- Spero solo che domani abbiano il tempo di incontrarci di nuovo, o questo affare si prolungherà chissà per quanto – sento parlare la mia vittima rivolto ad uno dei commensali, probabilmente un suo amico; dal tralcio di conversazione che odo comprendo che questa fosse una cena d'affari. Oddio!

- Mi scusi?

Le spalle dell'uomo si irrigidiscono, ma non si volta a guardarmi come invece, differentemente, fa l'amico che mi rivolge un sorriso dispiaciuto e divertito. Almeno qualcuno si è fatto una grassa risata da tutto questo, bene!

- Senta, non ho parole per esprimerle il mio dispiacere. Sono vergognosamente affranta per l'accaduto. – Continua a darmi le spalle e il sorriso dell'amico si smorza un po': forse si sta rendendo conto che io non mi sono divertita molto. La sua rigidità e il suo silenzio mi mettono ancora più in agitazione, non so che fare. Ma perché poi non si gira? – Senta ... - rovisto nella borsa alla ricerca del mio portafogli e da uno dei taschini interni ne estraggo un mio biglietto da visita, - ... lo so che non è niente quanto le sto offrendo, soprattutto misurato alla figuraccia che le ho fatto fare, al tempo che le ho fatto perdere e alla cena non consumata, ma mi permetta almeno di ripagarle il danno agli abiti. Qui c'è il mio recapito telefonico, mi chiami quando avrà il conto dalla lavanderia. – Continua a non muoversi cosi allungo il braccio e gli posiziono il biglietto davanti, sul tavolo. - Vorrei provare a porre riparo al mio sbaglio anche se so che non è niente in confronto all'accaduto.

A queste parole mi lancia uno sguardo di ghiaccio oltre la sua spalla. – Sì, non è niente.

Non aggiunge altro e io, sempre più in preda alla nausea e alla vergogna, mi volto e mi appresto ad attraversare questo campo di guerra. Alla cassa scorgo uno scrigno di legno con su inciso " Mance ". Prima di uscire rifilo una banconota da cinquanta nella cassetta ed esco.

Scuoto ancora una volta la testa e, per la millesima volta, mi sento le guancie in fiamme per la vergogna che ho provato. Mi sento male e vorrei decisamente seppellirmi da qualche parte e non uscire mai più.

Il cellulare suona di nuovo, ma stavolta è il trillo dei messaggi. Lo afferro e scorro il pollice sullo schermo per sbloccarlo, e leggo. Noto con sollievo che non è da parte di quelle due traditrici bensì dall'amore del mio cuginetto, Gabe.

Fin dall'età di sei anni ho amato la boutique di abiti da sposa di mia zia Clare. Sorella inseparabile di mia madre, mia zia Clare è stata la musa della mia vocazione: dare l'opportunità alle future spose di trovare il loro abito principesco o comunque dei loro sogni. Lei era gentile, dolce e sempre pronta a elargire buone parole e buoni consigli. Era passionale, e se voleva abbracciarti, anche in mezzo alla strada o ad una stanza piena di persone, lei lo faceva, ti tirava per un braccio e ti stritolava tra le sue. Donava sempre carezze, e quando ero piccola degli squisiti cioccolatini al cioccolato fondente. E' anche a lei che dovevo il merito delle mie curve esageratamente prosperose in gioventù, non faceva altro che rimpinzarmi continuamente. Amavo stare con lei e trascorrere i pomeriggi alla boutique e, ovviamente, è stato breve il passo che mi separava dall'amare Gabe. Zia Clare, purtroppo, dopo Gabe, avendo perso il marito per un infarto di cuore dopo pochi anni di nascita dal mio adorato cugino, e non essendosi mai più risposata, non ha più avuto altri figli. Essendo quindi Gabe figlio unico è sempre stato felicissimo di passare il tempo con me e mia sorella Mina, almeno finché non le sono spuntate le tette e la preferenza della compagnia maschile alla nostra, di conseguenza il nostro rapporto è sempre stato come quello di due fratelli. Siamo quindi cresciuti insieme, abbiamo trascorso i pomeriggi di inverno in compagnia di sua madre tra gli abiti da sposa e quelli d'estate ai parchi vicino casa nostra. Siamo sempre stati legati e, anche se alla fine ci siamo divisi prendendo due strade diverse, il nostro legame non è mai cambiato né tantomeno mai spezzato. Anche se, sia io che sua madre, pensavamo che alla fine anche lui si sarebbe unito a noi nel lavoro alla boutique, alla fine invece scelse di tentare la carriera del modello quando gli venne offerto un incarico alla giovane età di diciassette anni. Da allora non ha mai più smesso e qualche volta mi capita anche di vederlo sbucare in qualche pubblicità alla tivù, o in una parte in qualche film del cinema.

Christmas LightsWhere stories live. Discover now