Stockholm Syndrome

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Con l'espressione Sindrome di Stoccolma si intende un particolare stato di dipendenza psicologica e/o affettiva che si manifesta in alcuni casi in vittime di episodi di violenza fisica, verbale o psicologica.

Se dovesse numerare i giorni passati in quella grotta, beh, probabilmente non ci riuscirebbe.
È passato troppo tempo da quando Naruto l'aveva trascinato di peso in quell'antro angusto, lasciandolo alla mercé di sé stesso e a fronteggiare il riflesso della sconfitta, il suo.
Anche il suo nome, in un certo senso, emanava l'olezzo della paura, della polvere e della morte, la puzza del campo di battaglia su cui si erano affrontati e lui aveva perso.

Ma se al tempo aveva pensato di aver toccato il fondo, beh, si sbagliava. Al biondo non era bastato vincere e poter decidere della sorte dell'Uchiha, oh no, si era addirittura premurato di rinchiuderlo il quel posto dimenticato da tutti, dove l'unico a sapere di lui, a ricordarsi di un certo Sasuke legato e bloccato tra quelle montagne -in uno di quei vecchi rifugi ormai cancellati addirittura dalle mappe- era Naruto.

Naruto Uzumaki, il nuovo hokage.
Naruto Uzumaki, l'eroe della Foglia.
Naruto Uzumaki, colui che da due mesi a questa parte faceva -l'amore?- sesso con un ninja ricercato, Sasuke Uchiha.

La prima notte che avevano passato insieme era stata un errore.
Così l'aveva chiamata il biondo: errore; come se questa fosse stata una dimenticanza, una coincidenza.

Naruto era caduto e gli era scivolato dentro.

Come se  le parole di Sasuke non avesse sortito in lui un effetto devastante, alla stregua della benzina sul fuoco.

« Mi hai sconfitto. Adesso cosa farai? Mi porterai a Konoha come un trofeo di caccia? »

La vista di Naruto si era appannata e i pugni si erano serrati, prima chiusi e tanto stretti da incidersi con le unghie i palmi e poi sul braccio pallido del moro, stringendogli la pelle in una morsa.
La bocca, i cui lineamenti erano stati irrigiditi dalla rabbia, si era abbattuta su quella dell'altro in uno scontro fugace e violento, che aveva definitivamente cancellato il ghigno dalle labbra sottili del più pallido.
Quel gesto, infatti, aveva macchiato di un rosso brillante il viso dell'Uchiha che, ancora sorpreso, era ammutolito.
D'altra parte, Naruto, non aveva ripreso la sua solita loquacità ma piuttosto si era rinchiuso in un silenzio dettato dall'imbarazzo, cercando di capire se quell'effusione era dovuta all'atteggiamento del moro o a qualche desiderio recondito.
Ma si era preso poco tempo per pensare -rassicurato più dall'apparente mutismo di Sasuke che dalle corde che lo tenevano fermo- preoccupandosi di tornare ad unire le loro labbra in un contatto decisamente più morbido e profondo a cui il moro, sorprendentemente, aveva risposto.
Si erano baciati.
Si erano baciati senza nessuna condizione particolare, senza nessun incidente a forzarli.
Le labbra di Naruto si erano premute contro quelle di Sasuke e questi in risposta le aveva socchiuse, permettendo alla lingua dell'altro di sondargli la bocca.
Ed erano ancora intenti a baciarsi, a scoprire -no, a ricordarsi- il sapore altrui quando le mani del biondo raggiunsero la pelle liscia e pallida dell'Uchiha, senza premurarsi di chiedere un permesso totalmente inutile all'altro dagli occhi già appannati e socchiusi, accaldato dai tocchi con cui il biondo aveva raggiunto l'epidermide chiara del petto e del collo, già spogliato della parte superiore del kimono.
Ma la bocca famelica non si era fermata alla pelle tesa sullo sterno, piuttosto era risalita per ricoprire il collo altrui di baci umidi e morsi che l'avrebbero arrossato, di marchi evidenti che rendessero palese ciò che stava avvenendo tra loro due. La lingua rossa aveva tracciato un percorso infuocato a cui il moro reagì con un sospiro spezzato e un movimento impercettibile che aveva permesso lo strusciarsi delle erezioni che aveva minato la sicurezza delle gambe affusolate.
E sarebbe finito quasi per terra se Naruto con la sua presa sicura non fosse stato così veloce a prenderlo e a spingerlo contro la parete, a tenerlo premuto contro la pietra con il suo corpo.
La sensazione di pesantezza sul petto allora fece scattare il capo dell'Uchiha all'indietro, lontano dal viso baciato dal sole, in cerca dell'ossigeno che quell'urto parziale -e la mano del biondo sul suo cavallo dei pantaloni - gli aveva portato via.
La mano bronzea stava ferma, statica con il suo calore bruciante, posata nel punto in cui poco tempo dopo il moro sentì l'intimità dolorosamente trattenuta dal tessuto opprimente dei boxer e dei vestiti.
E fu proprio in quel momento un barlume di lucidità ricordò a Sasuke i svariati motivi per cui tutto quello che stava avvenendo era sbagliato.

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