In The Red Of The Roses

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Lo avevo visto!

« ALBAFICA-SAMA!».

Lo avevo chiamato!

« La prego! Albafica-sama! La prego! Lei è il cavaliere più forte di tutti! Non ci può abbandonare! Chi proteggerà Rodorio al posto suo?! Chi si prenderà cura di noi?».

Lo avevo implorato!

« ALBAFICA-SAMA!».

Ma niente era stato necessario quando quella fluente chioma bionda, e quell'armatura di un oro lucente aveva fatto largo tra i presenti, ignorando il cadavere della surplice della stella della nobiltà celeste, Minos dei tre Giudici del Regno dei Morti, chinandosi e abbracciando il cadavere del cavaliere dalla morbida criniera azzurra.

Lo avevo seguito fino a quel punto, in cui avrei potuto dirgli addio per il resto dei miei giorni.

Però...

Non riuscii a proferire parole sufficentemente grate per rivelargli ciò che sentivo in quel momento.

Mi limitai solamente a piangere, a piangere disperatamente come una bambina mentre vedevo quel viso angelico sfigurato e quel candido mantello slabbrato e intriso di sangue.

Quel candido mantello che mi aveva lambito in quel giorno.

Stavo correndo, la pioggia mi bagnava i capelli mentre disperatamente cercavo di portare a termine una consegna al santuario della divina Athena.

In quel momento non pensavo ad altro che rendere mio padre orgoglioso.

Dovevo farcela, dovevo riuscirci.

Ma arrivata al limitare del santuario una lucente armatura mi passò innanzi, il suo mantello candido si posò sul mio capo e improvvisamente i miei piedi si bloccarono e il mio cuore cominciò a perdere colpi.

Quando mi voltai, l'unica cosa che vidi fu una folta chioma color del cielo intriso del sereno del sole.

Un colore che ai miei occhi parve bellissimo.

"Albafica...sama".

Mi spiace in questo momento ero troppo impegnata nella distribuzione e vendita dei fiori.

Orchidee, non ti scordar di me, girasoli, tulipani.

Ogni varietà di fiore era presente, dalla più colorata alla più profumata.

Non avrei pensato ad altro in quel momento.

Se quel profumo non fosse giunto alla mia mente.

Odore di rosa, e non provveniva da quel fiore che ormai era appeso da tempo ormai indelebile al mio petto.

Provveniva dalla montagna che si affacciava a Rodorio.

Lasciai perdere i fiori, e così come una bambina che rincorreva una bellissima farfalla cominciai a correre seguendo quella meravigliosa e unica scia di rose.

Petali cremisi erano trasportati dal vento in quello che doveva essere il famoso giardino delle rose di Albafica.

Lo guardai da lontano.

Sapevo che le sue rose erano velenose e che se il loro veleno mi avesse sfiorato sarei finita col morire subito.

Eppure erano così belle, che non potevo non coglierle.

Ne colsi una, una qualsiasi.

Profumava di bontà, profumava di lui.

E non era velenosa, come se ora, quei fiori, non fossero altro che tali, senza veleno, senza bellezze mortali.

Guardai quella meravigliosa rosa.

Quel fiore dalla bellezza stupefacente che dolorosa.

Così come una rosa Albafica era cresciuto circondato da infinita bellezza, e così come tale era avvolto da spine acuminate che impedivano che qualcuno lo cogliesse e lo ammirasse da vicino.

Sorrisi inspirando a fondo quella rosa dal sapore di dolcezza che stringevo al petto.

Sentivo come se l'anima del cavaliere d'oro dei pesci fosse al mio fianco, vicino a me.

Mi sembrava che le sue forti braccia stessero cingendo il mio minuto corpo di bambina, e desideravo fortemente che lui fosse qui, in persona, per poter sperare di parlare con lui almeno una volta.

Non gli avevo mai rivolto la parola.

Nemmeno per sbaglio.

E questo, dopo aver saputo della sua morte, era il mio unico rimpianto.

« Albafica-sama, queste parole avrei voluto dirvele tempo fa, prima che il malvagio Minos vi uccidesse, prima dello scoppio di questa guerra santa!» dissi al campo cremisi che mi lambica e carezzava i piedi « Non sono mai riuscita a ringraziarvi per quel giorno, il vostro mantello mi aveva riparato dalla pioggia e il fiore che mi avevate regalato mi aveva fatto sentire speciale, come una ragazzina che fosse amata. Forse è un pensiero sciocco, magari non mi avreste nemmeno creduto... ma io l'amavo, amavo ogni cosa di lei, in particolar modo il vostro animo dolce e nobile che pochi possiedono».

Sollevai la testa al cielo, i petali delle rose che venivano sospinti da quella lieve brezza di vento che cullava dolcemente chiunque sostasse qui in mezzo.

Mi distesi su quel campo di rose scarlatte, fissando il limpido azzurro del cielo, lo stesso colore della chioma di Albafica.

In quel momento, non risucii più a trattenere le lacrime, esse cominciarono a rigare il mio volto fragorosamente e copiosamente, così tanto da distruggere ogni mia infima certezza.

Dolore.

Era quello che sentivo che pulsava sul petto aggravandolo.

Malinconia, era ciò che si provava alla perdita di qualcuno di caro.

Amore, quel sentimento che tutti ricercavano, quel sentimento grazie al quale, tutti diventevamo beati masochisti a causa della sua natura sia dolce che distruttiva.

Ed era così.

Io soffrivo per il mio amore mai confessato per Albafica.

Io soffrivo nel rivedere quei petali di rosa che un tempo erano fiori bellissimi cinti dalle labbra delicate del cavaliere.

Io soffrivo, per non aver avuto il coraggio che avrei dovuto avere quando lui, rischiava di morire.

Io soffrivo, perché adesso, ero sola, senza nessuno da amare, ammirare o anche solo osservare da lontano.

« Ancora non credo alla vostra morte» continuai a parlare tra una lacrima e l'altra « Ogni giorno guardo la rosa sul mio petto e penso che voi siate ancora lì nella vostra casa e attendiate pazienti il momento di combattere. A volte penso che quello che vidi fosse solo un incubo. Ma i sentimenti e il doloro che provo ora sono reali, sono sinceri, e li sento chiaramente bruciare dentro di me. E ciò basta a farmi capire che tutto quello non era altro che un'effimera verità».

Mi concessi un istante per respirare, per ammirare quel cielo, per versare le ultime lacrime e altre grida disperate al cielo.

Per non pensare a quel corpo stretto tra le braccia di un compagno e trattato col massimo rispetto.

Per non rivedere quel sangue.

Per non sentire ancora il gelo di quel corpo.

E allora nuove lacrime solcarono il mio volto, lambirono il mio cuore e mi portarono a gridare il suo nome ancora una volta, due, tre... venti...

Continuai ad invocare il suo soave nome fino a che la voce non mi venne meno, fino a che probabilmente non l'avessi persa...

« Io... vi amavo... Albafica-sama!» dissi infine con l'ultimo filo di voce che mi era rimasto « E vi amo anche adesso che non ci siete più. ALBAFICA-SAMA! VI AMO VERAMENTE!!!».


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⏰ Last updated: Oct 12, 2015 ⏰

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