XVI - Sensi di colpa

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Dovetti chiamare a raccolta tutte le mie forze per non alzarmi dalla sedia e strangolare Hannah, nonostante fossi sicura della sua ingenua innocenza. Fu con uno sforzo non indifferente che mi costrinsi a sospirare con lentezza per tentare di mantenere la calma e dare una parvenza un po' più umana e meno demoniaca.

La guardai in quegli occhi così dolci e da bambina, immuni alle sofferenze che aveva dovuto patire durante la sua vita: le scivolava tutto addosso, non dava la giusta importanza agli avvenimenti negativi, come se volesse tentare di autoconvincersi che il destino non potesse più farle del male dopo averle strappato l'infanzia.

Mi sentii sempre più in colpa con il passare dei secondi. Avrei dovuto proteggerla in quanto sua migliore amica, avrei dovuto starle accanto in dei momenti come quelli, ma avevo preferito continuare a mentirle su tutto, perfino su me stessa, nel vano tentativo di tagliarla fuori per evitarle ulteriori sofferenze. Eppure stava riuscendo da sola nell'impresa.

"Hannah". Iniziai avvicinandomi al tavolo per evitare che qualcun altro potesse sentire la conversazione. "Dobbiamo parlare".

Non potevo lasciarla nei guai, non quando lei stessa rischiava la vita.

"Oh, no", sospirò lei alzando gli occhi al cielo. "Non mi è mai piaciuta questa frase".

Lasciai correre e mi portai la collana alle labbra, a cui sussurrai: "Vieni in camera mia".

Hannah spalancò gli occhi e mi guardò come se fossi impazzita. "Tu... tu hai appena parlato ad un ciondolo?".

Sorrisi e mi alzai dal tavolo aspettando che lei facesse lo stesso. "Te l'ho detto, dobbiamo parlare. Vieni".

Arrivammo in camera mia pochi minuti dopo e trovammo Alexander mentre giocherellava con una piuma. Si voltò verso di noi e, prima di sorriderci educatamente, aggrottò le sopracciglia in un evidente stato di confusione.

Hannah si portò una mano alla bocca dalla sorpresa e si fece uscire uno stridulissimo "E lui cosa ci fa qui?".

"Deve saperlo", dissi ad Alexander stringendomi nelle spalle. "Ha conosciuto mio cugino e credo che abbia bisogno di protezione, visto che comunque lui si è già dato da fare e le ha lasciato questa specie di herpes sul labbro". E glielo indicai.

"Tuo cugino?", ripeté Hannah, totalmente scioccata.

Alexander indugiò un momento a guardarmi con attenzione, come se volesse leggermi nel pensiero, e si fece spuntare le ali con un ulteriore sorriso.

***

A fine racconto non seppi dire chi tra i due avesse la faccia più buffa: Alexander, il quale continuava a cercare di trattenere le risate, o Hannah, la cui bocca ormai non dava più cenno di sapersi richiudere.

"Quindi voi due siete dei demoni e Leonardo è un angelo, fantastico", balbettò poco dopo senza smettere di fissare un punto imprecisato sul paravento. "E Lucius, ovvero tuo cugino Sebastian, ha intenzione di uccidervi a breve. Meraviglioso".

Annuii. "In sintesi, sì. Alexander, noi tra poco dovremmo essere a lezione, ti dispiace se rimandiamo la conversazione a dopo?".

Lui scrollò le spalle. "Non credo ci sia altro da sapere, le abbiamo detto tutto. In caso avessi bisogno di me, sai come trovarmi. E tu, piccola umana". Si rivolse ad Hannah con un sorriso rassicurante. "vedi di non cacciarti in ulteriori guai e cerca di riuscire a chiudere la bocca prima di entrare in classe. A dopo". Con un inchino ironicamente formale, uscì dalla stanza e si librò in cielo.

Tirai Hannah fuori dalla mia camera e la portai, quasi trascinandola, in classe: notai istantaneamente l'assenza di Leonardo e mi sedetti svogliata al mio posto, dando un'occhiata di tanto in tanto durante la lezione ad Hannah per assicurarmi che stesse bene.

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