Possessività

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Incipit 3, descrizione (sottolineata nel testo)

Francesca era accucciata contro la parete dello sgabuzzino. Tutto intorno a lei era buio, come a sottolineare la drammaticità della situazione. Aveva paura, i suoi occhi scandagliavano lo spazio alla ricerca di una via di fuga, per scappare da quell'inferno che stava vivendo. Per quanto cercasse con lo sguardo, Francesca non riusciva a trovare ciò di cui aveva bisogno. Disperata, si portò una mano tra i capelli, che le ricaddero sul viso in tante ciocche castane ricce. Non sapeva cosa fare, non era più capace di ragionare lucidamente. La sua mente le stava facendo rivivere l'inizio di quell'incubo, quando lei non avrebbe potuto neanche immaginare quello che sarebbe successo.
Era cominciato tutto una settimana prima. Francesca, per dimenticare la brutta giornata appena trascorsa, era andata nel locale sotto casa sua con alcune colleghe. Entrata nel pub, si era diretta verso il bancone e si era seduta su uno sgabello vicino alle sue amiche, chiamando il barista per ordinare alcuni drink. Dopo poco, il barman le aveva servite. Francesca aveva iniziato a bere la sua birra, quando il cameriere le aveva lasciato un altro cocktail di fronte. Francesca lo aveva guardato un po' sorpresa prima di parlargli: «Si deve essere sbagliato, non ho ordinato altro.»
«Lo so. Questo te l'ha offerto quel ragazzo laggiù» le aveva detto indicando un uomo seduto a qualche sgabello di distanza da lei. Il ragazzo in questione le stava facendo un sorriso splendente e, appena aveva visto Francesca ricambiare con una risata quel gesto, l'aveva raggiunta. In seguito avevano chiacchierato per il resto della serata.
Da quel giorno, Francesca aveva iniziato a frequentare il locale tutte le sere ed ogni volta era stata con quel ragazzo, Claudio, che le aveva offerto quella bevanda. Piano piano, Francesca aveva instaurato un rapporto stretto con lui. Quando Claudio l'aveva invitata a casa sua, Francesca non aveva esitato ad accettare. Una volta arrivati nell'appartamento, avevano conversato per un po', poi Claudio all'improvviso l'aveva baciata. Francesca all'inizio ne era rimasta sorpresa, dopo aveva ricambiato con trasporto. Il contatto era diventato sempre più passionale ed alla fine Francesca e Claudio avevano passato la notte insieme. La mattina seguente, Francesca si era svegliata e, voltandosi verso Claudio, aveva aperto gli occhi. Il ragazzo la stava fissando, ma il suo sguardo azzurro era freddo come il ghiaccio, pungente e quasi cattivo. Un brivido gelido aveva percorso il suo corpo e il sorriso si era spento. Allora aveva chiesto a Claudio: «Va tutto bene? Perché mi stavi fissando?»
«Niente, stavo pensando a questa nottata.»
«E su cosa stavi riflettendo di preciso?» gli aveva domandato ridendo.
«Tu mi appartieni.» A quel punto il ragazzo si era alzato, per poi cambiare argomento. «Cosa vuoi per colazione?»
«Aspetta. Che hai detto prima?» Francesca lo aveva interrotto.
«Tu mi appartieni. Sei mia.» Claudio aveva pronunciato quella frase con un tono di voce lapidario, come se stesse affermando una formula scientifica.
«Non ho mai capito quelle persone che sostengono di possedere o di appartenere ad un altro.» Francesca si era fermata un attimo ed aveva guardato Claudio negli occhi. Era stata sul punto di ricominciare il discorso, quando Claudio le aveva parlato. «Io invece sì. Mi sembra un modo di dimostrare amore al proprio compagno. Una maniera per esprimere la profondità dei sentimenti.»
«Solo che mi domando, con che coraggio ci si può arrogare il diritto di dire a qualcuno "Tu sei mio e io sono tuo"? Con che diritto si può dire "Di te sono geloso perché il solo pensiero di perderti mi lacera l'anima"? Se non apparteniamo nemmeno a noi stessi, come si può essere gelosi di qualcuno al di fuori di noi?»
«Credo che sia una cosa normale quando due persone si amano. Le capisco. Ogni volta che ti guardo e vedo che tu non stai facendo lo stesso con me, mi sento tradito. Sono geloso.»
«Ma se ci conosciamo da una settimana! Sappiamo ancora poche cose dell'altro.»
«Lo so. Eppure una morsa di rabbia mi attanaglia le viscere quando i tuoi occhi, i tuoi bellissimi occhi castani, sono posati su altre persone, non su di me. Ho bisogno che tu mi guardi.»
