Capitolo 9

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La donna di rugiada camminava piano, a passi di libellula, verso il suo castello, ormai votato a tempio per amplificare la propria scintilla di divinità; e verso il suo futuro. Entrambi le appartenevano, nei limiti in cui, quando le individualità smascherino la loro natura secondaria rispetto alle relazioni, qualcosa o qualcuno possano realmente dirsi di qualcun altro o di qualcos'altro.

Il primo era un dono. Amore mio – le aveva sussurrato l'uomo capace di penetrarle l'esistenza, non appena si erano ritrovati fianco a fianco di fronte all'altare che avrebbe consacrato la loro unione – ti regalo un castello, domani sarai la principessa di Monteserico. Brividi si erano aggiunti ai brividi, la schiena le si era trasformata in una folta linea ferroviaria dove treni sfrecciavano su e giù incrociando pericolosamente i loro tragitti. Aveva sperimentato una cosa del genere una volta soltanto in vita sua, tanti anni prima, quando leggendo una poesia dolce e sensuale che diceva di una farfalla, di un fiore e di un velo di rugiada, aveva immaginato che l'uomo della sua vita, che ancora non sapeva chi sarebbe stato e neppure se esistesse da qualche parte, l'avrebbe scritta un giorno che non era ancora arrivato, mettendoci dentro l'anima come in una bottiglia, e poi affidata al mare del tempo perché lei potesse trovarla e riconoscerlo quando si fossero incontrati.

Anche un castello è una poesia: le parole sono pietre, i muri versi e il senso è nel silenzio solenne, addensatosi magicamente per elevare l'umanità di chi lo viva. E forse il mondo che la adorava vedeva così anche lei stessa: un componimento fatto di gesti capaci di scovare la via diretta che alle parole non è mai consentita: movimento e bellezza, diade fondamentale, tradotta nella più elementare ed efficace delle sintassi umane.

Nel sentire sinestetico della divina, si era trasformato in una poesia narcisa pure il palazzo che si guardava riflesso notte e giorno nel Canal Grande. Quello che Vittorio, solo pochi mesi prima, aveva deciso di acquistare per viverci assieme dopo che a lei era sfuggito un quant'è bello nell'euforia postuma di un lungo bacio sul ponticello lì a fianco, sotto le stelle di Venezia.

Era intanto giunta sull'altro ponte, di fronte al mare verde già quasi giallo che rispecchiava le forme del vento. Un tempo, quando la paura esigeva la necessità di trasformare i luoghi in monadi, doveva essere stato di legno e fissato a massicce catene.

Non c'è libertà di primordine senza vincoli partoriti come volti irriconoscibili della volontà.

Il futuro, da quel momento in poi, era suo perché lo aveva scelto con determinazione.

Da quell'arco litico sospeso sul fossato, cinque giorni prima, Gandini le aveva raccontato di Guglielmo. Ora, in uno stato di equilibrio e benessere pari a quello dei campi che la circondavano, vide che Guglielmo era Vittorio.

Quello che resta di un uomo quando lo si spogli delle circostanze contingenti, delle pressioni culturali e delle credenze che egli pone quali postulati nel suo personale processo di assimilazione del mondo, è ciò che propriamente chiamiamo indole.

Per tutti, a Monteserico, il tenente era il padrone.

Gli riusciva facile organizzare il lavoro quotidiano, curare i dettagli, rendere perfetto ciò che già era nato buono.

Aveva potuto constatare con i suoi stessi occhi, durante i pochi giorni in cui lo aveva visto all'opera, quanto egli fosse puntuale preciso efficiente. Prevedibile fino alla noia, ma necessario, anzi fondamentale.

Lui era il lavoro del tempo, l'apollineo misurabile che permette all'essere di sussistere e di articolarsi dopo l'evento a-temporale e dionisiaco della sua apparizione.

Era ciò che furono anche i seguaci di Guglielmo in Irpinia e in Basilicata: senza di loro, non sarebbe rimasta alcuna traccia dell'esuberanza ingovernabile e tenace di un uomo, l'etimologia del cui nome è volontà che protegge. E il cui unico punto fermo fu l'amore per una donna assurta oltre l'umano, al punto da indurre gli artisti che ne hanno preservato l'immagine a rappresentarlo ogni volta in ginocchio ai piedi di Maria.

la donna di rugiadaWhere stories live. Discover now