Ventiduesimo capitolo.

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L'aveva liquidata in meno di un secondo, l'aveva mandata via come se fosse feccia, poco importante anche per scambiare due parole con il padre. Arrivò dopo pochi minuti fuori la sua camera e si sentì come un cane che obbedisce al suo padrone senza tener conto dell'ordine.

Lei non era così, lei non voleva essere così.

Non voleva e non poteva sottomettersi a William Parker, nonostante lui rappresentasse l'unico appiglio in mare aperto per lei. Doveva reagire, fargli capire che non era un animale da ammaestrare e da tenere buono.

Varcò la soglia di camera sua e si guardò attorno, captando con sguardo assente il libro abbandonato rovinosamente sul letto. Si avvicinò a passo svelto e sollevò la copertina scoprendo l'angolo piegato della pagina che stava leggendo. Chiuse il libro ponendo un dito tra fogli di carta per non perdere il segno e uscì dalla camera, recandosi nel salone.

Si accomodò in modo svogliato sul divano poggiando la testa sul bracciolo e piegando leggermente le gambe adagiò il libro sulla pelle, continuando a leggere.

Un William completamente fuori controllo girovagava per i corridoi di casa sua con l'intento di arrivare alla camera di Kimberly. La discussione con il padre gli aveva fatto venire una gran voglia di rimarcare il suo dominio sulla ragazza. Non appena Josh aveva provato a dissentire, dicendogli in modo netto e conciso che la ragazza non gli apparteneva, il cervello di William aveva iniziato a pensare ad ogni modo per scoparsela, per possederla e per far capire al padre -ma soprattutto per convincersi- che Kimberly era sua, era sotto il suo dominio, gli apparteneva.

Spalancò senza neanche bussare la camera della giovane convinto di trovarla al suo interno, magari distesa sul letto a pancia in giù, appisolata sul cuscino morbido rivestito con le coperte di seta.

E invece la stanza era completamente vuota.

Osservare il letto disfatto e l'assenza della ragazza tra le lenzuola non fu positivo per la situazione in cui si trovava al momento. Le aveva ordinato in modo preciso di andare nella sua stanza e di non muoversi, eppure lei non era lì.

Richiuse la porta con un forte tonfo e a passo pesante si diresse verso la cucina, sicuro di trovarla seduta sul marmo freddo con le gambe che penzolavano mentre chiacchierava con la cameriera e succhiava gustosamente il suo ghiacciolo all'amarena, ma Kim non era neanche lì.

Il suo sguardo freddò Mary che preparava il pranzo con cura.

«Signore, il cibo è quasi pronto.»

Annuì distrattamente con il capo, lui aveva una sola priorità. Trovare Kimberly e affondare bruscamente dentro di lei.

«Preparate un vassoio e portatelo a mio padre» disse riferendosi a nessuno in particolare «e voglio sapere dov'è Kimberly.»

Guardò direttamente Mary, essendo certo di poterle estorcere qualche informazione. A malincuore l'anziana donna dovette dire a Parker dove si trovava la giovane. William ghignò soddisfatto.

«Mettete da parte il cibo, io e Kimberly pranzeremo dopo. Ho una questione da risolvere adesso.»

La sua idea era andare lì da lei, ricordarle in modo brusco a chi doveva dare ascolto e perdersi in lei, ma quando arrivò e la trovò distesa sulla superficie morbida, con i capelli sparsi in modo disordinato decise di restare un attimo lì ad osservarla. Era così attenta, così immersa nelle pagine di quel libro che non si accorse del leggero movimento e non alzò gli occhi dalle pagine. Aveva gli occhi gonfi e lo sguardo stanco eppure era ugualmente bella. Restò lì per un lasso di tempo indefinito, poi Kim alzò leggermente lo sguardo accorgendosi di lui e facendo incastrare i loro occhi. Voglia di possedere e malizia contro il nulla più totale. Gli occhi della diciassettenne erano completamente inespressivi all'apparenza, ma velavano una profonda emozione. Il contatto visivo si interruppe quando Kimberly posò di nuovo gli occhi sulle pagine, ignorandolo. 

The delirium.Where stories live. Discover now