Rischiare per non sprecare

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"Lo spreco della vita sta nell'amore che non si è saputo dare, nel potere che non si è saputo utilizzare. Nell'egoistica prudenza che ci ha impedito di rischiare e che, evitandoci un dispiacere, ci ha fatto mancare la felicità"

Oscar Wild l'aveva appuntato da qualche parte quel pensiero.
Oscar Wilde l'aveva detto una volta, chissà per chi o a cosa si era ispirato.
Oscar Wilde, quello che non conoscevo, a racchiudere una fase che prima o poi si calpesta.
Oscar Wilde, con un aforismo impresso sul muro del mio camerino al Playguitars, in un incisione voluta di proposito.
Oscar Wilde e quel concetto che avevo fatto pitturare sulla parete per ricordarmi quanto fosse indispensabile rischiare.
La leggevo bene in quella sera interminabile, quella frase stampata a pittura acrilica, mentre Ignazio se ne stava a pochi centimetri da me.
E se Oscar Wild l'aveva messo nero su bianco quella sorte di teoria, si vede, che il suo era un pensiero convinto.
Si vede che la prova del nove l'aveva fatta e rifatta per testare l'autenticità di quella verità.

"Gennaro....certo, si chiama Gennaro! Non lo dimentico che si chiama Gennaro!...State insieme, non è così?"
I suoi toni ad indurirsi un poco e i suoi occhi, quelli scuri in cui perdersi annegando, a venire a cercare i miei, quelli chiari in cui specchiarsi, per fermarli.
La mia testa ad abbassarsi tesa e a tentare di nascondermi sotto la frangia color rame.
"Non credo che questo ti riguardi"
La mia voce ad incrinarsi poco convinta, indecisa fra la menzogna e la semplice realtà.
Il mio sguardo a sfuggirgli, per paura di farsi leggere troppo falso.
E non so perché non mi andava di dirgli la semplice verità, cioè che noi non stavamo insieme, che eravamo solo soci di quel locale che adesso ci aveva fatti incontrare, e che Gennaro, lo sapeva bene il suo posto ormai da tanto tempo.
Avrei dovuto spiegargli che una cotta pesante per me l'aveva avuta e restava quel vizio, quel stramaledetto vizio di invadere qualche mio spazio, ma nulla più.
Avrei dovuto dirgli anche che se io a Gennaro avevo chiaramente detto di no in passato, nemmeno per provare a dare una possibilità, era per il semplice motivo che mi ero innamorata di lui follemente.
Per innamorata intendo quell'amore che non è sempre una benedizione se non è corrisposto come si deve.
Amore vuole amore, si sa!
Ad Ignazio, inoltre, avrei dovuto urlargli "smettila subito di odiarlo così tanto perché sei tu la causa della sua sconfitta!"
E in tutto quello, avrei dovuto aggiungere anche una bella sberla su quella faccia fottutamente attraente che si ritrovava.
Si, una sberla ad Ignazio per rabbia.
Rabbia perché riuscuva ancora a farmi effetto.
Perché io lo trovavo ancora dannatamente troppo bello.
Ma soprattutto, lo trovavo migliore in quelle vesti di padre che gli conferivano un'aria più consapevole di prima.
Però fatto sta che non gli avevo detto niente.
Non avevo fatto niente ed ero rimasta zitta.
Mentre dentro tutto correva in fretta, ero rimasta solo zitta.
Forse preferivo tacere perché volevo togliermi una soddisfazione mia personale.
Volevo sbattergli in faccia almeno per un momento che anche io, come lui, avevo trovato qualcuno da amare e con cui condividere serenamente la mia quotidianità.
E rimpiangevo amaramente di non aver sentito la necessità di soffermarmi seriamente sulla ricerca di un amore tranquillo in quegli anni, almeno per fargli rodere il fegato.
Rimpiangevo di essermi presa solo futili occasioni senza un domani.
Allora ho taciuto su Gennaro perché sarebbe stato come dirgli "tu ti sei fatto una famiglia, un figlio, io non ti stavo mica aspettando!"
La verità è che non si diventa mai grandi abbastanza, perché essere maturi, vuol dire conoscere il punto debole dell'altro ma anziché approfittarne, non usarlo per giocare ad armi pari.