«Ehm, okay. Cercherò di osservarti di più, allora.» Francesca si stava alzando dal letto, quando una frase di Claudio l'aveva fatta fermare sul posto, immobilizzata dalla paura. «Non ce ne sarà bisogno. Conosco il modo per renderti mia per sempre.» Claudio si era avvicinato a lei e l'aveva presa per i polsi. Francesca aveva reagito, cercando di divincolarsi dalla presa ferrea delle mani del ragazzo, che però era più forte di lei e in poco tempo era riuscito a bloccarle le braccia. Allora Claudio le aveva portato gli arti superiori dietro al busto, poi aveva preso una corda dal cassetto del comodino. Francesca aveva respirato affannosamente ed il cuore le aveva preso a battere ancora più velocemente quando aveva notato delle macchie di sangue sulla fune. Allora aveva chiuso gli occhi, provando a calmarsi, invano. Dopo poco, aveva percepito qualcosa di ruvido sfregarle violentemente i polsi ed aveva capito immediatamente di essere stata legata. Quindi si era costretta a vedere ciò che la circondava, trovandosi invece davanti un volto che le aveva coperto tutta la visuale. La pelle era nera e rugosa, gli occhi due cavità profonde, fessure fredde ed inespressive. Un sorriso spietato e crudele gli attraversava tutta la faccia. Francesca aveva faticato a riconoscere Claudio, che si era trasformato in un mostro, mantenendo inalterata solo la voce, roca e profonda. «Ora torno, tesoro. Non ti preoccupare, devo solo preparare l'occorrente. Non ti muovere.» Francesca lo aveva guardato sotto shock allontanarsi ed uscire dalla stanza. Aveva lasciato la porta aperta e così la ragazza era riuscita a sentire i suoi passi mentre scendeva le scale. Aveva ascoltato lo scricchiolio del legno, poi il rumore sinistro di una porta che, cigolando, si era aperta e dopo richiusa, sostituito infine dallo scontro del metallo sul metallo. Francesca allora si era ripresa ed aveva iniziato a muoversi, tentando di allentare quella fune che la stringeva. Aveva continuato per un bel po', nonostante i polsi fossero feriti. Finalmente aveva percepito la corda strapparsi e si era liberata del tutto. Si era alzata subito in piedi ed era uscita dalla stanza. Scalza, aveva camminato sulle punte, per evitare di fare rumore. Era scesa al piano terra in cerca di una via di fuga. Con l'ansia mescolata ai globuli rossi del suo sangue, aveva usato tutta la forza che aveva per provare ad aprire le finestre, che però erano state sigillate. Stava tentando di aprire la porta d'ingresso quando le era parso che lo stridio dell'urto tra metalli fosse cessato. Quindi si era precipitata verso la porta più vicina, rivelatasi quella dello sgabuzzino. Vi era entrata dentro in pochissimi secondi e si era subito richiusa dietro la porta. Completamente nel panico, si era appoggiata contro la parete, dove era rimasta.
Francesca terminò di ripercorrere tutti gli avvenimenti che l'avevano portata a quella situazione. Si rassegnò non avendo trovato nessuna via d'uscita. Il rumore del metallo su metallo era ripreso. Era lo stridore di una lama che scivolava su un'altra, per affilarsi. Riusciva quasi ad immaginarsele nel suo corpo, nell'atto di lacerarle la carne. Al solo pensiero di quella nefasta visione, Francesca prese a respirare affannosamente. Dopo l'interruzione che l'aveva spaventata tanto, quel suono fastidioso e macabro continuò a lungo, alimentando ulteriormente i pensieri di morte. Le parve che fosse passata un'eternità quando, finalmente, i cupi colpi terminarono. Il silenzio la colse così all'improvviso che sobbalzò. L'aria, che fino al momento prima era stata riempita da quell'inquietante melodia, non era attraversata da nessun suono, fino a quando Francesca sentì la stessa porta di prima cigolare, accompagnata dallo scalpiccio di passi. Questi erano prima più lontani, poi Francesca li percepì sempre più vicini, fino a quando non passarono davanti alla porta del ripostiglio in cui era nascosta, e lì si fermarono. Francesca trattenne bruscamente il fiato, ripetendosi che non poteva averla trovata. Il cuore le batteva tanto velocemente nel petto da farle quasi male, colpi assordanti contro le sue costole. Francesca temeva che anche Claudio potesse sentire quei battiti. Passarono alcuni attimi terribili, in cui l'unico rumore che le giungeva alle orecchie era quello del suo organo vitale. Con le lacrime agli occhi, Francesca pregò di sopravvivere a quell'incubo. La ragazza stava per rassegnarsi al fatto che sarebbe stata catturata, quando Claudio si allontanò, tornando alle scale che portavano al piano superiore. Le sue scarpe producevano tanti scricchiolii al contatto con il legno dei gradini. Francesca si concesse un attimo per tirare un profondo, ma silenzioso, respiro di sollievo. Il suo cuore riprese a battere più lentamente, quasi a una velocità normale. Subito dopo Francesca raggelò, sentendo l'urlo terrificante di Claudio. «Dove ti sei cacciata? Ti avevo detto di restare qui! Ora ti trovo.» A quelle parole, Francesca andò definitivamente nel panico. In quel momento si rese effettivamente conto che la sua vita sarebbe potuta finire di lì a poco. Francesca rimase ferma, con la schiena appoggiata al muro e il respiro nuovamente concitato, ma i suoi occhi ripresero frenetici a cercare in tutti gli angoli, negli anfratti più bui di quella stanza, una finestra, un condotto dell'aria, qualsiasi cosa che l'avrebbe potuta far andare via da quel luogo, dal Mostro. Nel frattempo, la sua mente rielaborava anche i suoni che provenivano dall'esterno di quello sgabuzzino. Sentì una porta che sbatteva rumorosamente contro una parete mentre veniva spalancata e Francesca tremò per la paura. Per alcuni minuti, che a Francesca sembrarono troppo brevi, ascoltò solamente i passi pesanti di Claudio al piano di sopra, mentre entrava rumorosamente in tutte le camere. Sobbalzò al cigolio del legno, un suono familiare per lei quel giorno. La sua vita era scandita da quegli scricchiolii, da quei passi. Ogni volta che ne sentiva un altro, Francesca sapeva che aveva sempre meno tempo a disposizione. Uno scricchio. Due. Tre. Si mise a contarli, quelle lancette di un orologio che scorreva inesorabile, senza alcuna pietà per lei. Quando ascoltò il settimo, i suoi occhi, che avevano continuato a vagare per lo spazio di quello stanzino, si posarono su una finestra. Francesca, incredula, si alzò in piedi, silenziosa, raggiungendola. Era in alto nel muro, ma fortunatamente c'era uno scaffale vuoto che avrebbe potuto usare per arrampicarsi. Posò prima un piede poi anche l'altro sul ripiano più in basso, iniziando così la sua scalinata per la salvezza. Rischiò di scivolare più volte a causa dei suoi piedi nudi, poi prese il giusto ritmo ed i gesti divennero automatici. Arrivò velocemente in cima, spinta dalla speranza e dal desiderio di libertà, e lì si sedette sul ripiano. Da quella posizione, usò tutte le sue forze per cercare di aprire la finestra, che, inaspettatamente, si spalancò sull'aria fresca. Impaziente, Francesca scavalcò con una gamba la finestra, aggrappandosi al davanzale per non cadere. Percepiva i passi di Claudio avvicinarsi, scandendo quegli attimi che forse sarebbero stati gli ultimi della sua vita. Dopo la gamba, fece passare il busto e la testa dall'altra parte. La finestra non era troppo in alto rispetto terra: con un salto ci sarebbe arrivata facilmente. Incoraggiata da quella scoperta, staccò la gamba sinistra, che aveva tenuto sullo scaffale, per portarla all'esterno della finestra. Presa dal movimento, Francesca non si accorse che l'orologio della sua vita si era bloccato, i passi di Claudio fermi davanti al ripostiglio. Francesca era troppo contenta per sentire che la porta si era aperta, che le lancette avevano scandito gli ultimi istanti della sua vita. E così la ragazza si sentì afferrare la gamba, ancora sollevata. Una mano ruvida la trascinò via. Cercò di aggrapparsi al davanzale della finestra, ma il mostro era sempre troppo forte. Cadde violentemente a terra, ma, nonostante il dolore, fece di tutto per provare a liberarsi da quella presa ferrea. Rinunciò quasi subito, lasciandosi trasportare. Le doleva la testa e svenne. Rinvenne poco dopo e, quando aprì gli occhi, si ritrovò davanti il volto mostruoso, su cui risaltava un sorriso folle, da psicopatico. Francesca capì che il ragazzo le aveva bloccato le braccia allo schienale di una sedia con un'altra corda. Un brivido le percorse il corpo quando Claudio le parlò: «Ti ho trovato e non ti lascerò mai più.» Francesca non riusciva a dire niente, paralizzata dall'orrore. Voleva urlare, ma non un suono usciva dalla sua gola. Non era un incubo, ma la realtà. Le lacrime le bagnavano le guance, il cuore le martellava un'altra volta. Restò semplicemente ferma a fissare il mostro mentre pronunciava: «Ora sei mia e guarderai per sempre solo me.» Appena Claudio ebbe finito di rivolgerle quelle parole, Francesca percepì le sue mani nere e ruvide accarezzargli le guance. «Shh, tranquilla. Non piangere. È la cosa giusta.» Mentre Claudio le parlava, dei coltelli la toccavano. Subito dopo Francesca provò un dolore lancinante a partire dal petto, poi in tutto il resto del suo corpo. Il sapore metallico del sangue le riempì la bocca ma i suoi occhi continuarono ad osservare Claudio fino a quando la vita l'abbandonò. L'ultima cosa che Francesca vide fu il viso del mostro, le fessure fredde come il buio che l'avvolse subito dopo.

