1. Welcome to hell Lydia.

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Mentirei se dicessi di non essermi mai posta domande come 'E se la vita fosse tutto un sogno e la morte il risveglio?'. Ma mai, e dico mai, mi sarei immaginata tutto ciò.

Furmulai questa domanda la sera prima del mio "Risveglio".
Ero stesa sul letto in pigiama, in camera mia. Nell'aria si percepiva una forte umidità, mentre delle piccole gocce di pioggia picchiettavano sulla finestra. Mi guardai un attimo intorno, esaminando la mia stanza. Avevo una piccola scrivania, completa di specchio, per truccarmi. Il parquet scuro faceva contrasto con l'enorme mobile bianco pieno di vestiti. Sulla mia destra c'era una grande scrivania dove svolgevo I miei compiti per la scuola. La stanza era arredata da diversi oggetti e per lo più prevalevano il bianco e il rosa.

Una cascata di capelli rossi pizzicavano il foglio su cui stavo disegnando. In quel momento ebbi voglia di rappresentare una semplice quercia con una matita. Disegnare mi rilassava e mi aiutatava a riflettere. Ad un tratto si aprì la porta e alzai lo sguardo. Sull'uscio della porta c'erano i miei genitori. Mia madre aveva i miei stessi capelli rossi e gli stessi occhi verdi. Mio padre, invece, aveva i capelli e gli occhi neri.

«Lydia, noi andiamo a dormire» disse mia madre; ma, invece di richiudere la porta, si avvicinò
«Cosa stai disegnando?» mi chiese.

«Niente di che... È una semplice quercia»

«Semplice ma bella» sorrise, mostrando gli occhi brillanti.

«Buonanotte» disse, voltandosi. Mio padre mormorò lo stesso, prima di chiudere la porta.

Disegnai ancora per poco, ma ero stanca e misi tutto a posto. Spensi la luce e, poggiando la testa sul cuscino chiusi gli occhi. Prima di cadere nel sonno, pensai ai miei genitori. A volte erano un po' severi, ma solo perché mi volevano davvero bene. E io cercavo di ricambiare il loro affetto. Mi addormentai severamente inconsapevole del fatto che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrei visto il volto dei miei genitori. Quella era l'ultima volta in cui avrei respirato.

***

I miei occhi si aprirono lentamente, la testa mi girava e un sapore metallico di diffondeva nella mia bocca. Quando riuscì a focalizzare bene quello che mi circondava, mi accorsi che non mi trovo più nella mia accogliente camera.

Ero stesa su un lettino bianco in una stanza dalle parte del medesimo colore, dei fili erano collegati in malo modo alla mia testa e un ago penetrava nel mio braccio.
Avevo la pelle pallida e le mani fredde, come se fossi stata in un congelatore.

La stanza era come se fosse fatta da pannelli luminosi, che mi impedivano di aprire del tutto gli occhi. Vedevo solo bianco e luce, nient'altro.
All'improvviso, però, la mia visuale fu occupata da un paio di occhi piccoli e rossi che risaltavano sul volto pallido. Era un uomo, più o meno sulla trentina. Aveva una folta barba e i capelli corti e castani. Sul camice bianco era attaccato un cartellino sul quale era segnato probabilmente il suo nome, accanto ad una piccola foto.

«Finalmente sei sveglia» disse con voce roca «Britney dalle dei vestiti e portala dagli altri» urlò.

Una giovane donna comparve accanto a quello che sembrava un dottore, con un grande asciugamano tra le mani.

Era come se mi fossi addormentata e risvegliata subito dopo, saltando la parte in cui la donna entrava nella stanza. Forse era così.

Anche ella era sulla trentina, forse un po' più giovane. Aveva i capelli corti, di un improponibile rosa, che incorniciavano il viso sottile. Aveva un paio di occhiali semplici, appoggiati sul naso leggermente adunco. L'uomo mi tolse i vari tubicini e l'ago nel braccio, ma non sentii quasi niente.

Die to start living » d.o'Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora