Cap 13: Depth Over Distance Ben Howard

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Richard

L'ho detto.
L'ho detto.
Finisco la birra stretta tra le mani.
Prendo le chiavi della Ducati che Nicolas ha lasciato sul tavolo.
Guardo di nuovo fuori dalla finestra.
L'ho detto.
L'ho detto ora.
Ora che questa casa ha un profumo diverso con lui di sopra.
Esco senza fare troppo rumore.
L'aria fredda di una notte diversa da quelle passate, mi accarezza il volto.
La luce accesa sotto la veranda di Eve mi cattura.
I capelli di Anna a muoversi ancora sotto al movimento lento del dondolo.
Osservo le sue spalle meno dritte di quando le ho lasciate.
Alzo il palmo della mano e lascio cadere il cappuccio della felpa.
Non voglio più nascondermi.
Questo nuovo silenzio che ho attorno mi fa scendere nel mio profondo.
E gli occhi di Anna, quelli sentiti quella sera, quel colore vero, diventano la mia condanna.
L'accusa a tutto quello che sono stato senza volerlo davvero.
E le parole di Nicolas, il suo fidarsi di me, il mio rammarico.
La nostalgia di non aver saputo cogliere richiami importanti.
Non sono nato per promettere.
Instabile come il tempo di questo paese che ha inseguito il mio procedere barcollando.
Incosciente come l'età che mi sta appiccicata addosso.
Porto le mani nelle tasche, scendo gli scalini.
Anna non si volta, il suo sguardo immerso in qualcosa che io non ho mai voluto comprendere.
I suoi pensieri dentro un amore che le ho rubato.
E devo trovare il modo di restituirlo quel sentimento di cui ho sempre avuto paura.
Quel groviglio di sentimenti a cui non ho mai voluto avvicinarmi.
Salgo sulla Ducati con un portamento diverso da quello di chi la possiede più di me.
La luce accesa al piano di sopra muove dentro di me la necessità di cercare quello che ho lasciato.
Momenti, persone che ho voluto far finta di dimenticare.
Il suono ovattato di uno strumento così diverso dal mio mi porta ad un infanzia che ho cancellato.
A quelle notti in cui anche io trovavo la voce dentro le corde della mia chitarra.
A quelle ore senza sonno indispensabili a fare progressi in quella musica che mio padre mi ha voluto insegnare.
Quella che non so più ascoltare.
La Ducati respira al giro di chiave, tormento un poco l'acceleratore, respiro carburante in funzione e immetto la prima.
Esito svoltando sulla strada, recupero l'equilibrio e mi lascio andare ad una corsa che questa volta so dove deve arrivare.
E Cambridge mi scivola addosso, le luci dei lampioni mi ingoiano gentili.
L'ho detto.
L'ho detto.
E le mie notti senza ricordo, le birre che ci ho bevuto dietro, le mie parole taglienti si fanno lo sfondo di quello che ho voluto essere.
E la consapevolezza di non volerlo essere più.
Ritorno ai miei posti più belli.
Quelli che a pochi ho mostrato, nella speranza che quel poco di invitante che di me ho lasciato sia rimasto.
E casa si Caroline è un contorno in lontananza, così come i suoi tratti che da tempo mi evitano.
Inchiodo davanti all'ingresso, la moto si gira appena sotto il mio peso che segue una frenata folle.
Le mani dentro le tasche della felpa a mostrare una timidezza spiazzante di fronte a questo gesto a cui neanche io mi sento pronto.
E la porta si apre prima che io possa bussare.
E una voce che mi fa sorridere arriva prima che i suoi occhi possano guardarmi.
"Ehi Nic sei tornato con la tua stessa imprevedibilità, hai ripensato al mio invito a cena?" e le parole si fermano alla mia vista.
Mi mordo il labbro, i miei occhi scendono a terra, esitano su un corpo di cui non hanno mai avuto paura.
Si spevantano ora, ora che l'ho detto.
Ora che il mio guardare si mescola a quel sentire che mi sono sempre negato.
E Caroline rimane senza parole, immobile di fronte a chi invece, lei, ha sentito a fondo.
Sistemo i capelli in una coda poco attenta, maldestro di fronte ad una situazione che non so gestire.
Tento un nuovo sorriso.
"Che diavolo sei venuto a fare?" chiede guadagnando terreno di fronte ad una visita inaspettata.
"Devi aiutarmi" riesco appena a dire.

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