Capitolo nove

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Quella domenica mia madre mi svegliò fin troppo presto per i miei gusti perché saremmo dovuti andare in chiesa per la messa. Ci ero sempre andata, ogni domenica della mia vita senza mai variare quella routine. Ad occhi semi chiusi mi trascinai giù dalle scale e feci colazione. Poi mi lavai e mi vestii.
Presi per mano Mike, il mio fratellino, e salii con i miei in macchina. Lui nel tragitto si addormentò e quando arrivammo lo portai dentro imbraccio perché quella peste si rifiutò di camminare.
Ci sedemmo su una panca più o meno centrale, né troppo avanti, né troppo indietro.
Mancavano ancora dieci minuti all'inizio della celebrazione quando vidi Jacob con la sua famiglia entrare.
«È occupato qui?» chiese sua madre alla mia.
«No, si sieda pure.» rispose lei.
«Prima voi ragazzi.» soggiunse il padre. Il ragazzo e sua sorella, almeno credo, si sedettero affianco a me e poi si aggiunsero i loro genitori.
«Ehm, mamma io e Muriel potremmo andare da soli su un'altra panca?» chiese poco prima dell'inizio.
«Certo, se sua madre acconsente. Ma vi conoscete?» lui annuì e mi portò sulla panca più infondo e nascosta di tutte.
«Perché sei voluto venire qui?»
«Per poter parlare indisturbatamente.» era una conversazione di sussurri.
«È la prima volta che ti vedo così elegante. Qualcosa sta cambiando?» indossava dei jeans e una camicia azzurra a maniche corte; ai piedi delle semplici Vans bianche e al polso un'orologio Casio dorato.
«Guarda che tutte le domeniche vengo in chiesa vestito così.»
«Vuoi dire che hai addosso quei vestiti da settimane? Che schifo!» lo presi in giro.
Come risposta mi fece una linguaccia chiudendo gli occhi. Era tenerissimo: sembrava mio fratello quando voleva fare una faccia minacciosa misto ad un elfo dalle guance rosee.
Facendo gli idioti non ci eravamo accorti che tutte le persone presenti si erano sedute e solo noi due eravamo allegramente alzati, così mi sedetti tirando Jacob per il braccio.
Passammo tutto il tempo a parlare e fare figuracce finché non dovemmo uscire.
«Muriel aspetta!» lo sentii chiamarmi mentre salivo in macchina.
«Dimmi.»
«Ti va se diventiamo amici?»
La prima cosa che mi venne in mente fu sorridere e così feci. Annuii.
«Ok. Allora... beh... ci vediamo.» balbettò con fare incerto. Lo salutai con la mano e me ne tornai a casa.

"Hey Mumi ti va di fare un giro?"
Questo messaggio mi arrivò da Jam mentre poltrivo beatamente.
Gli risposi di sì e andai ad avvisare mia madre.
«Mamma un mio compagno di danza mi ha chiesto di uscire, posso?»
«Chi è?» no l'interrogatorio no, mamma ti prego.
«James.»
«Da quanto lo conosco?»
« Più o meno da quando fa danza con me cioè sempre?»
«Metti la giacca, porta il telefono e le chiavi che se resti chiusa fuori te lo scordi che ti apro. Ah e alle cinque sei a casa.»
«Sissignora.»
Misi il cappotto, un bel parka con il pelo nel cappuccio, e presi chiavi e cellulare.
Il campanello suonò e io aprii.
«Ciao Jam. Andiamo?»
Lui annuì.
«Dove siamo diretti?»
«Hanno aperto un nuovo bar verso il parco, fanno la cioccolata personalizzata.» non avevo capito un granché per "cioccolata personalizzata", ma finalmente compresi quando arrivai a destinazione. Era un bel locale, un grosso camino sul lato con un caldo e accogliente fuoco scoppiettante.
Su ogni tavolo c'era un iPad con il quale bisognava "comporre" la propria cioccolata. Ce n'erano di tutti i tipi, dalle più pazze alle più sobrie. Leggermente titubante creai la mia bevanda. Il liquido avevo deciso di tingerlo di azzurro pallido, la panna era arcobalenata con degli zuccherini a forma di unicorno. Stile bambina di sei anni.
Anche James creò la sua, ma la rese più normale.
Quando finalmente arrivarono ero entusiasta.
Assaggiai subito la mia e, presa dalla frenesia, oltre a sporcarmi il naso di panna e unicorni, mi scottai le labbra.
«Cazzo che dolore.»
Il biondo rise, prese un tovagliolo e mi pulì il naso.
«Come sei fine.» Arrossii violentemente alla sua considerazione e guardai la mia tazza.
«Hey scherzavo.» disse.
«Tranquillo non mi sono offesa.»
Continuammo a chiacchierare finché non mi accorsi che un ragazzo ci stava guardando. Era col suo gruppo.
Risistemai la lente a contatto che si era spostata finendo in un posto assurdo dell'occhio e lo vidi bene.
«Usciamo James.» presi il ragazzo per il braccio e corsi fuori.

#spaziospazioso
Sciao jente di mondo scusate l'assenza ma l'ispirazione divina se n'era andata in pensione periodica(?). Spero che il capitolo vi piaccia comunque.
Baci vic🐞

Can a bully love? •Jacob Sartorius•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora