Prologue

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Odiava quella cella, ne odiava ogni angolo.

La muffa sul soffitto fradicio, i letti cigolanti e duri che ogni mattina la facevano svegliare col mal di schiena e dolori lancinanti al collo.

La puzza di marcio che avevano imbrattato anche gli stracci che portava addosso. I suoi capelli scuri erano un ammasso di sporcizia appiccicosa, le punte sembravano coltelli affilati che graffiavano le sue spalle magre.

I pavimenti scuri, e quelle mura che avevano ascoltato le grida e le urla di lei. Quelle urla che risuonavano in ogni minuti nella sua testa, facendola impazzire, quell'odio che aveva sputato contro quelle persone che l'avevano rinchiusa lì dentro.

Quella cella sembrava prendersi gioco di lei, sembrava riderle in faccia, schernirla, cercando di farla sentire la feccia dell'umanità, ma lei non mollava, sapeva che un giorno sarebbe uscita di lì. Sapeva che quando quel giorno sarebbe arrivato si sentirà parlare della sua vendetta in tutto lo Stato e in tutto il mondo. L'avrebbe fatta pagare a chiunque si fosse messo sulla sua strada, perché ora nessuno poteva fermarla. L'odio dentro di lei era troppo grande e questa volta avrebbe vinto ad ogni costo.

Quindi si alzò con fatica, col il viso che si contorceva dal dolore alle ossa. Spense la sigaretta sul muro e la buttò a terra, tese le mani per prendere una scatoletta sopra un mobile di legno vecchio e rovinato. Lei era sicura che se gli avesse dato un calcio con il minimo della sua forza sarebbe caduto in mille pezzi. Aprì la scatola bloccandosi un attimo davanti alla foto che era all'interno.

La prese avvicinandola al viso. Vide i lineamenti dell'uomo rotondi che incorniciavano il suo viso, gli occhi scuri che una volta la guardarono con amore, il naso leggermente a punta e quelle labbra fine che aveva baciato migliaia di volte. Sentì gli occhi farsi lucidi e l'odio scorrerle sempre più velocemente nelle sue vene fino ad arrivare alla sua bocca e sputarlo sulla foto con tutta la disperazione che aveva provato in questi 5 lunghi anni.

"Ti troverò, Desmond. Ti troverò e l'ultima cosa che vedrai saranno i miei occhi che bruceranno di odio per te" sussurrò "E poi sarà il turno di tuo figlio" rise di una cattiveria profonda maturata negli anni.

"Hai detto qualcosa?" disse il suo compagno di cella. Lei si girò lentamente, fissandolo negli occhi, irritata dal fatto che avesse interrotto i suoi pensieri.

"Sta zitto, Robin, non vedi che sto elaborando la mia vendetta?" sbraitò posanto la foto nel contenitore per prendere il gesso ormai quasi del tutto consumato. "Piuttosto fatti venire qualche idea per quando usciremo. Non mi metterò certo a vagare come una barbona per strada senza una casa, né una macchina, stanne certo. Il mio piano deve iniziare immediatamente, non voglio perdite di tempo!" continuò. Si avvicinò al muro tracciando una linea obbligua sull'ultima settimana della sua prigionia e un nuovo sorriso trionfante si allargò sul suo viso sporco.

"Sta tranquilla già ho informato il mio gruppo. Devi fidarti di me già te l'ho detto." disse Robin guardando le sue dita tracciare l'ultimo segno su quel muro logoro. "Sono le nostre ultime ore qui dentro, tesoro, vedrai che il tuo piano funzionerà alla grande". sorrise.

"Non chiamarmi tesoro. Mi fiderò di te solo quando vedrò i primi atti compiuti della mia tragedia" disse continuando a guardare le linee tracciate dalla sua stessa mano, felice che quello fosse il suo ultimo giorno di carcere.

Robin fece per rispondere ma dei passi sul corridoio li fecero alzare speranzosi che fosse il loro turno. Si guardarono negli occhi brucianti di odio e una voce ferma e risoluta si rivolse a loro.

"Anne Cox e Robin Twist prendere i vostri effetti personali e seguitemi".

I due non se lo fecero ripetere una seconda volta. Preserò le poche cose che gli prmettevano di tenere in cella e uscirono più svelti che mai da quel lurido posto. Il poliziotto alto e robusto chiuse la cella a chiave per poi fare cenno di seguirlo. Anne si girò per un secondo a guardare la cella nella quale era stata per un periodo per lei infinito. Sorrise e si incamminò dietro Robin e il poliziotto guardando tutti i prigionieri sbucare tra le sbarre guardandoli invidiosi della loro libertà. La donna rise vittoriosa e alzo i diti medi a i suoi compagni di carcere.

Dopo il lungo corridoio scesero una rampa di scale ritrovandosi davanti ad una porta. "Il Generale vuole vedervi". informò l'agente davanti a loro. Robin non si fece attendere e aprì la porta con passo sicuro.

"Signor Robin Twist lei è a conoscenza del fatto che si bussa prima di entrare nell'aula del Generale no?" schernì l'uomo. Anne scrutò con attenzione il generale, aveva i capelli brizzolati segno che era un uomo di circa 50 anni. I suoi lineamenti duri rispecchiavano la sua severità e rispetto della divisa che aveva indosso. "Ma per vosta fortuna aspettavo solo voi, prego sedetevi e richiudete la porta".

Anne si fiondò sulla sedia sotto lo sguardo severo del generale mentre Robin eseguì gli ordini per poi sedersi vicino alla sua compagna.

"Sicuramente immaginere il perché siete qui no?" chiese il generale.

Anne prese la parola: "Già, probabile... ma sarebbe molto toccante per noi sentircelo dire, se non le crea disturbo signor Generale, ovviamente" disse sarcastica mettendosi una mano sul petto.

L'uomo la guardò freddamente "Niente giochetti con me Anne, forse non si rende conto con chi sta parlando. Con uno schiocco di dita potrei rimandarla in quello schifo di cella per altri 5 anni e lei non vuole questo vero?" rispose imitando i gesti di lei di pochi secondi fa, facendola irritare ancora di più. Ma la donna rimase in silenzio annuendo, con gli occhi che lo bruciavano vivo. "Benissimo. Comunque vi spiegherò il motivo per il quale siete qui. È sempre meglio essere chiari con tipi come voi" fece una breve pausa poi ricominciò "Come sapete, avreste dovuto ottenere la libertà stasera, ma in questo preciso momento stanno arrivando altri detenuti e mi servono celle libere a disposizone. Sicuramente non vi dispiacerà lasciarci qualche ora prima, giusto?

"Giustissimo" rispose Robin.

"Non avevo dubbi" prese dei fogli di carta con due penne. "Firmate".

"Cos'é?" chiese riluttante Anne.

Il generale la guardò stupito. "È la vostra libertà, Anne. Non è contenta?"

"Lei non si immagina quanto" prese alla svelta la penna e firmò il foglio senza leggerlo in simbiosi con Robin.

"Bene. Ora smammate, non voglio rivedere mai più le vostre brutte facce, intesi? Sarete scortati all'uscità" sentenziò il generale.

I due uscirono dalla stanza, facendosi scortare verso l'uscita dall'agente venuto a richiamarli qualche minuto fa dalla cella. Robin ed Anne si guardarono e la donna pensò:

Tremate perché sto arrivando.

Imperial College||Larry Stylinson [RISCRITTURA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora