28 Giugno

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Chi sa che cosa penserai di me, di una monaca che geme, che si lamenta, che ti scrive clandestinamente? Quando scendo ad esaminare me stessa, mi trovo così colpevole, così abbietta che non so comprendere come tu mi lasci ancora la carità della tua amicizia... Il mio peccato è mostruoso, è vero ma sento che nella mia sventura c'è qualche cosa ch'è più colpevole di me stessa... e Dio mi perdonerà per questa ragione.

Ci son dei momenti in cui, se non ti scrivessi, tutto quello che soffro dentro di me griderebbe ad alte strida da tutti i miei pori...

Lo sai, Marianna? lo sai?... quella tentazione mi possiede ancora! quel serpe l'ho sempre qui, fitto nel cuore! Quando ti parlo di cose indifferenti e cerco dissimularlo a te e a me stessa, allora mi morde più aspramente, mi lacera coi suoi denti avvelenati. Ho paura di esser dannata; mi dibatto
contro il Demonio, ed esso mi avvinghia più tenacemente... mi possiede! comprendi?... mi possiede! Ora che la malattia mi ha indebolito, io non ho più la forza di lottare. Non vorrei morire perché ho paura dell'inferno... perché amo il mio peccato!...

Oh! perdonami, sorella mia!... anch'io inorridisco di quello che scrivo, di quello che penso... Non so più pregare Iddio perché non oso più levare la fronte verso di Lui!...

Dio mio! che ho fatto? che ho fatto io mai?...

L'amo sempre! l'amo più di prima! l'amo sino alla pazzia... e son monaca!... ed egli è sposo!...

sposo di mia sorella! è orribile! è mostruoso!... son perduta, sono maledetta!... Ma che colpa ci ho io?... Come ho potuto meritarmi un castigo sì duro? Ora che son rinchiusa vivente nella tomba quest'amore si è fatto un delirio, una collera, una rabbia!... Non mi ricordo più di quei momenti di paradiso, non provo più quelle trepide gioie... Ho sempre qui nella mente, nel cuore, dinanzi agli occhi, una figura spaventosa che mi fa ardere d'angoscia e di passione...

Sento una voce che viene d'oltre tomba, che mi chiama... Ascolta... Maria!... Maria!... il nome con cui mi chiamavano al mondo... Adesso Maria è morta... e trema tutta, e il sudore si agghiaccia pel terrore delle sue membra, perché sente la mano del demone che l'afferra pei capelli e la trascina nell'abisso...

Vedere tutte codeste vergini sì pure, sì innocenti, inginocchiarsi, pregare, e sentirsi la sola colpevole fra di loro! e dover dissimulare il rimorso allorché punge più acuto! e le più confortanti pratiche religiose esser divenute un altro peccato per la povera donna perduta!... ed esser costretta ad ingannare Iddio!... Oh!..

Tutte le domeniche vado al confessionale, m'inginocchio!... ma, ahimè! non ho la forza di confessare quella colpa mostruosa... Invento anche dei peccati che non ho mai commesso come per farne un compenso con quello che non oso mai dire, che mi nascondo gelosamente nel cuore come una lupa nasconde i suoi figli nell'antro!

Marianna! mi pare di esser pazza... Vorrei strapparmi i capelli; vorrei lacerarmi il petto colle unghie; vorrei urlare come una belva, e scuotere codeste grate di ferro che imprigionano il mio corpo, torturano il mio spirito, e che irritano la mia sensibilità nervosa...

Se diventassi pazza davvero? Ho paura!... ho paura!... Un brivido mi ricerca tutte le fibre; il sangue mi si agghiaccia nelle vene.

Ho paura di quella povera suor Agata ch'è rinchiusa da quindici anni nella cella dei matti. Ti rammenti quel volto scarno, pallido e spaventoso? quegli occhi stupidi e feroci, quelle mani ossee dalle unghie lunghe, quelle braccia nude, quei capelli canuti? Essa si aggira senza tregua nel breve
spazio della sua stanzuccia, abbranca le sbarre di ferro e si affaccia alla grata come una bestia feroce, seminuda, urlando, ringhiando!... Ti rammenti anche della paurosa tradizione del convento che
quella cella non debba rimanere vuota, e che alla morte di una povera matta siavi sempre qualche altra disgraziata da rinchiudervi? Marianna! ho paura che io debba succedere a suor Agata quando
Dio le farà la carità di chiamarla a sé.

Ho la febbre. Io morrò giovine. Oh, Dio non mi punirà a quel segno!... Ho paura, ho paura di quei capelli canuti, di quegli occhi, di quel pallore, di quel ghigno, di quelle mani che si avvinghiano alle spranghe della grata... Se diventassi così anch'io!... Oh! no! no!

È notte; tutto è silenzio; la finestra è aperta. Ho udito un bottegaio che litigava colla moglie, e infine l'ha battuta!... felice! felice lei! Sulla strada si odono i passi di qualcuno in ritardo; quell'uno avrà una casa, dei parenti, degli oggetti cari!... Perché penso a queste cose che mi fanno piangere?

perché son malaticcia, perché ho la testa debole, perché sono colpevole... Oh la colpa! non ci pensavo più!

Ora senti com'è spaventoso il mio peccato: come si riproduce sotto tutte le forme. Domenica era in coro ad ascoltare la messa; mi sentivo in seno una calma, una pace, una serenità!... mi pareva che alfine Iddio avesse compassione di me e mi perdonasse; pregavo e tenevo gli occhi fissi su di un uomo che stava laggiù in chiesa appoggiato ad una colonna: aveva la sua statura, i suoi capelli neri... aveva certi atteggiamenti che somigliavano a quelli di lui.

Avrei data la poca speranza di vita
che mi rimane per vederlo soltanto levar la testa verso il coro.

Lo guardavo... e delle volte mi sembrava che fosse lui senza dubbio... e allora il sangue incominciava a turbinarmi nella testa.

Finita la messa, egli si mosse per andarsene, ed io pregavo la Vergine che gli facesse levare gli occhi verso
la sua immagine ch'è presso al coro perché io potessi vederlo in viso; ma partì e non potei accertarmi che fosse lui.

Rimasi lì, come pietrificata, non so quanto tempo, cogli occhi fissi su quella colonna a cui forse si era appoggiato uno sconosciuto.

Storia di una capineraOù les histoires vivent. Découvrez maintenant