Disgusto

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New York, 9 febbraio 2015

Un bianco asettico, impersonale e abbagliante. Un letto freddo e scomodo. Un odore penetrante di disinfettante. Voci confuse, isolate e lontane. Vanille aprì gli occhi mentre la mente, a fatica e con estrema lentezza, tentava di rimettere in ordine i pensieri, i ricordi e gli attimi inutili di un’esistenza ancor più insignificante.

Un cielo grigio si dispiegava oltre la finestra, mescolandosi e fondendosi con il candore della stanza d’ospedale in cui si trovava.

Come ci era arrivata lì?

Quali scelte, quali azioni e decisioni, quali errori e insuccessi, l’avevano condotta in quello stato di apatia e di profondo smarrimento?

A un certo punto della sua esistenza, lungo il cammino liscio e privo di ostacoli, si era fermata e, guardandosi intorno, si era accorta di come la sua anima fosse circondata e minacciata da un vuoto immenso e incolmabile.

Chi era Vanille Park?

Per tutti, Vanille Park era una ragazza di ventidue anni che aveva avuto la fortuna di nascere in una delle più influenti, famose, potenti e benestanti famiglie di New York. Come se questo non bastasse, Madre Natura l’aveva dotata di un corpo invidiabile e di una bellezza unica, rara e perfetta. Il tutto era stato l’esito di un’interessante quanto insolita mescolanza di geni. Suo padre, Andrew Park, uomo d’affari nel campo immobiliare, era il tipico americano. Alto, pelle chiara, occhi azzurri e capelli biondi. Estremamente affascinante, all’età di trent’anni era rimasto folgorato dalla bellezza esotica di Océane, ragazza mauriziana dalla pelle ambrata. Proprio dalla madre, Vanille aveva ereditato un viso dall’ovale perfetto, contornato da lunghi capelli neri e lisci, abbellito da due occhi scuri, penetranti e allungati verso l’alto. Il magnetismo del suo sguardo, associato a un fisico asciutto, connotato da lunghe ed esili gambe, l’avevano resa una delle modelle più richieste dell’ultimo anno.

New York, Tokyo, Shangai, Parigi, Londra e Milano. Il mondo non era troppo vasto per lei. Le settimane erano scandite da lunghe ore trascorse a bordo di un aeroplano, da jet lag impossibili da tollerare, da cibo spazzatura ingerito con indifferenza e da sigarette fumate con nervosismo al fine di smorzare la fame.

Inseguiva ossessivamente la perfezione, ambiva a primeggiare sempre e comunque, mal tollerava le sconfitte. Questa sua smodata determinazione, unita a un’ambizione pronunciata, l’avevano condotta sull’orlo del suicidio.

Ora ricordava. La mente, in modo improvviso, iniziò a illuminare in lei i ricordi di quanto avrebbe voluto per sempre dimenticare.

Un amore finito male, un corpo che non rispondeva più alle sue volontà di perfezione, l’eco mondiale di pubblici scandali, la falsità e l’ipocrisia delle persone che la circondavano, le amiche che si erano rivelate traditrici opportuniste, le corse in bagno per svuotare l’anima di tutto quel putridume che la assediava e che le inquinava il cuore, l’anaffettività del padre, l’alessitimia della madre, l’insofferenza verso quella superficialità che aveva, da sempre, connotato la sua esistenza, l’avevano condotta a provare un forte, intenso, accecante, folle e irrazionale moto di disgusto verso una vita che, improvvisamente, le era apparsa sterile e inutile.

Vanille osservò le proprie mani distese lungo il corpo. Gli occhi si riempirono di lacrime e, in quello stato di fredda solitudine, provò un forte senso di colpa per il gesto che aveva compiuto e che l’aveva condotta in prossimità della morte.

Una, due, tre, quattro, cinque pastiglie di un farmaco non ben identificato, accompagnate da uno, due, tre bicchieri di un liquore forte, troppo forte, l’avrebbero condotta a una morte rapida e indolore. Almeno questo era quello che lei aveva pensato. Avrebbe per sempre chiuso gli occhi e posto fine alla sofferenza e al disgusto di quella vita che non le apparteneva e che l’aveva delusa.

Nonostante avesse avuto tutto, nonostante ogni bene materiale le fosse stato elargito in cospicue quantità, nonostante il suo stesso corpo fosse stato modellato secondo i canoni di una bellezza particolare e indiscutibile, lei aveva deciso di gettare via ogni singolo elemento, ogni singolo frammento di quell’esistenza.

Ma ora era lì, sola in quel letto di ospedale. All’orecchio le giungevano le voci dei genitori, preoccupati e arrabbiati per il gesto estremo compiuto dalla figlia. Entro pochi minuti sarebbero entrati nella stanza, l’avrebbero vista sveglia e, senza farsi troppi problemi e peccando di sensibilità, avrebbero recriminato la sua condotta, condannato i suoi capricci da ragazza viziata e l’avrebbero riportata a casa, in quella prigione dorata in cui avrebbero continuato a proteggerla da se stessa.

Vanille tornò a guardare fuori dalla finestra mentre un desiderio, radicato dentro il suo cuore, si apriva come quel fiore stupendo ed esotico da cui derivava l’essenza insita nel suo nome.

Desiderava essere libera, volare via dal grigiore di quella città che per molti rappresentava la realizzazione dei sogni, ma che per lei si era rivelata essere una lenta e inesorabile condanna. Anelava alla scoperta di se stessa, ambiva all’analisi della sua anima, inquinata da anni di ambizioni superficiali e di tossiche relazioni.

Nonostante il suo desiderio folle, non era morta. Qualcuno le aveva conferito una seconda possibilità.

Vanille chiuse gli occhi. Era giunto il momento di decretare l’inizio di una nuova versione di se stessa. Miracolosamente, era ritornata a vivere. Ora l’attendeva una difficile ma importante sfida. Avrebbe reciso, come rami secchi, ogni elemento che l’aveva fatta soffrire in passato e, con tutta la determinazione di cui era capace, avrebbe inseguito il suo vero e personale sogno. Il disgusto provato nel corso della precedente esistenza sarebbe stato sostituito dall’entusiasmo verso tutto quello che il futuro avrebbe deciso di elargirle.

Per se stessa, per l’immenso valore della sua anima, sarebbe ritornata a vivere.

Il privato mondo delle emozioniWhere stories live. Discover now