4 - La dolce novella

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La servitù era in subbuglio da due ben giorni. Continuavano ad entrare ed uscire dalla stanza preparata per la Regina, portando pezze, teli ed unguenti. Il medico era stato sospeso, non aveva accesso a certi ambiti, per quanto medici, ed era stata chiamata una donna conosciuta in tutto il Regno per le sue particolari doti mediche ed ostetriche. Il suo nome era Felicia, ed era originaria di un'isola del Mare Estivo, situato a sud est del Regno di Re Nicholas, di nome Tardin.
Il sovrano era nervoso, ma doveva continuare i suoi ricevimenti privati, le sue riunioni con ambasciatori esteri e tutti i suoi compiti reali. Fosse stato per lui, sarebbe stato da sua moglie tutto il tempo. Certo, magari non di fianco a lei, questo non era concesso ad alcun uomo del Regno. Ma gli mancava così tanto, non la vedeva orma da quarantott'ore, ed era in pensiero per lei. Ogni tanto mandava qualcuno a chiedere notizie della Regina, ma tutto quello che riusciva ad apprendere era «La Regina sta avendo un parto impegnativo, Vostra Maestà. L'ostetrica, Felicia, dice che non ha mai visto un parto così lungo», come gli stava comunicando ora Kale, un servo che aveva già inviato sei volte all'ala sud.

«Per piacere, Kale, chiedi informazioni più dettagliate» ordinò il Re, stringendo il pungo e guardando il servo con astio, girando la testa e dandogli le spalle. Un po' di ricci gli ricaddero sulla fronte, donandogli un'aria ancora più infuriata.
Kale ingoiò la saliva accumulatasi durante le precedenti corse su e giù per il palazzo, annuì e, quando Nicholas lo congedò con un segno di mano e tornò a concentrarsi sulla lettera dell'ambasciatore di Garbensten, città prosperosa del Nord, fece un inchino frettoloso e corse di nuovo nell'ala Sud.

Quest'ala era differente dalle altre, meno antica e più accomodante: non a caso, vi era situato il grande salone che si affacciava sul giardino in stile orientale e classico, con fontane e laghetti e colonne volute dalla Regina. Svoltò a destra, e poi a sinistra al salone. Salì due piani e corse di nuovo lungo tutto il corridoio.
Maggiordomi e serve lo guardavano stupiti, mentre lui si teneva in testa il cappello beige con una piuma rossa con una mano e correva alzando i pantaloni che gli arrivavano al ginocchio, coperto da una sottile calza a maglia. I suoi stivali rimbombavano sul pavimento cerato fresco e bianco, e il mantello marrone svolazzava nell'aria dietro di lui.
Ecco perché il Re l'aveva scelto per sapere delle situazioni della Regina, ragionò il servo; era molto veloce a correre, e conosceva bene il palazzo. Non poté negare l'astuzia del sovrano.
Ormai era arrivato davanti al portone della Regina. Il corridoio era illuminato dalla luce del mattino che entrava dalle grandi finestre gotiche lavorate in ferro, tutto risplendeva di giallo ed oro.

Il portone era addobbato da due grosse ed alte tende azzurre, vellutate e pompose, legate ai lati con un filo d'oro. Kale bussò, ma in quel momento sentì un urlo provenire dalla stanza.
Il suo cuore perse un colpo, e dopo questo altri mille ne sopraggiunsero a raffica.
Altre urla, che Kale immaginò fossero di dolore e fatica, si propagarono in corridoio. Una serva uscì dalla stanza con dei panni insanguinati, e per poco non ruppe il naso al povero servo che se ne stava lì davanti imbambolato.

«Cosa vuoi ancora?» chiese scorbutica la serva, alta come Kale ma più in carne e dall'aspetto affrettato.

«Vostra...Vostra Maestà... Vostra Maestà il Re Nichoas vuole sapere dettagliatamente come sta la Regina Evanella Sua moglie»
chiese balbettando il servo.

