32. I ragionamenti paralleli

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(Dal cap. precedente)
Elle continuò, con la voce fluida e gli occhi di ghiaccio «Le cose che tu sai non "devono" cambiare. È così tremendamente ovvio che non debbano farlo. Veramente pensi che io abbia continuato ad agire considerando le cose che mi dicevi solo come un aiuto, senza calcolare questo? Veramente credi che le tue informazioni mi stiano servendo solo a risolvere prima il caso? Emma, ho deciso di comportarmi in un certo modo fin dal primo indizio che mi hai concesso apertamente. Ho deciso di comportarmi così perché mi era chiaro fin dal primo istante che tu conoscevi alcuni eventi. Poi ho potuto appurare che tutto ciò che dicevi era vero. Se io cambiassi gli eventi tu non sapresti più nulla. Il mio vantaggio sarebbe finito. E tu non mi serviresti proprio più a nulla.»
Era verissimo.
Elle aveva ragione, come sempre.
Lei non gli sarebbe servita proprio a niente.
Emma ingoiò.

Ma non lo fece per il gelo e l'insensibilità opportunista con cui Elle aveva condito quell'ultima frase.

Quel ghiaccio, stranamente, non la raggiunse.

O perlomeno non la raggiunse apertamente. Se nell'intimo di quella giovane ragazza qualcosa si mosse, in seguito a quell'ultima affermazione tremendamente cinica ed insensibile, lei non lo seppe e forse non lo avrebbe mai saputo. Forse c'era una corazza spessa che ormai la proteggeva dagli "attacchi" di quel giovane duro e diretto.

O forse quella corazza non esisteva e non aveva motivo di esistere.

Forse semplicemente furono l'indole di Emma e la sua esperienza a farsi avanti. Fu viva la parte più profonda del suo essere, quella che le aveva permesso di avvicinare il grande Elle, di arrivare fin lì. La sua sensibilità inconscia e forte, sicura e prorompente nonostante tutte le insicurezze, aveva imparato a prevedere, a conoscere. Aveva imparato ad andare oltre, ad accogliere il detective ed il suo gelo con fermezza. Sì, con fermezza e con quel qualcosa che iniziava a somigliare all'abitudine.

Perché Emma, forse, adesso, dentro di sé sentiva e sapeva che il gelo di Elle non significava disprezzo, non significava mancanza di stima, di considerazione, di complicità.

Forse Emma non rimase ferita perché adesso, veramente, "conosceva" Elle o perlomeno "conosceva" una parte di lui.

Perché adesso, istintivamente, riusciva a sfiorare veramente qualcosa, oltre quelle spalle curve, lo faceva spontaneamente, percependo l'essere umano reale che si nascondeva dietro quel giovane uomo unico. E lo faceva senza più l'aiuto delle pagine in bianco e nero di un manga di successo, di un fumetto custodito gelosamente sugli scaffali polverosi di una stanza perduta in un mondo dimenticato e smarrito chissà dove.

***

Vi chiedete perché, da qualche tempo, non vi riporto direttamente e pedissequamente i pensieri e i ragionamenti di Emma sulla "persona" Elle e sui suoi modi poco comuni e taglienti?

Perché su quel punto non ci sono elucubrazioni.

Perché, per l'appunto, Emma agisce per istinto, per conoscenza vera e diretta. E sull'istinto e la "familiarità", spesso, c'è veramente poco da dire.

***

E il gelo che la colpì, infatti, derivò da altro.

Derivò proprio da quelle pagine quasi dimenticate in cui c'era un Elle di carta, disegnato, limitato e destinato irrimediabilmente a morire.

Derivò proprio da quell'istinto che le permetteva di vivere lì con lui, ma che nello stesso tempo le velava lo sguardo e le oscurava ciò che invece era stata sempre in grado di prevedere.

Come poteva Emma aver solo lontanamente pensato che "proprio" lui potesse commettere un errore così grande?

Come?

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