' fuori, mi si e' anche fermata la macchina. Domani sara' un macello andare a scuola." disse con la sua voce stridula. Si levo' gli stivali e mi raggiunse in cucina, prendendo del caffe', presente nella macchinetta italiana dalla mattina. Mi rimisi seduto al tavolo, sperando che mi zia non facesse domande.
"Allora, cosa vuoi per cena?" chiese. Mia zia, poteva essere stronza, antipatica, all'antica. Non sapeva cucinare, ma una cosa che potevo invidiarle, era che non si arrendeva mai. Insomma, io le rispondevo a malapena..e anche male. Eppure, lei chiedeva sempre, cercava sempre di aprire un dialogo. Alle volte, io mi ritrovavo seduto sul divano con mia zia in cucina che mi raccontava la sua giornata, anche se sapeva che a me non me ne fregava proprio un cazzo.
"Quello che vuoi. Non ho preferenze."
"Pasta al sugo?" annuii, consapevole del fatto che la pasta sarebbe stata troppo salata e piena di bucce di pomodoro.
"Allora, la crostata?" domando'. Trasalii.
"Non lo so."
"Che vuol dire che non lo sai?"
"Non lo so" ripetei io. Lei sbuffo', guardandomi.
"Non l'hai mangiata quindi?" io le feci cenno di no.
"Kendall, perche' non mangi? Tesoro tua madre.."
"Non osare nominare mia madre." urlai io. Poso' la tazzina di fretta per guardarmi.
"Kendall  e' morta, ma con questo non vuol dire che.."
"Basta! Falla finita! Vuoi cucinare? E fallo. Fai le peggio crostate, la pasta salata, ma non rompermi il cazzo se non mangio va bene? Non sono un bambino, non sono anoressico. Non scassarmi i coglioni!" imprecai io. Ricevetti un ceffone forte sulla guancia destra.
"Adesso sei contenta?" domandai io. Lei scosse la testa e fece per avvicinarmi quasi piangendo. Mi scansai.
"Kendall, per favore!"
"Non toccarmi. Non ci provare nemmeno. Vado a letto."
"Non mangi?" Urlo' quando salii le scale.
"Non rompere il cazzo."
Il mattino dopo, mi alzai prestissimo. Uscii di casa dopo essermi lavato e vestito. Alle sette presi l'autobus per andare a scuola e in venti minuti, mi ritrovai seduto sulla panchina presente in cortile. Faceva freddissimo. Non avevo portato i guanti con me, misi le mani nella tasca del giubotto e mi feci forza. Verso le otto, comincio' ad arrivare gente. La prima che vidi, fu Rosella Kars, primo anno. Secchiona della mia classe, probabilmente cotta di me. Mi saluto' con un cenno e un sorriso. Poi non feci piu' caso agli altri, ci fu un susseguirsi di gente che arrivava e si metteva seduta a terra fumando canne o sigarette. Verso le otto e venti, poco prima del suono della campanella, una macchina grigia costosa si fermo' davanti al marciapiede. Scese un uomo sulla cinquantina, capelli grigi e vestito elegante. Lo seguii una donna piu' giovane, capelli neri lisci e vestito rosso. Tutta la gente presente si fermo' ad osservarli. Camminarono veloci, verso l'entrata della scuola. Poi, prima di entrare una ragazza si avvicino' a loro. Cominciarono a parlare, in modo freddo. La donna si guardava intorno quasi completamente disgustata. Suono' la campanella e la gente comincio' ad entrare, compresi i due signori. Mi avvicinai all'entrata anche io, appena davanti al cancello, una ragazza mi prese per il braccio.
"Kendall ?" domando'. Io non risposi. Scosse la testa contrariata.
"Mi chiamo Hannah." disse poi.
"E quindi?" chiesi.
"Conoscevi Karen giusto?" Mi si gelo' il sangue.
"Forse" sussurrai io.
"Ieri, quando si e' sentita male, ero con lei. Cercava te." disse, confermando le voci che lei mi stesse davvero cercando.
"Sai chi erano quelle persone?"
"No, e nemmeno mi interessa. In prima ora ho il compito di matematica, scusami." mentii io.
"Non mi interessa del tuo fottuto compito. Ascoltami." disse severa.
"Loro, erano i genitori di Karen. Karen e' la mia vicina di casa."
"Mi fa piacere, ora vado."
"Kendall  aspetta. Gli ho chiesto delle condizioni di Karen e scommetto che queste siano piu' importanti di un falso compito di matematica. Non credi?" Mi voltai verso di lei del tutto.
"In che ospedale sta?"
"Prince Anne Hospital". Anne. Mi allontanai un poco da lei, che mollo' la presa al mio braccio.
" Che ti hanno detto?"
"E' questo il punto. Non mi hanno detto un cazzo. Sono venuti qui solo per vedere quanti giorni di assenza poteva permettersi, visto che sta quasi agli esami."
Stronzi. Grandissimi pezzi di merda.
"E che vuoi da me ora?" Lei guardo' a terra.
"Io, Kendall, io volevo chiederti una cosa." azzardo'. Scortese, la mossi un poco per farla continuare.
"Volevo chiederti se ti andava di accompagnarmi da lei questo pomeriggio." disse veloce. La osservai attento. Per vedere se era sincera.
"Vai a trovarla?" lei annui'. Guardai in cielo sospirando.
"Aaah, mi sembra giusto. Adesso, vuoi stare con lei."
"Kendall , tu non sai un cazzo."
"Io so come stava Karen. E non stava bene. Non aveva nessuno se non me. Tu da dove spunti fuori?"
"Mi dispiace io.."
"Tu un cazzo. Lei sta morendo dentro da quasi 5 anni ma nessuno l'ha mai aiutata, nessuno le ha mai preso la mano per tirarla fuori da quel.."
"Ci ho provato cazzo. Credimi che ci ho provato" interruppe lei.
"Quando ho scoperto che soffriva di anoressia nervosa, ho provato a starle accanto, ho provato a prendimi cura di lei. Lei non ne era capace. Ma.."
"Lei non voleva nessuno che la curasse, nessuno che si prendesse cura di lei. Non e' stupida. Lei voleva solo un'amica. Una persona con la quale parlare, sfogarsi. Ridere, vivere, perche' lei, non sta vivendo bene."
"Non l'ho capita."
"Brava, hai detto bene. Non l'hai capita. Non l'hai studiata." dissi severo. Solo in quel momento, mi resi conto di urlare..e fu una brutta sensazione. Urlavo solo con mia zia, oppure quando ero da solo a casa.
"Mi dispiace." disse per la seconda volta.
"Io non ci vengo con te da Karen."
"Va bene, scusa il disturbo" disse veloce giocherellando con i lacci del cappuccio del suo giubotto. Poi mi lascio' li, da solo. Non entrai a scuola quel giorno. Tornai a casa, tanto mia zia era a lavoro. Alle quattro uscii di casa di nuovo, per andare da Karen. Il tragitto fu breve e anche la nostra chiaccherata, visto che lei dormiva. Parlai solo io, e prima di uscire le lasciai un bacio sulla fronte. Quando uscii, trovai Hannah seduta sulla sedia poco distante dalla camera di Karen, la 135. Non la salutai. E non ricambiai nemmeno quel flebile cenno che mi fece con la testa. Quella sera, per la prima volta, non scesi per cena. E non mangiai fino alle tre del giorno dopo. Fu li, che comincio' il mio nuovo inferno.

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