Capitolo 31/ Mya

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Cammino a passo deciso lungo il corridoio illuminato da vecchie lampadine del rifugio di Kaleb e della sua gang. Ad ogni passo, il rumore prodotto dalla suola dei miei scarponi neri contro il pavimento rimbomba e mi pare di essere un elefante in una cristalleria anche se, i questo momento, vorrei essere agile e silenziosa come un ninja per poter sgusciare via da questa vecchia topaia e prendere una boccata d'aria.

Mi sento una persona cattiva, ignobile, insensibile e forse è ciò che sono dato che ho passato la notte tra le braccia (o meglio, le grinfie) di Kaleb. Ho lasciato che facesse di me tutto quello che desiderava ingannando, così, il suo corpo e la sua anima. Ho mentito per l'ennesima volta, ho riconfermato la mia reputazione di bugiarda incallita facendogli credere di essere sua. Gli ho detto di amarlo, gli ho detto che non so stare senza di lui e ci ha creduto. Forse continua ad amarmi o forse non mi ha mai amata. Non lo so. Fatto sta che ormai non posso più tirarmi indietro.

D'altra parte, dopo quella notte tutti sono venuti a conoscenza dell'accaduto e sono automaticamente diventata "la ragazza del capo". Qui dentro le notizie girano più volocemente che in uno di quei licei americani da telefim. Ora, però, posso fare più o meno quello che voglio, nessuno può darmi ordini a parte Kaleb. Al suo controllo non può sfuggire nessuno. L'idea di riavermi con sè lo fa impazzire, lo vedo nei suoi occhi: appena mi vede, il suo sguardo s'illumina. So per certo di essere il suo gioccatolino preferito, e se da una parte mi fa comodo, dall'altra parte il solo pensiero mi terrorizza. Ora che mi ha riottenuta non mi lascerà più andare tanto facilmente.

Smetto di fissarmi la punta delle scarpe e alzo la testa, finalmente uscita dall'edificio. E' una giornata nuvolosa e fresca, in contrasto con le ultime schiarite e i primi caldi. Respiro profondamente sentendo l'odore di pioggia che precipiterà nel giro di qualche ora, quindi mi tiro fin sopra la testa il cappuccio della felpa nera che indosso. Oggi, in vista di ciò che andrò a fare, ho optato per un look decisamente sobrio: degli scarponcini, dei jeans grigi e una felpona nera. Non devo dare nell'occhio come al mio solito.

Imbocco la strada principale che porta al centro della città e mi accendo una sigaretta. Ho notato che negli ultimi tempi fumo tanto, troppo. Fumo molto di più rispetto a quanto non facessi mentre passavo le giornate assieme ad Edie. Mi manca terribilmente, ogni giorno di più. Spesso riguardo le foto che ci siamo fatte insieme quest'inverno. Le guardo in continuazione. Giusto per assicurarmi di non essermi inventata tutto. Fa male vedere ciò che hai perduto. Credo di aver ripreso a fumare così tanto perchè autodistruggermi è una delle cose che mi vengono meglio. Potrei ottenere il Nobel per l'autodistruzione se solo esistesse e, di certo, non ne vado fiera. Sono curiosa di vedere quanto tempo passerà ancora prima che smetta di mangiare. Ma quasta volta non sono sicura di avere la forza di combattere. Sono stanca e incasinata.

Continuo a camminare tranquillamente mentre lancio un'occhiata rapida all'orologio che tengo al polso sinistro.

12:30

Bene, mancano ancora cinque minuti. Posso pure prendermela con calma.

Arrivo a destinazione e rimango ferma, in piedi, sotto ad un albero che mostra le prime gemme. Qualche ciocca turchese cerca di uscire dal capuccio, ma la rimetto prontamente al suo posto. Eh no, oggi non posso dare spettacolo di me, anzi, devo confondermi tra la folla.

Mentre aspetto che gli ultimi minuti rimanenti passano, guardo dritta davanti a me ed osservo il grande cancello in ferro battuto che delimita l'area del liceo che mi si trova di fronte, ma non devo attendere molto perchè, dopo pochi secondi, sento il suono della campanella che segna il termine delle lezioni e una marea di studenti si riversa fuori dall'edificio scolastico.

Decine e decine di ragazzi e ragazze con gli zaini in spalla riempie la strada e mi sembra impossibile portare a termine la mia missione. Ma, ad un tratto, eccola là in mezzo ad un gruppetto di ragazze dai capelli piastrati e dal trucco pesante, la mia Edie così naturale, così diversa da tutte le altre.
Sta sorridendo, probabilmente a causa di una battuta fatta dalla compagna che le sta a fianco, e il vento le scompiglia i lunghi capelli scuri tanto che mi sembra di poter sentire il suo profumo fin da quaggiù: un misto di zenzero e cannella. Non lo scorderò mai.

Rimango imbambolata a fissare quel sorriso e quegli occhi di cui mi sono innamorata perchè nascondono dietro di sè l'animo dell'unica persona per cui darei la vita. Mi manca poterla abbracciare, mi manca poter nascondere il viso tra i suoi capelli soffici, mi manca ricoprirla di baci e farla sentire al sicuro.

Sembra contenta e questo mi fa sentire leggermente meglio perchè la amo e se lei è felice, allora lo sono anch'io. Ma vedendo tutta quella gioia non posso fare a meno di chiedermi se io non le manchi neanche un po'. So di essere egoista ma sarei onorata se mi dedicasse anche solo pochi istanti pensando a me.

Forse è meglio cosi. E' meglio che sia io a soffrire. Lei non se lo merita invece io ho una valanga di colpe da scontare.

Ad un tratto, Edie volta la testa verso la mia direzione facendomi perdere un battito. Spengo la sigaretta che ho tenuto fra le labbra fino ad ora schiacciandola col piede e inizio a camminare dalla parte opposta rispetto alla scuola. All'inizio cammino velocemente, ma amano a mano che mi allontano, il passo si fa più veloce fino a che non mi ritrovo a correre senza una meta.

Sento le prime gocce di pioggia che mi bagnano il viso ma le ignoro e continuo per la mia strada. La gente sui marciapiedi mi guarda attonita. Ok, lo so, lo so, sembro una pazza, ma non è questo che sono? Non è per questo che mi sono messa nei casini fin da quando ho memoria? Non è forse per questo che ho dovuto lasciare tutto ciò che avevo di buono?

Svolto verso un vicolo deserto e mi appoggio alla parete dell'edificio che mi sta accanto. Riprendo fiato.

Inspira, espira.

Inspira, espira.

Inspira, espira.

Scivolo fino a sedermi sul cemento duro ed umido. Qualche lacrima inizia a scendere mescolandosi con le gocce di pioggia.

E' stato un errore andare fino all'uscita della scuola per vederla. So che dovrei smettere di pensare a lei, ai suoi capelli, ai suoi occhi, alla sua pelle, al suo sorriso, alla sua risata, alla sua voce e so che non dovrei stare a piangere accasciata contro un muro sotto la pioggia, ma non posso farci niente. Edie è come una canzone che non riesci a toglierti dalla testa e forse che non voglio togliermi dalla testa.




La notte non fa più pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora