Il Giorno della Verità

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Incipit 1: citazione
"I giorni più importanti della vita sono quello in cui sei nato e quello in cui capisci perché" (Mark Twain)

Giovanni era consapevole di essere fortunato. C'erano persone che impiegavano tutta la vita per capire la ragione per cui erano nati, mentre lui l'aveva già compresa. Aveva faticato molto per scoprirla. Ripensò agli anni passati a provare strade differenti, tanti lavori diversi, subendo molti duri colpi ed avendo brutti momenti.
Aveva quasi vent'anni quando iniziò la sua ricerca. Un giorno si era alzato con questo pensiero in testa. Quando gli chiedevano da dove gli fosse venuto questo desiderio, Giovanni rispondeva senza esitazioni. - Un sogno. Strano, per di più. Una donna, di cui non ricordo né il volto né la voce, mi esortava dolcemente a cercare la mia strada.-
Giovanni nel racconto del suo sogno ometteva sempre un dettaglio, che custodiva per sé, un segreto capace di renderlo felice qualora fosse giù di morale. Aveva paura di essere considerato pazzo se lo avesse raccontato. Mentiva quando affermava di aver dimenticato le fattezze e la voce della misteriosa fanciulla del suo sogno. Gli era sempre rimasta impressa nella sua mente l'immagine di quella ragazza eterea, dalla pelle candida come la luce bianca della luna nelle notti limpide. Ricordava gli occhi color acquamarina ed i lunghi lisci capelli argentei, le altre parole che quella creatura gli aveva sussurrato, come se fossero un segreto che non poteva essere ascoltato da nessun altro. Sentiva ancora la voce cordiale e musicale di quella donna, i termini che aveva usato. - Hai un dono speciale. Alla tua nascita, sei stato scelto tra altri milioni della tua specie. Un regalo che raramente il nostro popolo, le fate, concede ad un umano qualsiasi. Sei stato eletto per avere la possibilità di percepire le emozioni ed i pensieri negativi che affliggono le persone intorno a te, per avere il potere di aiutarli, di alleviare le loro preoccupazioni. Usalo, puoi rendere chi sta vicino a te più felice. Puoi fare del bene, ricordalo.-
Gli occhi color acquamarina lo fissavano intensamente, un sorriso dolce illuminava il viso della fata. Era in piedi davanti a lui, alta e snella. Poi, pian piano, l'immagine di quell'essere magico era svanita. A quel punto, Giovanni si era svegliato, con il nuovo bisogno di capire perché era nato.
Ci aveva impiegato molto tempo per comprendere le parole della fanciulla. Riteneva che fosse stata solo la sua immaginazione che aveva preso il sopravvento durante il sonno. In seguito, un giorno, finalmente tutto gli fu chiaro.
Stava camminando per la sua città. Era la mattina di una giornata di maggio, il Sole riscaldava tutto con i suoi raggi. Si intravedevano i primi segni dell'estate. Giovanni si era diretto in centro per portare il suo curriculum in giro: gli serviva un nuovo lavoro, essendo stato licenziato ingiustamente. Entrò in diversi negozi, ma non aveva ancora trovato un posto libero per lavorare. Iniziava a dubitare di riuscire ad imbattersi in ciò che cercava.
Stava percorrendo una strada quando vide un negozio di dolci. Da fuori era piccolo, di legno, che spingeva ad entrare. Aveva anche una porticina da cui si poteva vedere l'interno. Esposte c'erano una quantità di leccornie impressionante, adatte a tutti i gusti: cioccolatini e caramelle, golosi biscotti e lecca-lecca di tutte le dimensioni. Davanti alla porta c'era un ragazzino che guardava dentro con occhi sognanti. Aveva dei corti capelli neri spettinati, pelle chiara ma rosea sulle guance. Le sue manine erano appoggiate sulla porta: le premeva con così tanta forza che sembrava volesse rompere l'ostacolo che lo separava da quel mondo di dolcezza. La sua espressione però non celava la tristezza che provava. Il labbro inferiore sporgeva in avanti, in un broncio che spezzava il cuore a chiunque lo guardasse. Giovanni aveva smesso di pensare alla sua ricerca, concentrandosi su quel bambino, cui si avvicinò. Da lontano non si era accorto delle lacrime che premevano ai lati degli occhi del piccolo. Allora successe una cosa strana ed inaspettata. Giovanni percepì qualcosa di nuovo farsi strada dentro di lui. Avvertiva un senso di freddo, come gli succedeva quando era infelice. Alla mente gli arrivarono pensieri che non gli appartenevano. Solo un lecca-lecca, anche piccolo. Mamma non me lo prende mai perché non ha abbastanza soldi.
Giovanni non impiegò molto per comprendere che l'infelicità appartenesse al bimbo accanto a lui. Lo osservò con la coda dell'occhio: era nella stessa posizione, ancora concentrato sui dolci all'interno del negozio. Neanche la sua espressione era cambiata: aveva ancora il broncio. Sembrava non accorgersi del fatto che Giovanni potesse sentire i suoi pensieri. L'uomo fece finta di niente, restando fermo. Gli pareva di essere tornato bambino, quando pregava i genitori per farsi comprare un dolcetto. A quell'età la felicità è data da piccole cose, rifletté Giovanni. Provava un senso di compassione per il bambino, privato di quei gesti che rendono l'infanzia gradevole e dolce alla memoria. Si sentiva impotente, voleva vedere quel bimbo sorridere contento con un lecca-lecca in mano. La tristezza del ragazzino si fece più acuta con il passare del tempo. Giovanni desiderava regalare al piccolo un ricordo piacevole e, all'improvviso, un formicolio attraversò il suo corpo. Non era fastidioso, ma era così intenso da costringerlo ad appoggiarsi alla vetrina. Subito dopo, alcune scintille colorate si propagarono dalle sue mani. Spaventato, l'uomo si girò, controllando che nessuno lo stesse osservando. Era preoccupato di ciò che la gente avrebbe potuto pensare. Notò che tutto si era fermato, ogni persona bloccata nell'azione che stava facendo, un attimo immobile come quelli immortalati dalle fotografie. Stupito, unico spettatore della scena e circondato da un silenzio ovattato, Giovanni fissò le sue mani, come se avesse potuto far cessare quell'evento assai strano con uno sguardo. Le faville continuarono a crescere di numero e di luminosità, fino a diventare tanto accecanti da obbligarlo a chiudere gli occhi. Il formicolio aumentò d'intensità, concentrandosi nelle dita. Poco dopo, a Giovanni sembrò di sentire un fuoco bruciargli la pelle dall'interno, scorrergli nelle vene incendiandogli tutto il corpo. Passarono alcuni secondi che parvero interminabili e cessò tutto. Facendosi forza, Giovanni trovò il coraggio di aprire gli occhi. Pensava di essere coperto da mille bruciature, ma vide solo le sue mani stringere un grande lecca-lecca tra le dita. Con un grosso sorriso sulle labbra si voltò verso il bambino accanto a lui. In quell'istante, la gente riprese a muoversi, i suoni riempirono l'aria. Giovanni si inginocchiò per essere all'altezza del piccolo. Nascose il lecca-lecca dietro la schiena per fare una sorpresa al ragazzino, che si voltò a guardarlo con occhi incuriositi. La pressione delle manine del bimbo sulla porta diminuì con il suo movimento. Ottenuta la sua attenzione, Giovanni gli parlò. - Ciao. Tranquillo, non ti voglio fare del male. Ti ho solo visto qui, davanti al negozio, guardare dentro sognante ed ho immaginato che volessi mangiare qualche dolcetto. Avevo comprato poco fa un lecca-lecca per la mia cuginetta, che avrei dovuto incontrare oggi, ma purtroppo si è sentita male. Allora, ho pensato di regalartelo. Ti piace?-
A quel punto Giovanni mostrò il lecca-lecca ed il bambino annuì esitante. Allora Giovanni allungò la mano con il dolce verso il ragazzino che, prima titubante poi allegro, afferrò la golosa leccornia. Quindi il piccolo si rivolse a Giovanni. -Grazie.-
Il viso del bimbo era illuminato da un sorriso smagliante che spingeva Giovanni a ridere di conseguenza. Il ragazzino stava guardando il dolce che aveva in mano come se fosse la cosa più preziosa presente su tutto il pianeta. Giovanni se ne andò, ancora con l'immagine di quel riso e di quello sguardo contento davanti agli occhi. Aveva dimenticato l'ira per il licenziamento del giorno prima, la delusione di non aver trovato un nuovo lavoro, rimpiazzate dalla gioia per aver reso un bambino felice.
Entrò nel suo appartamento contento come poche altre volte lo era stato. Allora Giovanni si mise a riflettere sull'accaduto. Era successo tutto all'improvviso, un evento inaspettato. Fu allora che Giovanni comprese le parole della fata in quel sogno. Non era stata la sua fantasia, era tutto vero. Ne aveva appena avuto la prova. Ed ora? Pensò Giovanni. Non sapeva cosa avrebbe dovuto fare con il suo dono. Però si era sentito così bene a rendere allegro quel bimbo. Posso aiutare le persone. Dove c'è molta gente che necessita di qualcuno che la renda felice? Giovanni rifletté a lungo su quella domanda, quando finalmente gli venne in mente una risposta. L'ospedale. Lì ci sono tante persone bisognose di conforto. Uomini, donne, bambini, di tutte le età. Ho deciso cosa fare. Userò la mia capacità magica per aiutarli.
Dopo aver preso quella decisione, Giovanni si sentì in pace con se stesso, come se tutto nella sua vita avesse trovato un posto, ogni cosa avesse senso. Percepiva di aver trovato il proprio scopo.
Era una notte limpida, senza nuvole. Giovanni osservava fuori dalla sua finestra. In basso c'erano negozi con le saracinesche abbassate, macchine posteggiate ai lati della strada, illuminata da alti lampioni. Giovanni allora spostò lo sguardo in alto, verso le poche stelle nel cielo blu scuro, quasi nero. La Luna era piena e rischiarava la città ai suoi piedi con la sua luce candida. Sembrava che anche gli astri celesti si fossero mostrati chiari, così come il destino si era rivelato a Giovanni.
Quella notte Giovanni dormì sereno, contento di aver compreso la ragione per cui era nato. Si promise che il giorno dopo sarebbe andato all'ospedale, per offrirsi come volontario per portare conforto ed allegria alle persone malate.

Pensieri di Una Notte Stellata (TWWG16)Where stories live. Discover now