10 Novembre

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Mia cara Marianna, tu sei inquieta per me, per lo stato dell'anima mia; mi fai mille domande che
non comprendo, che m'imbarazzano, alle quali non saprei rispondere; mi chiedi mille spiegazioni
che non saprei dare a me stessa. Se tu fossi qui, se ci parlassimo all'orecchio, abbracciate, sotto gli
alberi, ove l'ombrìa è più densa, tu che sei già una signorina, tu che non anderai più in convento,
che conosci il mondo, tu forse sapresti trovarci il bandolo! tu forse sapresti rispondere alle mie domande, sciogliere i miei dubbi, e mi conforteresti, e mi tranquilleresti. Ma che posso dirti io?...

Le tue stesse interrogazioni m'inquietano, mi turbano... Perché mi domandi la ragione del non averti più parlato dei signori Valentini nelle mie ultime lettere che sono sì meste, mentre te ne parlavo tanto nelle mie prime ch'erano così allegre? Perché hai osservato che mentre il nome del signor
Nino è ricordato venti volte nelle mie prime, sembra poi evitato con molto studio nelle ultime?
Come l'hai osservato? Io stessa non me n'ero accorta... Dio mio! non saprei nemmeno dirtene il
perché! Ma tu hai ragione e mi hai fatto scorgere che anche adesso c'è voluto uno sforzo per scrivere quel nome... Ti sarai anche accorta che la mia mano ha tremato... E se mi vedessi in viso!

Marianna! Marianna mia!...

Ora ti scriverò tutto, vedi!... Ti metterò il mio cuore fra le mani; tu l'interrogherai, l'analizzerai
meglio di me, e come io non saprei... Tu mi dirai che cosa devo fare per vincere cotesta malattia
che mi travaglia, e per tornare ad essere gaia, spensierata e felice... Tu mi aprirai le braccia...

Non so quello che si agita dentro di me; ma dev'essere qualche cosa di male, perché io abbia esitato a confidartelo, perché io mi trovi, direi, come colpevole, perché io sia posseduta da una vergogna, da un'inquietudine, da un timore inesplicabile, come se avessi un secreto da nascondere a tutti, e che tutti tenessero gli occhi fissi su di me per scoprirlo.
Qual è cotesto secreto? Mio Dio! io stessa non saprei dirlo... Ti narrerò tutto! tutto! Se tu potrai
indovinarlo me lo additerai, ed io ti prometto di vincerlo, s'è un male od una tentazione; ti prometto
di esser buona, di pregar Dio perché mi dia forza e m'illumini, e mi aiuti...

Ho analizzato tutta me stessa per vedere dove sia questo male, da che provenga questo turbamento; ho passato in rassegna tutti i miei sentimenti, i miei pensieri, fin le mie occupazioni, le persone
con cui parlo, gli oggetti che veggo... Non trovai nulla, tranne che... Ma tu mi crederai matta, e riderai di me.

Ti ho scritto altre volte che noi ci siamo fatti intimissimi coi signori Valentini. Annetta è per me
un'altra Marianna... Ma tu mi hai fatto pensare che quel suo fratello mi fa un certo effetto... È vero:

direi quasi che mi fa paura...

No, non son cattiva, Marianna! Non mi condannare! È una stravaganza, una follia certamente.

M'avveggo che ho torto e cerco di vincere me stessa... perché colui è un buonissimo giovane, ed
anche pieno di attenzioni per me... Ma io non saprei spiegarti l'impressione che egli produce in
me... Non è antipatia, non è avversione... eppure lo temo... eppure ogni volta che lo incontro arrossisco, impallidisco, tremo, e vorrei fuggirmene.

Ma poi egli mi parla, lo ascolto, rimango a lui vicina... non so perché... mi pare che non potrei
staccarmene... e penso al Padre Anselmo, allorché ci parlava dal pulpito del fascino dello spirito del
male, ed ho paura...

Dio mio! Non ti dico già che sia lo stesso... È un paragone. Vorrei poterti spiegare l'effetto che egli mi fa...

Eppure egli è cortesissimo con tutti, ed anche con me... ed io non son cattiva, ti giuro!... Io gli son
grata delle sue delicate premure...

Uno degli scorsi giorni, dopo il famoso ballo, egli mi disse, in un momento in cui eravamo solo:

«Io vi ringrazio, signorina». «Di che?» «Di avermi fatto il favore di ballare con me. Se sapeste com'ero felice!» E diceva questo in certo modo che io mi sentiva tutta turbata. Dio mio! come sono
esagerati gli uomini nei loro complimenti!... Ma non so perché egli mi abbia detto questo sottovoce... e mi parve anche di accorgermi ch'egli abbia arrossito... e forse per questo anch'io mi feci rossa... e non seppi rispondergli nulla...

Vedi a qual delicatezza egli arriva per farmi piacere! Un'altra volta mi disse: «Come vi sta bene cotesta tonaca!». Mi ha detto questo!... La mia brutta tonaca nera!... Non saprei spiegartene la ragione... ma mi parve che ne provassi un gran piacere; arrossivo, balbettavo e non sapevo che farmi.

Tu mi dirai che son matta, e avrai ragione, perché non sono certamente le sue cortesie che possono sconvolgermi così tutta quanta.

Perché adunque allorché ascolto la sua voce mi confondo? Perché quando incontro il suo sguardo
fisso su di me mi sento a un tratto una vampa al viso e come un brivido al cuore?

Senti, Marianna; io credo di aver trovato la ragione di tutto questo. In convento ci hanno abituate
a farci tale idea degli uomini in generale e dei giovanotti in particolare, che non possiamo incontrarne uno senza sentirci tutte sossopra. Perché dunque Giuditta, mia sorella, che pure è più giovane
di me, non prova mai il menomo imbarazzo discorrendo con lui? Perché anzi scherza con lui, e ride, e gli parla a lungo con franchezza, senza arrossire, mentre se io dovessi fare altrettanto mi parrebbe di morire?... Nullameno... Dio mel perdoni... mi pare che per questa ragione talune volte io
provi per mia sorella un sentimento che somiglia all'invidia...

Oh! Dio mio! Chiamatemi a voi, nel vostro convento, fra la calma, il silenzio, il raccoglimento;

calmate la mia mente, rischiarate la mia ragione!

Storia di una capineraWhere stories live. Discover now