Semplicemente a volte, per mostrarci superiori agli altri, nella vita, si inceppa in meccanismi assai strani.
Ingranaggi lenti e d'intralcio, che di per sé possono sembrare sciocchi, senza senso alcuno, poi ci si aggiunge una punta di orgoglio ferito e un pizzico di pregiudizio senza fondamenta, ma che al momento, ci crea dei veri e propri blocchi.
Degli ostacoli.
"Ah non mi riguarda?"
"No...ovvio che non ti riguarda!"
Le mie dita ad intrecciarsi nervose e ad affondare le unghie nella pelle.
Una vibrazione in sottofondo a farmi sobbalzare e alzare la testa di scatto.
Quella di un telefono che tremava sul mobiletto.
Il suo di telefono e l'invano intento di non disturbare.
Il mio voltarmi in un baleno indietro, prima di lui, per afferrarlo con un motivo che si chiama gelosia pura ed incoerente.
Il mio testare la tarda ora a farmi scorrere invidia fluida al posto del sangue.
La mia vista ad allungarsi subito sullo schermo che si accendeva ad intermittenza, roteando appena sul piano in legno lucido.
Avevo intercettato subito il nome registrato su un immagine già spiata negli anni, quella di una Veronica raggiante con un bimbo bellissimo fra le braccia.
La mia mano ad acciuffarlo con risentimento per passarglielo fingendo una strana cortesia, del tutto fuori luogo.
"Tieni...è tua moglie...è tardi... dovresti essere da lei a quest'ora"
Il mio tamburrellare sulle punte delle scarpe a tradire la tensione accumulata in un paio d'ore troppo intense.
Un paio d'ore soltanto e tutta la serenità agognata e racimolata a fatica in quattro anni, se ne andava in una nuvola di fumo.
Ed il gioco invertiva il senso senza un pizzico di fantasia.
Stavolta io a lanciare frecce antipatiche per cercare di capire la sua di storia, quella sentimentale.
Stavolta io ad investigare e a smentirmi ingenuamente di fronte a tutto ciò che avevo detto fino ad adesso.
Frasi banali e davvero troppo deboli a nascondere sotterfugi, che sanno di ipocrisia.
Fingersi indifferente quando dentro, invece, bruciava più di qualcosa.
L'ho visto il suo intento imbranato di smorzare un sorriso con un colpo di tosse davanti a quel mio passo falso.
L'ho notata la soddisfazione che involontariamente gli avevo concesso.
L'ho sentita la sua speranza riemergere dagli abissi inoltrati.
E ho visto anche il suo petto alzarsi tronfio in un respiro che sapeva di sicurezza.
Mi è arrivata quella sua risata trattenuta sotto ai baffi, quella capace di farmi imbarazzare di fronte alle mie stesse azioni infantili.
Ho visto bene anche tutta la calma con cui prendeva fra le mani il telefono, come se davvero non avesse nulla di cui preoccuparsi.
"Non è mia moglie e lo sai benissimo che non mi sono mai sposato....la notizia sarebbe stata virale se lo avessi fatto, no? Comunque io e lei non stiamo più insieme e poi mi sembra ovvio che questa questione non ti riguarda!"
"Ah non mi riguarda?"
Ed ecco il mio sarcasmo, quello di frasi ripetute per un dolce dispetto, quello che fuoriusciva insieme ad un sospiro forte con le narici dilatate e le dita che tamburrelavano imperterrite sulle braccia conserte.
Ed ecco anche il sollievo insieme alla finta indifferenza.
"No...ovvio che non ti riguarda"
Il nostro prenderci in giro e il nostro gioco a farsi più bello di prima.
Il suo imitarmi con un sorriso divertito sulle labbra era la dimostrazione che potevamo abusare della ritrosia, perderci, odiarci, allontanarci, sputarci in faccia ogni possibile rifiuto, fingerci indifferenti, mostrarci altezzosi l'uno di fronte all'altro, ma poi, finire sempre vicini era inevitabile.
Finire sempre con la voglia insana di aversi meno distanti era incontrollabile.
Finire sempre come calamite era una legge non scritta nei nostri occhi.
"Rispondi...potrebbe essere importante"
Il mio tono di voce ad addolcirsi un poco a dare un consenso non richiesto per guadagnare tempo e far stabilizzare un battito oscillante.