Si sentirono altre urla, ed altre serve uscirono con panni rossi ed altrettante rientrarono con bacinelle e pezze candide.
La serva lo spinse di fianco al portone, in un angolo, e sussurrò «La nostra Regina sta avendo un parto difficile, te l'ho già detto più di quattro volte», poi aggiunse «Un uomo non capirebbe, dillo al nostro Re. Ma sappi questo: Felicia è preoccupata per il bambino, è da troppo tempo dentro la madre e, se continuerà così ancora per molto, probabilmente non ce la farà»

Kale annuì, e si fiondò giù per le scale, ma quand'era già al pian terreno, a fianco del grande salone, sentì delle grida provenire dal secondo piano. Affannato e sudato, guardò le scale con aria afflitta e le ripercorse. Una volta arrivato in fronte alla camera della Regina, vide uscire molte donne dalla fronte liscia.
I loro sorrisi erano quelli di coloro che hanno fatto molta fatica per raggiungere un obiettivo, e l'hanno raggiunto.
Erano soddisfatte.
Il servo non credeva ai suoi occhi. La gente si stava già affollando davanti al portone dalle tende blu chiaro e vide uscire la serva con cui aveva dialogato precedentemente.
Le chiese cosa fosse successo in quei pochi secondi in cui era già partito e lei gli confidò, afferrandolo per le spalle,
«Oh, caro ragazzo, vai subito ad avvisare il Re! Sua Maestà ha dato alla luce una bambina!»

Il servo, vedendo tanta felicità in un volto così dolce ed adulto, si fiondò subito dal Re. Ripercorse tutto il tragitto e si ritrovò davanti alla porta della sala ricevimenti.
Cosa gli avrebbe detto? Si accorse solo in quel momento che sarebbe stato lui a comunicare la nascita dell'erede al trono del Regno di Vanaria al Re. Si sentì d'un tratto potente e, dotato di un'autorevolezza, sicurezza ed orgoglio mai avuti, aprì il portone ed annunciò al Re «Vostra Maestà, Sua Maestà la Regina Evanella sta bene e l'erede alla corona di Vanaria ha appena visto la luce»

Re Nicholas scattò in piedi, prese congedo dall'ambasciatore e corse col servo verso la camera di Evanella. Raggiunta essa, si fiondò dentro ed il servo rimase fuori.
Le ancelle della Regina lo intimarono ad uscire, non era luogo adeguato ad un Re, ma lui insistette. Mandò fuori le ancelle, e rimase solo con la moglie. La moglie, ed anche il fagottino bianco con lo stemma di Vanaria, una rosa dei venti, che teneva in braccio. Si avvicinò prudentemente al capezzale della Regina, che aveva dipinte in viso stanchezza e spossatezza, ma anche un'immensa gioia.

«Rosa o Giglio?» chiese Nicholas, con le lacrime agli occhi.

«Rosa» rispose Evanella, commossa e alzando le sopracciglia all'insù come se la sua fronte fosse triste.
Era un pianto di gioia.
Evanella era riuscita nel suo obiettivo: aveva dato un futuro sovrano al Regno di Vanaria, un erede al Re di Vanaria ed una figlia a lei e suo marito.

Il Re allungò le mani e la Regina gli porse la bimba in fasce. Lui la portò al petto, chiedendo alla moglie quale nome avesse scelto, ma quando la vide pensò "Una creatura così pura non avrà mai un nome degno di tale bellezza". La bambina aveva due grandi occhioni marroni, lunghe ciglia bionde ed una pelle candida, con qualche neo qua e là.
«Credo sia meglio lasciarlo decidere a lei il nome» sussurrò, rapito da tale perfezione.

«E come? Non parlerà per almeno due anni, tesoro» disse la moglie ridendo, e lasciando cadere il capo all'indietro, stanca dal parto.

«In base a ciò che farà in questi giorni prima del battesimo, la chiameremo di conseguenza» rispose il Re, alzando gli occhi sulla Regina.

«Intanto, potremmo chiamarla Aurora» propose la sovrana.

«Nata alle prime luci del giorno e portatrice di luce, mi piace» rispose allora il Re, sollevato e felice. Sentiva che quella piccola marmocchia, quella minuscola parte del mondo era la cosa più importante che aveva.

In quella camera c'era tutto il suo Regno.
Il Regno della famiglia, dell'amore.

Ancora comossi, i genitori si abbracciarono stringendo tra loro la piccola neonata.

Dopo poche ore, la Regina era già in piedi, e i sovrani si affacciavano al balcone che dava sul l'immenso giardino dalla sala sopra il grande salone.
Molti sudditi erano giunti a portare omaggio alla principessina, la notizia della sua nascita si era sparsa in gran parte del Regno in meno di un giorno.
Volavano fiori, cappelli e fazzoletti, ed i sovrani fecero allestire grandi banchetti nella città di Vanaria.

RosaspinaWhere stories live. Discover now