Prologo

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Clarissa osservava a testa bassa l'uomo di fronte a sè, mordendosi forte il labbro inferiore. Muoveva freneticamente una gamba, era parecchio nervosa poichè aveva paura della sua reazione.

- Cosa hai detto? - parlò lui dopo qualche secondo che aveva usato per metabolizzare ciò che la ragazza gli aveva detto.

- Quello che hai capito. - rispose ferma lei, immobilizzata dalla paura.

L'uomo si alzò di scatto dalla sedia, scaraventando quest'ultima a terra e si sporse minaccioso verso di lei, sopra al tavolo che li separava. Al che, subito scattarono le due guardie che erano rimaste fino a quel momento ferme sulla porta. Una afferrò la ragazza per allontanarla dalla stanza, e l'altra cercò di bloccare l'uomo.

- Non provare a farlo, Clarissa, non ti conviene! - gridò lui tra le braccia della guardia. La ragazza stava sfuggendo dal suo controllo completamente. Nonostante fosse in prigione, fino a quel momento aveva comunque esercitato una certa influenza su di lei, e che questa sparisse, non lo accettava.

Lei per un attimo tentennò. Corrugò la fronte. - Ormai ho deciso. - ribadì guardandolo negli occhi.

- Ti troverò. - la avvertì. - Appena uscirò di qui puoi star certa che ti verrò a prendere con la forza, Clarissa. - continuò con le sue minacce.

Clarissa era davvero spaventata, visto che sapeva di cosa suo padre potesse essere capace, ma ormai aveva deciso. - Non sai dove me ne andrò. - osservò la ragazza, provocandolo.

- Ti dimentichi chi sono io. - ribattè lui.

- Venga, signorina Sanders. - la incoraggiò ad uscire la guardia.

La ragazza dovette sforzarsi immensamente per rimanere il più possibile impassibile e per seguirla fuori dalla stanza senza che le tremassero le gambe.
No, lei non aveva dimenticato chi fosse lui. Ma ugualmente non poteva più rimanere a New York.

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Matteo Darmian entrò per l'ultima volta nello spogliatoio del centro sportivo del Torino, sospirando. Si diresse verso la panchina su cui era scritto il suo nome e prese il suo borsone e le sue cose.

- Così vai via davvero? - sentì domandare alle sue spalle.

Si girò di scatto e scoprì che a parlare era stato Daniele Padelli.

L'altro tornò a guardare davanti a sè prima di rispondere. - Sì. - fece. Poi, sentendo che dall'altra parte arrivava solo silenzio, continuò. - E non credere che non mi dispiaccia. -

- Se davvero ti dispiacesse, rimarresti. - ribattè l'altro.

Matteo si rigirò nuovamente a guardarlo. - Ti ho già spiegato come stanno le cose. - affermò, leggermente scocciato.

- Lo so. - disse. - Hai ragione, scusami. - fece l'altro, pentito di averlo attaccato.

- Non importa. - lo tranquillizzò il terzino. - Tanto ci vediamo in Nazionale, no? - gli chiese poi.

- Se mi convocano... - rise l'altro.

I due si salutarono con un breve abbraccio e si diedero appuntamento al prima possibile.
Matteo passò a testa bassa tutto il tragitto fino all'esterno. Non voleva dirlo, ma nonostante tutto, quella cosa gli stava facendo più male di quanto facesse credere.

Life for rent - Matteo DarmianDove le storie prendono vita. Scoprilo ora