20. Concern of mine

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“Posso chiedere, di grazia, cosa stai facendo, Harry?”

Harry si era perso il momento in cui l’uomo-Sevreus si era svegliato e adesso aveva ritratto in fretta le mani.
Si sentiva un po’ in colpa, aveva svegliato l’uomo-Sevreus che era stato così gentile da farlo dormire nel suo letto.
Quindi chiese scusa subito, ma non scappò dal letto come avrebbe fatto un tempo.
Harry era piccolo, sì, ma sapeva bene che tante cose erano cambiate, lui era cambiato.
Si sentiva bene, meglio di quanto avesse mai ricordato ed era… sì, più… certo nelle cose, più bravo.
Sì, stava diventando bravo e non aveva paura dell’uomo-Sevreus, né paura di dover andare via perché se diventava bravo nessuno lo avrebbe mai mandato via.
Sorrise, pensando a come era bello farlo, a come era bello avere un motivo per farlo.

Rinunciando a capire il bambino-Potter, che prima aveva ‘mappato’ tutto il suo naso per poi sorridere senza nessun motivo apparente, Snape si alzò.
Mentre si vestiva s’informò su come il bambino aveva passato la notte e la risposta fu di suo gradimento.
Attese quindi che il piccolo Potter finisse di prepararsi ed insieme entrarono in cucina per fare colazione.
Un elfo domestico comparve in quell’istante senza essere stato chiamato, Severus trovò la cosa insolita, ma tutto fu chiaro quando la piccola creatura riferì il messaggio di Dumbledore.
Snape annuì e la colazione passò, per il maestro di Pozioni, in un turbinio di pensieri e supposizioni.


Sirius Black, per una volta nella vita, fu grato dell’onniscienza di Dumbledore all’interno delle mura di Hogwarts.
Non era dell’umore adatto a farsi annunciare, era andato lì per uno scopo ben preciso e, come era insito nella sua natura, preferiva arrivare direttamente al punto.
Pertanto quando il gargoyle all’ingresso dell’ufficio del Preside si aprì senza la parola d’ordine Sirius se ne compiacque e subito entrò con Remus.
Quest’ultimo lo aveva seguito fin da Hogsmeade, qualche passo indietro ed in rigoroso silenzio.
Quel silenzio di rimprovero che Sirius conosceva così bene, ma che per una volta aveva deciso di ignorare.
La pazienza non era il suo punto di forza, Sirius lo ammetteva sempre di buon grado, e adesso men che meno. Erano passate settimane e nessuna notizia dell’unico figlio di James e Lily.
Possibile che proprio Albus, fra tutti, non capisse quanto era importante per lui poter finalmente compiere il proprio dovere e prendersi cura del suo figlioccio?
Quanto era stato difficile venire a patti con la propria coscienza e lottare con il senso di colpa che lo aveva divorato come – e qui ironicamente rise – un cane affamato divora un osso?
Non sapere cosa ne era stato di quello che rimaneva della sua famiglia, perché tale l’aveva considerata, era stato un fallimento che lo aveva condotto quasi alla pazzia, più di tutto quello che i Dementors gli avevano fatto, eppure era rimasto aggrappato alla speranza di riuscire, un giorno, ad esaudire la preghiera dei suoi amici, morti in una guerra giusta, una guerra per la libertà. 
E quel singolo pensiero lo aveva aiutato, giorno dopo giorno, in quei cinque anni di buio completo. Adesso, che il momento era giunto, nessuno, neppure Dumbledore, sarebbe riuscito a fermarlo.

“Albus”.

“Sirius, ragazzo mio, è un piacere vederti, come ti senti?”

Black esitò, ma lo sguardo severo di Remus lo convinse a mostrare tutta l’educazione che era possibile raccogliere in quella situazione.

“Molto meglio, grazie”.

Naturalmente i limiti della cortesia dei Black non erano tali da spingerlo ad indulgere in inutili chiacchiere di circostanza e Sirius sapeva bene che Dumbledore poteva capirlo, anche se leggeva della disapprovazione nei suoi occhi azzurri . 
Mentre sedeva con palese riluttanza decise quindi di arrivare al dunque senza ulteriori distrazioni.

“Immagino tu sappia perché sono… siamo – fece un gesto della mano includendo, suo malgrado, anche Remus – qui, Albus”.

“Naturalmente, mio caro ragazzo, naturalmente” rispose bonariamente il Preside.

The Heart of EverythingWhere stories live. Discover now