Il mio guardare altrove per fingere di non vedere i suoi passi non curanti delle mie parole avvicinarsi e sfiorare la punta delle mie scarpe, cogliendomi impreparata.
"Non è importante.... però adesso smettila...smettiamola!"
Il suo ciuffo a sbattergli stanco sulla fronte un po più lucida di sudore.
I rumori in sottofondo di festa lì al Playguitars, ad attutirsi all'istante e a smettere di arrivarmi in sordina.
Tutto a perdere importanza in quel suo affermarmi con una falcata decisa.
Il vento che spezza l'aria pesante il suo attirarmi quasi prepotente a lui.
Le sue mani a prendere con forza i miei fianchi per farli scontrare ai suoi, e le mie, sottili ed impreparate, ad adagiarsi sulle sue spalle in cerca di un equilibrio che non c'era più.
Le pieghe stropicciate della sua
t-shirt bianca e il sapere cosa ci fosse sotto a farmi deglutire.
La gonna rosa del vestito a danzare leggera nell'aria calda della stanza, in quello scontro di corpi che si erano già amati.
La pelle liscia e scoperta della mia gamba a strisciare sui suoi jeans ruvidi e il brivido, quello dal sapore di vecchi ricordi.
Quattro occhi ad incastrarsi che sono capaci di vedere qualsiasi cosa, volendolo davvero.
Due cuori, l'uno contro l'altro a confrontarsi in una corsa che sa di pareggio ad alti livelli.
La punta del naso a pizzicarmi sotto il suo profumo invadente.
Le mie labbra secche ad inumidirsi con la lingua in una movenze incontrollata, aspettando di essere bagnate dalle sue tormentate dai denti.
La bretella del mio vestito a cadere inerme lungo il braccio per quel moto improvviso e i miei occhi a seguirla rialzarsi con le sue dita già pronte di riflesso.
Una ventata che abbatte i muri in quel cozzo morbido.
In quella carezza celata tutto l'intento di non separarci proprio adesso che c'eravamo ritrovati.
In quella mossa spontanea tutta l'esuberanza di una notte, che proprio non ne voleva sapere di finire lí.
L'ho percepito il flusso del mio sangue farsi ad un tratto più forte di prima, su quel contatto cercato da lui.
L'attrito o l'impatto.
Non solo quello fisico.
Intendo quello che qualcuno è capace di comportare sulle tue fortezze, rendendole più fragili.
La compatibilità o la passione.
Non solo quella di gambe che hanno voglia di intrecciarsi.
Intendo quella delle menti che vogliono annegare nello stesso pensiero, nello stesso istante.
Contemporaneamente per raggiungere la stessa strada.
L'affinità e il desiderio.
Non intendo solo quello di bocche che bramano per mordersi fino a sanguinare, ma quello di anime che sanno abbracciarsi e capirsi senza lo sforzo di parlare.
L'attesa e l'impazienza.
E non parlo di quella fretta di incastrarsi fino a sentirsi bruciare, ma l'attesa verso aspettative che vanno ben più oltre.
Aspettative mai avute, quelle di due coscienze in collusione.
Il nostro respiro a fuoriuscire più denso e a condensarsi tentandoci.
"Facciamo che del passato non ce ne importiamo più?"
Le sue pupille a divorarmi in quel sussurro roco e disperato.
La richiesta di Ignazio a spingermi al muro, insieme alle sue braccia ed io in trappola.
Nessuna via di fuga dentro casa mia.
Solo quella vibrazione del telefono in sottofondo ad insistere senza farmi concentrare abbastanza sulla risposta.
E cos'è una risposta in fondo?
Quanto può valere il suo peso?
Che colore diamo alle risposte?
Una risposta non è nulla in confronto a tutte le parole che si sprecano in una vita intera, eppure, a volte, una risposta inopportuna, te la può anche stravolgere la vita.
È un attimo, un secondo e tutto si rovescia.
La risposta se avesse un colore, sarebbe azzurra perché ha il sapore della libertà, ti da quella facoltà di muovere l'universo.
Una risposta, quella corrispondente alla domanda importante, è niente ma può cambiarti il seguito.
Perché il futuro è conseguenza.

La Storia In Una Fotografia (#Wattys2016)Where stories live. Discover now