Capitolo 10

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La natura transitiva di accarezzare è affatto ambigua. Questo verbo, incursione del linguaggio nel dominio della carne, si caratterizza per una indistinguibilità intrinseca, oltre il mero atto volitivo che lo rende attuale, fra le sue diatesi attiva e passiva.

Carmela si stava accarezzando i palmi delle mani lungo i piedi levigati della sua principessa.

Lei, dopo aver mangiato con insolita voracità quello che aveva chiesto, si era lasciata raccogliere i lunghi capelli color paglia sulla nuca.

Poi, distesasi con eleganza nella vasca, aveva reclinato la testa all'indietro e chiusi gli occhi. La schiuma bianca rendeva indecifrabile il livello dell'acqua quanto quella del vuoto nero fa perdere significato alla distanza delle stelle.

Dita sottili, d'acerbità adolescenziale che il tempo non avrebbe avuto modo di snaturare in insensibilità da contadina, trascinavano bolle, non meno misteriose di quello stesso fare, sul dorso levigato e nei sottili solchi delle caviglie e lungo l'arco plantare che diceva in altro modo la curvatura di pietra d'accesso al castello.

Che la bellezza, oltre il volto le braccia e le spalle il seno il ventre i fianchi e le gambe o un sorriso di luna, potesse emergere e ripetersi sempre identica a se stessa, in ogni minimo dettaglio del corpo e perfino nei piedi, umili estremità destinate presto ad imbruttirsi sotto il peso della fatica quotidiana, aveva reso la Divina agli occhi della ragazza davvero meritevole, come il mondo desiderava fosse, di rappresentare la sostantivazione incarnata del massimo aggettivo.

Anche il tempo si era adagiato a galla su quella schiuma densa, e ogni piccolo movimento delle mani di Carmela, ogni vocio della natura che discreto si affacciava dalla finestra, ogni odore e sapore dell'aria, lo stesso silenzio di sottofondo, si erano trasformati negli strumenti perfetti di una perfetta orchestra, il cui direttore era un triangolo isoscele antropomorfo dal volto d'angelo asessuato, con i vertici di base centrati negli addomi delle due donne e il terzo sul sole, già superbo da non lasciarsi guardare negli occhi.

Carmela non aveva mai visto un vero bagno, e neanche venir fuori acqua da un rubinetto incastonato nel muro di una stanza. L'aveva sempre trasportata nei secchi dalla fontana cavallina, o da capodacqua quando c'era da innaffiare l'orto. Doveva avere di certo qualcosa di speciale, la donna per la quale qualcuno aveva escogitato e poi realizzato quel miracolo.

È possibile amare o odiare soltanto chi o cosa si ritenga confrontabile con se stessi, alla propria portata.

Tutto quanto venga invece percepito come alterità irraggiungibile, lo si può soltanto adorare o temere.

La donna di rugiada, da parte sua, nonostante fosse abituata ad ammirazione e omaggi di ogni sorta, non aveva mai sperimentato tanto fare oblativo nei suoi confronti.

C'erano finanche delle bellissime rose rosa, aperte e profumate, sistemate con cura in un vaso poco distante dalla vasca. E lei li adorava, i fiori.

La ragazza scelta per essere la sua ancella di cinque giorni era dunque il sunto purificato dell'umanità che la vedeva asintoto del proprio trascendersi.

Le chiese che giorno fosse, lasciandosi frangere l'onda della voce sul confine confuso delle loro pelli.

Dalla bocca sottile e serena venne fuori che era martedì venticinque giugno, e che si festeggiava San Guglielmo da Vercelli. Quest'ultimo particolare le fece tendere i muscoli dei polpacci. Uno schizzo di schiuma finì sulla palpebra sinistra di Carmela, chiusasi in tempo prima che lei stessa potesse comprenderne la ragione. Riaprì gli occhi, sorrise e riprese ad accarezzarsi proprio lì, su quella carne interminabile di seta calda e densa, cominciando a salire piano verso le ginocchia.

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⏰ Last updated: Feb 02, 2016 ⏰

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la donna di rugiadaWhere stories live. Discover now