Claudio posò soddisfatto il suo nuovo barattolo di vetro su una mensola dello scaffale giù in cantina. Due bellissimi occhi castani lo stavano guardando, recenti acquisti alla sua personale collezione. Francesca sarebbe stata sua per sempre, così come tutte le altre ragazze che avevano contribuito ad ampliare la sua raccolta.

*****

Il giorno dopo Claudio era andato in un locale alla moda nel centro della sua città. Stava seduto al bancone, bevendo una bottiglia di birra, quando una ragazza attirò la sua attenzione. Era bella, la pelle candida e lunghi capelli lisci neri, un paio di occhi blu come la notte e gli abissi dell'oceano. In quel momento, la ragazza si avvicinò al banco ed ordinò un drink. Claudio aspettò che il cameriere le lasciasse davanti il suo ordine e poi chiamò il barista a sua volta, chiedendogli di portare un altro cocktail alla ragazza e poi dirle che le era stato offerto da lui. Il barman fece ciò che Claudio gli aveva chiesto e dopo poco, la ragazza sorrise a Claudio. Come d'altronde anche le altre avevano fatto prima di lei. Claudio allora si avvicinò alla ragazza e, mentre chiacchieravano cordialmente, non poté fare a meno di esultare. Quella particolare tonalità di blu degli occhi della ragazza era rarissima, molto difficile da trovare. Claudio era impaziente di aggiungere quel pezzo mancante alla sua collezione.

Angolo dell'Autrice:

Dovrebbe essere una storia horror, o almeno spero.
Non avevo mai scritto niente di questo genere e ho cercato di fare del mio meglio.
Mi auguro di essere riuscita nel mio intento.

Pensieri di Una Notte Stellata (TWWG16)Where stories live. Discover now